Ragazzi, è un piacere enorme incontrarvi per la prima volta. Ascoltare “You Are Leaving The Rational Sector” è come tuffarsi in un mondo di suoni, visioni e sogni. Com’è stato ritrovarvi insieme dopo questa lunga pausa? E cosa avete ritrovato nella vostra musica che vi ha spinti a tornare?
Fabrizio: Ciao, il piacere è nostro, grazie! Ritrovarsi in sala insieme dopo tanti anni è stato un po’ come ri-abitare il passato (nota auto citazionistica: in un brano Mirko canta del futuro che è passato; qui dovremmo parlare del passato che è presente!). I ricordi legati a noi che suoniamo sono veramente tantissimi, il nostro viaggio musicale è iniziato quando avevamo pressappoco l’età attuale dei nostri figli, ed il rivedersi forse ci ha ricordato quanta storia avessimo condiviso. Durante la nostra pausa, ciascuno di noi ha continuato a suonare in progetti differenti; ci siamo sperimentati in linguaggi diversi, e l’arricchimento che ne è derivato ci ha indubbiamente garantito una maturità espressiva che ha permesso di ascoltare con orecchie nuove ciò che siamo stati. E ricordarci che siamo stati tanto.
Corrado: Gli SCAT hanno vissuto un lungo periodo di pausa legato a diversi fattori: un po’ la stasi artistica, con pochi concerti a motivare le nostre prove settimanali, il bisogno di sperimentare nuove cose con altri musicisti, ma soprattutto una questione logistica piuttosto grossa. Il mio trasferimento a Nizza dal 2015 al 2021 ha definito una riduzione della disponibilità. Dopo il Covid e con il mio ritorno a Torino abbiamo incominciato a parlare di reunion, concretizzata poi nel 2024.
Un quarto di secolo di musica e sperimentazione: vi rendete conto del peso di questa cifra? Se doveste scegliere un momento che vi rappresenta al meglio, quale sarebbe? Una canzone, un concerto, un episodio…
Corrado: Da un lato il peso degli anni si sente, anche se rientrare in sala è un po’ come andare in bicicletta o sciare dopo qualche tempo. Le dinamiche umane e musicali si ricreano senza intoppi, la musica fluisce anche quando i brani non sono stati ripassati. Quasi sicuramente un momento rimasto impresso nelle nostre memorie è il minitour fatto intorno al 2000. Arrivare su una Fiat Palio a Rocca Gloriosa (SA) per la data al PGR e visitare il laboratorio di restauro di Francesco è stata un’esperienza mistica: Cristi e Madonne in overdose di anti-tarlo non si vedono tutti i giorni.
Adriano: Per quanto riguarda il brano, il più rappresentativo credo sia 90-00. Per i riconoscimenti ottenuti e per lo stile del brano in cui sono racchiuse tutta una serie di caratteristiche che sono poi ritornate in molti brani successivi.
Questo album, registrato nel 2012 ma mai pubblicato, è come una fenice che rinasce dalle sue ceneri. Cosa vi ha spinti a riprenderlo in mano ora? E com’è stato riascoltare quel materiale con le orecchie di oggi?
Corrado: Con la reunion abbiamo cominciato a festeggiare i 25 anni. Poi ci abbiamo preso gusto. Personalmente io ho sempre ritenuto che il disco non pubblicato fosse uno spreco: la composizione di brani praticamente improvvisati in sala prove e il talento di Francesco Carlucci e Lele Mattiuzzi nella post produzione hanno sempre avuto un livello paragonabile a dischi usciti nello stesso periodo che hanno avuto molto più successo. Ascoltare il disco in auto guidando verso la Francia mi ha sempre fatto pensare che fosse necessario farlo uscire anche fuori. E se lo ascolti oggi per la prima volta, sembra registrato ieri!
Avete scelto di stampare il disco su vinile, un supporto che ha una fisicità e un’anima tutta sua. Quanto è importante per voi, in un mondo sempre più digitale, mantenere questo legame con un formato che è quasi un rito?
