Ciao, frequento i vostri dischi dal 2014, anno della pubblicazione del vostro primo album, ma per i nostri lettori che non vi conoscono, corre l’obbligo di presentarvi: The singer is dead, chi sono e per quale motivo avete deciso di fare musica?
I The Singer is Dead nascono da me, Dario, e Luca (mio fratello), due chitarristi spinti dalla voglia di iniziare un nuovo progetto slegato dalle strutture e dai canoni delle solite canzoni. Nonostante entrambi avessimo alle spalle dei progetti diversi in cui entrambi cantavamo, abbiamo deciso di buttarci in questo, scegliendo di non avere voce e di lasciare andare la musica come veniva. Grazie al classico annuncio online ci siamo poi incontrati con Dario, attuale batterista, e poi con Marco (ex bassista) e successivamente con Francesco. Fare musica è per tutti e 4 quasi un’esigenza, una cosa che facciamo da tantissimi anni, e di cui non potremmo fare a meno.
Il vostro stesso nome “The singer is dead” evidenzia da un lato il genere musicale che penso vi qualifichi di più, il post-rock (anche se sotto questo contenitore oramai troviamo di tutto), dall’altro fa emergere un lato che possiamo definire “ludico”, che trovo in molti vostri titoli; dove avete trovato l’ispirazione per questa suggestiva denominazione?
Il nome della band nasce da una battuta, condita con molto black humor. Una sera, la ragazza che gestiva la sala prove in cui suonavamo, sentendoci da fuori ci fece i complimenti e ci chiese se effettivamente non c’era un cantante, perché non lo sentiva. La risposta secca e prontissima di Dario fu: “Eh no, è morto”. Lei ci rimase malissimo sul momento, ma poi capì subito che era uno scherzo e ne ridemmo tutti. Qualche tempo dopo mentre discutevamo su che nome dare alla band saltò fuori questo episodio e decidemmo immediatamente di usarlo come ispirazione per il nostro nome.
Ritornando al primo album, e alla precedente domanda, i pezzi che mi piacciono di più sono “Brainwash before a new born” e “The story of a heart landing”, voi avete una preferenza particolare per questi o altri brani?
“The story of a heart landing” effettivamente è stato il nostro primo amore durante i concerti. Quel finale così potente ci ha sempre dato una carica incredibile quando lo portavamo su un palco. Negli ultimi anni però abbiamo ripreso in mano “Spiderman in outerspace” dopo averla eseguita un’unica volta live con una sassofonista e la stiamo riportando in scaletta perchè la troviamo una canzone bella carica, con la giusta dose di ignoranza, che ci aiuta a spezzare la scaletta da brani magari un po’ più complicati presenti nel secondo disco e in quello appena uscito.
Nel 2017 pubblicate il vostro secondo album, //, e anche in questo caso ci sono due brani che, per il mio parere, si elevano sopra tutti gli altri: “Q L N V” e “R Y L B”; peraltro ogni singolo brano dell’album risulta essere composto da quattro lettere, come quelle sopra indicate, da dove nasce tale peculiare decisione?
Il capitolo “titoli delle canzoni” è un po’ complicato nel nostro gruppo perchè, non avendo voce e quindi neanche testi, può essere qualunque cosa. Nel caso del nostro secondo disco, la scelta di usare le sole 4 lettere era stata quasi puramente estetica. Ogni canzone ha un “titolo” che gli è stato assegnato in fase di scrittura/prova, nel caso delle due citate si tratta di “QueLla NuoVa”, chiamata così semplicemente perché è stata l’ultima a nascere, e abbiamo iniziato a chiamarla così per intenderci tra di noi. Mentre invece "RoYaL Baby" è stata chiamata così perché ha avuto una gestazione lunga e la stavamo concludendo proprio mentre nella cronaca si parlava della nascita di George di Galles.
