Articoli

press-reviews mrozinski "MERÇE"

 

bandiera_italia   ROCKERILLA

Il respiro cantautorale di Lukasz Mrozinski non vanidica lo spirito di ricerca che prende quota nei paesaggi elettronici di "Merce", l'uno non contraddice l'altro. I ruvidi clangori del sax contribuiscono poi ad alzare il livello di tensione adrenalinica che muove queste livide ballate esistenziali, laddove i timbri cavernosi del canto adombrano concetti di perdita, alienazione, abbandono ... Ma più che senso di distacco l'album innesca contatti interiori e trip di perdizione visionaria che rapiscono e affrancano senza soluzione di continuità. Li sentiamo vibrare sottopelle e agitarsi fra i battiti, gli stridori, i palpiti, le ombre, i silenzi di questo avvincente psicodramma in musica  

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - –

bandiera_italia    ROCKIT

MERÇE si porta dentro un bel po’ delle esperienze musicali di Lukasz Mrozinski, circa vent’anni spesi tra gruppi noise, sperimentazione rumorista, sonorizzazioni. La quarta uscita solista del musicista italo-polacco ha il cuore di un album cantautorale, con il cantato caldo di Lukasz , al confine con il semi-parlato, che si racconta in primo piano, e l’ossatura di un lavoro compositivo che guarda al noise, all’ambient, al jazz e all’industrial. Le parole sono congelate in una rete sottile di layer concreti, contrappuntate da gocce di ottoni scurissimi, incastonate in ritmiche metalliche che le lanciano su peana rituali dal canto antico o in angoli suburbani. A tratti non siamo troppo lontani dall’Iosonouncane di DIE, se non direttamente nelle sonorità (Secondo Passo) possiede qualcosa dell’enfasi sacrale dell’iconica Tanca), almeno nell’approccio spregiudicato alla materia canzone. Volendo giocare a unire i puntini però, l’aura che si avverte potrebbe essere quella degli Einstürzende Neubauten e della loro visione unica della melodia e della forma canzone, con quella sensualità scura in bilico tra meccanico e romantico, qui declinata secondo un linguaggio imbevuto anche dell’impronta melodica del cantautorato italiano (Quarto Passo, Quinto Passo). Un discorso ibrido che segue strutture dilatate e lunghi movimenti di macchina, quelli di un album che in effetti è concepito come un lavoro da ascoltare e vedere. Autarchia e i sei “passi” numerati che compongono la tracklist sono in effetti complementari all’omonimo mediometraggio in collaborazione con il collettivo di arti performative Volpi Metropolitane. Si sente a volte la mancanza delle immagini, soprattutto quando il minutaggio supera i cinque minuti, con passaggi ripetuti che forse guadagnano un significato più leggibile come sottofondo di immagini in movimento. Non toglie, comunque, molto ad un lavoro sul suono personale e accattivante, ben coniugato con l’esigenza di raccontare con voce e parole, e che però dà il meglio quando spinge un po’ più indietro l’anima cantautorale e abbraccia quella più sghemba e rumorosa.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - –

bandiera_italia   ROCK TARGATO ITALIA

Suona come un viaggio in treno su una ferrovia circondata dalla nebbia, l’ascolto di “Merçe” di Lukasz Mrozinski. Un album quasi cinematografico in cui la canzone d’autore più intimista sposa un rumorismo soffuso e un’elegante vena sperimentale creando paesaggi sonori estremamente dilatati che hanno il sapore dell’alba di una mattina d’inverno e canzoni che vagano fra paure, distanze, senso d’isolamento e primi bagliori di nuovi inizi.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - –

bandiera_italia   ROOTS

È dunque questo un incubo o un sogno? Si procede su di una placida superfice morbida o su di un terreno roccioso, scosceso, intervallato da ostacoli? Il sax di Lukasz Mrozinski certo aiuta a non ferirsi, non del tutto, tra atmosfere sospese in un eterno ritorno e selvagge celebrazioni pagane, con note dolci come lo scivolare nella paresi indotta da cicuta. Rumorismi rubati da un bosco all’albeggiare, mentre una chitarra lancia accordi in delay sospesi sopra voragini di infinito: /Autarchia /ci asseconda, col sax suadente e quel rumore di macchia boschiva ci riporta a casa, tra alberi, grotte, e percussioni appena accennate “Siamo salvi” pronunciamo mentre il brano svanisce, quasi si disintrega sul finale. /Primo Passo/ è un brano dove la musica si fa da parte quando la voce compare e recupera l’intera piazza quando questa si fa assente, in un gioco che fa girare il pezzo all’infinito nell’ingranaggio delle nostre teste: “/Ho preso le distanze dalle mie parole per ricordare che il suono dell’amore non mi cura più/” una frase che ferisce e lascia stesi al suolo a sanguinare, lungo vie fatte di indifferenza; quando il sax torna pare quasi di percepire in forma solida quel senso di fatalità che prima sembrava solo una presenza da sfondo, di contorno; ora siamo abbandonati tra le braccia di un presente che non conosciamo poiché orfani d’amore ed empatia “/dal sonno al vuoto per non cadere nella corrente, rotola sempre/” e il sax si mette a giocare brutti scherzi, si fa dissonanza, si fa mutazione irreversibile e rotoliamo spacciati nel ritualismo pagano di /Secondo Passo/ “/Hai mai avuto paura?/” certo, e adesso ancora di più! Due voci dialogano, una è suadente mentre l’altra è lasciva e perversa; la ritmica industriale guida verso labirinti urbani infiniti, senza via d’uscita ma, ad un tratto, in ottima soluzione d’arrangiamento, il brano si fa cantautorale, con tanto di chitarra acustica, per poi tornare dissonante sul finale. Questa continua alternanza di atmosfere, da freddo a caldo, da caldo a freddo, lascia sempre più inquieti poiché non si riesce mai a prevedere quale sarà il prossimo passo… il /Terzo Passo/, difatti, parte in modo anonimo, solo un beat elementare, scarno, privo di direzione che non sia l’avvolgersi su se stesso, poi dissonanze assortite e, a sorpresa, una sortita acustica e campestre, ed è così che si risolve il brano: un attacco martellante che pare promettere tempesta ma che sfocia in paesaggi bucolici tra il sognato, il vissuto e l’immaginifico. Il sax, sensuale e notturno, conduce e accompagna ogni fine con un nuovo inizio e, nel finale, dai campi ci si trova proiettati, tra suoni metallici, sintetico e digitali, nel profondo spazio. Anche questo finale è una sorpresa: questo disco sfida ogni logica, elude sapientemente i percorsi già tracciati e non si affida a gusto alcuno che non sia quello dell’autore stesso. E anche /Quarto Passo/ è un passo verso una porta che cela, al suo interno, chissà quale nuova avventura: e infatti, nella sua ritmica insistente, il clima Post Punk, il cantato sussurrato quasi parlato in una tonalità bassa come l’ultimo girone dell’inferno, sembra quasi di ritrovarsi in un film noir; nuvole di fumo, panama in testa ed un cadavere steso per terra… dallo spazio profondo alla scena di un delitto, suggestioni come pioggia e che non si arrestano: il finale è affidato ad un’esplosione improvvisa, senza il tempo di prendere le dovute precauzioni: Post Rock? Post Punk? Industrial? Non lo so, son sempre qui che mi riprendo dallo schiaffo infertomi a tradimento da Mrozinski che, di par suo, pare quasi volersi scusare con l’inizio di pianoforte, tenero e morbido, di /Quinto Passo/ ma, improvvise tempeste di chitarra dissonante, in modalità da guerriglia “colpisci e nasconditi”, mi ricordano che non devo fidarmi. E infatti, sempre usando una notevole capacità in fase di arrangiamento, Mrozinski rimbalza qui tra cantautorato, di scuola genovese, prog e Synth Wave per poi fare ritorno sulle improvvise esplosioni di chitarra satura e greve… È talmente avvezzo alla scrittura spigliata, totalmente votata alla versatilità che l’interesse per questo disco cresce man mano che lo si ascolta; certamente ascrivibile ad un cantautorato italiano di scuola, come si diceva, genovese ma proteso verso il futuro, conscio che, se qualcosa ci ha insegnato quella scuola di pensiero e musica, è che la musica d’autore non deve essere solo racconto ma anche continua ricerca e sperimentazione: l’autore non è una figura bastante a se stessa e autorevole in quanto tale ma perché deve sempre essere proiettato verso un altrove, verso, cioè, una continua sperimentazione e commistione; in questo, Mrozinski, si rivela come uno degli eredi più credibili in tal senso e riesce a stupire anche quando, nella conclusiva /Ultimo Passo/, si congeda con un classico in stile Tenco: eravamo già pronti a chissà cosa e invece ci sorprende con un pezzo lineare, acustico e perfettamente allineato con la tradizione; un modo sottile e sapiente per chiudere il tutto in beffa e noi, piacevolmente beffati, ascoltiamo con piacere un brano perfetto in cui, il nostro, dimostra di sapere, certo, rimbalzare da palo in frasca senza mai perdere credibilità e tensione nell’economia del pezzo ma sa farlo perché sa partire da brani lineari, semplici e disadorni, ridotti all’osso di sola voce e chitarra. Un talento votato all’effetto sorpresa ma fondato su concrete basi autoriali: chi sa scrivere sa anche sconvolgere il racconto e trarne tumultuosa materia nuova. Lucasz Mrozinski

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - –

http://www.iyezine.com/recensioni/1587-merce-vivo-lasortedelcanecheleccalalama.htm