Mirko: Non ci bastava la pubblicazione sulle piattaforme. Chi fruisce della musica lo fa in maniera liquida, ma alcuni, come noi hanno anche bisogno di un oggetto, un LP da rigirare tra le mani, un testo da leggere su carta una foto per guardare in faccia gli artisti e il vinile, anche grazie ai suoi caldi difetti, ci sembrava il supporto adatto. Come giustamente facevi notare, la ritualità e l’attenzione che esiste nel mettere sul piatto un disco, denota una volontà all’ascolto che è in controtendenza rispetto alla velocità del mondo che ci circonda e che bisogna assolutamente recuperare.
l vostro percorso musicale si è sempre distinto per una narrazione onirica e strumentale, con accostamenti audaci e sperimentali. Quest’ultimo progetto non fa eccezione, i brani Coltan e Psycho Space, ne sono l’esempio lampante. Qual è la scintilla che vi spinge a esplorare territori così inusuali? E come decidete di fondere questi elementi apparentemente lontani tra loro?
Fabrizio: Domanda impegnativa…sicuramente la scintilla iniziale coincide con l’improvvisazione, nella quale non si tende verso un obiettivo definito. Per ragioni “alchemiche” ad un certo punto viene fuori dal magma un riff, una linea di sax, un giro di basso o un fill di batteria che ci comunica qualcosa, di indicibile ma allo stesso tempo chiarissimo rispetto alla nostra intenzionalità musicale. Da lì inizia lo step successivo, nel quale da una epifania imprevista si inizia a fare lavoro di costruzione ed arrangiamento. Rispetto alla fusione di elementi diversi, credo abbia a che fare con una premessa fondamentale per gli SCAT, ovvero il permettere a ciascuno di noi di sentirsi rappresentato dalla nostra musica, con tutte le differenti sfumature che la cultura e la sensibilità musicale di ognuno ha costruito in 50 anni di vita.
Nei vostri lavori si sentono echi di cinema, recitati, citazioni. È come se ogni vostro disco fosse una pellicola sonora. Quali sono i film o i registi che hanno più influenzato il vostro immaginario musicale?
Mirko: In un nostro lavoro precedente, la vita regolata dal caso, c’è un pezzo che si intitola 90/00 nel quale abbiamo inserito brani di film in maniera esplicita, ma giocare con citazioni, letture, suoni extra musicali e registrazioni sul campo è una cosa che ci affascina da sempre e la settima arte ci ispira continuamente. Mi riesce difficile citare un solo regista o un film. un certo stile provocatorio e critico, uno sguardo lucido sulle miserie umane e la capacità di sorprenderti sono le caratteristiche che più si legano anche al nostro modo di fare musica. Direi Stanley Kubrick come esempio inarrivabile di capacità di fondere queste caratteristiche.
La scelta dell’immagine di copertina per un disco è sempre molto significativa. Voi avete optato per una figura che rappresenta il Moto Browniano, un concetto scientifico che evoca caos e movimento imprevedibile. Come mai questa scelta? E in che modo pensate che si colleghi alla vostra musica e alla vostra storia?”
Adriano: Sia caos che il caso, per citare di nuovo un nostro lavoro precedente, sono concetti a cui gli SCAT sono molto legati. Ripensando alla nascita della band, sono molte le “sliding doors” che si sono allineate per far sì che questo progetto prendesse vita in una cantina di Trofarello (TO). Da allora siamo sempre rimasti fedeli ad uno stile compositivo dominato dal caos dell’improvvisazione. La citazione del moto browniano nasce della volontà di rappresentare anche graficamente ciò che musicalmente è contenuto nella traccia 8 del disco. Il rumore del moto browniano che attraverso l’improvvisazione sublima in uno stile musicale poco razionale, vedi il titolo dell’album, ma che alla fine ci rappresenta. Spesso poi ci è piaciuto giocare con i riferimenti scientifici per esprimere concetti più ampi o come supporto per i video che accompagnano i nostri live.
Corrado: Le composizioni, come le copertine, i video e tutte le creazioni visuali degli SCAT hanno avuto una origine casuale, improvvisata. In questo caso i moti browniani sono stati un’idea di Adriano, che nella vita è un chimico. Una ricerca sul web mi ha fatto trovare un frammento di stampa eseguito da un computer degli anni ‘80. Il resto è venuto da sé. Il moto browniano infatti è stato violentato dal concetto di ‘lasciare il settore razionale’: oltre al caos c’è la deriva del moto al di fuori degli assi cartesiani.
Avete scelto Le cose cambiano come singolo per lanciare questo nuovo capitolo della vostra storia. Cosa vi ha portati a questa decisione? E come possiamo interpretare le parole della canzone, soprattutto quel passaggio così intenso: “Siamo cambiati, il tempo ci inganna e il mondo è andato avanti… e poi ancora non affogheremo mai più in un cielo così blu”? È una riflessione sul cambiamento, una promessa di resilienza, o c’è qualcosa di più profondo?
Mirko: La scelta è ricaduta su le cose cambiano perché i primi ad essere cambiati siamo noi, anche se quando ho scritto il testo 15 anni fa mi riferivo al momento in cui in un rapporto, che può essere di coppia o tra amici, si prende coscienza che determinati meccanismi che fino a quel momento ci avevano guidato come un faro, non funzionano più. È un momento triste e malinconico, ma anche vero e non per forza distruttivo, anzi questa presa di coscienza può permetterci di proseguire il cammino guardandoci per quel che siamo veramente, spogliati di quell’armatura che ci faceva così belli, ma anche impenetrabili.
Avete attraversato decenni di cambiamenti nel mondo della musica, mantenendo una vostra identità. Qual è il consiglio che dareste a un giovane musicista che vuole intraprendere un percorso artistico?
Fabrizio: Mai come oggi il mercato musicale ha polarizzato le tensioni artistiche. La coerenza, soprattutto nel mondo indie, non paga commercialmente. Pertanto gli chiederei di porsi l’unica domanda necessaria: verso cosa tendi, una povera coerenza o un gratificante tradimento di sé?
Chiudo con una domanda che è un po’ una poesia: cos’è per voi, oggi, la musica? E come vorreste che fosse ricordata la storia degli SCAT BAND?
Fabrizio: Personalmente, continuo a viverla come ciò che è capace di attribuire un senso oltre la parola; e sento che mai come oggi il bisogno di continuare a cercarlo mi animi forsennatamente. Rispetto al “lascito” storico, mi piacerebbe che venissimo ricordati nello stesso modo in cui si parla dei protagonisti della storia con la S minuscola. Uomini e donne che l’hanno fatta nel loro piccolo, parte di una vasta comunità umana che compiendo piccole, piccolissime rivoluzioni ha permesso di costruire una Weltanschauung, una visione del mondo nuova a beneficio dei posteri.
Corrado: ancora oggi come in passato penso che fare musica abbia la forza di salvare la vita. È una cosa che rimane nel sangue e che aiuta ad esprimere e suscitare emozioni o idee. Quando vedo mia figlia cantare con gli occhi chiusi, a un nostro concerto, penso che, in qualche modo, abbiamo fatto un buon lavoro. E chiunque altro avrà voglia di ascoltarci potrà ricevere lo stesso dono.
Mirko: La musica è un rifugio, una casa sicura, ma anche un’amplificatrice di emozioni. E devo dire che nonostante ci siano molti artisti di ultima generazione che non capisco, trovo anche materiale che mi sorprende e alimenta il mio interesse nell’ ascolto e nella voglia di suonare. Per quanto riguarda gli SCAT vorrei che i miei nipoti e pronipoti e i loro giovani amici, magari fra un centinaio di anni, un giorno tra vecchi scatoloni in soffitta trovino il nostro disco e ascoltandolo siano stupiti e incoraggiati imbracciare strumenti e brandire microfoni per esprimere quello che hanno nel profondo.
Adriano: qualcosa in grado di canalizzare le mie emozioni e una fonte inesauribile di energia sia per la mente che per il corpo. Per ciò che riguarda gli SCAT mi piacerebbe che fossero sorgente d’ispirazione per qualche altro musicista, ma va anche bene non scoprirlo.
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