Dopo un periodo abbastanza lungo, lo scorso dicembre, a distanza di sette anni, date alla luce il vostro terzo album che però è titolato IIII, per quale motivo questa stasi e questo “risveglio”?
In realtà noi non ci siamo mai fermati, siamo solo molto lenti nello scrivere canzoni e il periodo del covid non ci ha aiutato. Noi scriviamo sempre in sala prove tutti e quattro insieme, ma durante la pandemia abbiamo inevitabilmente avuto uno stop forzato, che ha allungato ancora di più i nostri tempi già lunghi. L’album è stato poi registrato tra febbraio e aprile 2023. A quel punto ce la siamo presa comoda per farlo uscire nel migliore dei modi.
Mi pare che questa ultima opera manifesti un significativo miglioramento del vostro sound, sia sotto il profilo compositivo che come produzione, penso infatti che un brano come “The girl sleeping next to me” possa essere considerato un vertice qualitativo della vostra produzione, ma degni di nota ci sono anche riferimenti extra-vaganti come “Djoser’s Pyrmid”, che prende il nome dalla famosa piramide a gradoni che si trova in Egitto nella zona di Saqqara, e “Fibonacci Pissing Sequence”, dove la citazione della famosa sequenza matematica di Fibonacci viene in qualche modo fatta oggetto di ridicolo, è corretto?
Grazie intanto per i complimenti. Ogni titolo anche qui ha un suo perché, assurdo magari per chi lo vede da fuori, ma non c’è la volontà di ridicolizzare. Sono legati soprattutto a quello che succede in sala prove, ai discorsi e alle cazzate che spariamo nei momenti di pausa. Per esempio “Fibonacci Pissing Sequence” è nato perché ci siamo infilati in un discorso assurdo sul fatto che quando bevi birra, alla prima vai in bagno una volta, alla seconda vai in bagno tre, e via dicendo, ad un certo punto non ricordo chi, è saltato fuori dicendo “È come la sequenza di Fibonacci!”. Casualmente stavamo lavorando al nostro pezzo più ipnotico e dilatato e ci sembrava un titolo perfetto. "Djoser’s Pyramid" invece è semplicemente un tributo al grande Roberto Giacobbo che, in una puntata di Freedom, fece un servizio dedicato a questa piramide. Un personaggio che ci fa sempre sorridere per il modo fuori dagli schemi (e da ogni metodo scientifico) in cui confeziona i suoi servizi. Ma siamo anche persone serie a volte, come per esempio in “The Girl Sleeping Next To me”, che è ispirato a una frase che diceva sempre mio (e di Luca) nonno.
Ora una domanda “seria”: nel recensire l’ultima opera degli Explosions in the Sky (qui la recensione) osservavo come la definizione di post-rock (copyright di Simon Reynolds) veniva a cogliere nel 1994 una peculiare attitudine di una serie di band britanniche, ovvero quella di abbandonare la grammatica rock classica per accedere ad un sound maggiormente libero dalla forma. Da quell’articolo di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e, ad oggi, penso che il post-rock debba essere considerato non come uno stile definito ma come una attitudine (come ai tempi si parlava dell’attitudine punk), voi che idea avete al riguardo? Le commistioni math del vostro sound segnalano una volontà di andare oltre?
Quando abbiamo deciso di formare i The Singer is Dead, la band post-rock/strumentale che più piaceva a me e Luca erano i 65daysofstatic, che forse sono molto lontani dal concetto di post-rock classico. In generale è un genere che ci piace, ma non è così presente nei nostri ascolti. La nostra idea di fare musica, come ho detto all’inizio, è un concetto però simile a quello espresso nella domanda: “libero dalla forma”. Quindi si, è sicuramente più un’attitudine nel nostro caso. Le commistioni math credo che derivino dal fatto che ascoltiamo musica molto diversa (si va dal black-metal alla techno) pur avendo gusti in comune, il che ci porta ad essere forse un pochino più "schizofrenici" rispetto ai classici stilemi del post rock.
- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -