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press-reviews "Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare "

 

bandiera_italia  RUMORE

Movimenti tellurici ed incombente poesia. L'abbraccio ostinato di chi sprofonda in fondo al mare e si aggrappa in maniera disperata e rabbiosa alla vita : sette schegge avvelenate che hanno bisogno di essere ascoltate a tutto volume, nate dall'incontro / scontro di Massimo Volume ("Chiara", "Paolo e Rocco") e il Teatro degli Orrori ("Vale", "Emma", "Anna K."). Un furore narrativo che sanguina elettricità

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bandiera_italia   ROCKIT

Sette canzoni, sette storie, sette personaggi. Tutto per dare un piccolissimo specchio del mondo reale, un assaggio di vita vera. ZìDima, band lombarda che prende il nome dal protagonista de La Giara di Pirandello, in questo nuovo lavoro racconta la rabbia, la disperazione, le cicatrici del passato e quelle del presente. Una narrazione fatta di cori, muri di chitarre, colpi di basso e batteria che sono come pugni allo stomaco, in un vortice di noise e punk hc di matrice emo di cui c'era davvero parecchio bisogno nell'avvicinamento al prossimo inverno. Del Nostro Abbraccio Ostinato In Questa Crepa In Fondo Al Mare è un disco eccelso, che travolge e scuote, un tornado di onde sonore violente e sature di ribellione e poesia, di dolore e citazionismo. Un oceano di vita e di ricordi, come quelli che emergono dall'ascolto di "Anna K.", traccia nella quale riemergono parole già sentite nel brano "Così che non potranno piu' prenderci" degli splendidi The Death Of Anna Karina, roba di quasi un decennio fa. Il resto è uno tsunami musicale di grattacieli che crollano davanti ai nostri occhi, con echi di band come Storm{o}, Marnero e Ruggine, per citarne alcune. Tra i brani migliori, possiamo segnalare "Roby", un affascinante ballad dal sapore post rock e lo spoken word della conclusiva "Paolo e Rocco", altra perla che risente della grande tradizione del genere in Italia. Gli ZìDima tirano fuori l'ennesima perla convincente, un lavoro che non ha difetti e che speriamo possa trascinarsi dietro una scia di live numerosi e devastanti.

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bandiera_italia  SUFFER MAGAZINE

"Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare" questo il titolo chilometrico del nuovo album dei brianzoli Zidima. affilato e nervoso, in bilico tra post-core al fulmicotone e declamazioni ad effetto. Un disco obliquo e poco incline alla melodia, e a tratti parecchio ostico, che non può lasciare indifferenti. Un disco che si rivela con il tempo. Bravi 

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bandiera_italia   MAT 2020

“Vale”, violenza sonora, distorsioni, digressioni, immenso impatto, urlata e incazzatissima, è la prima traccia di questo disco. Due minuti noise con un testo che pare un epitaffio, un lascito per la prosecuzione dell’imperativo principe: disobbedire. L’intento è lampante fin da subito. “Chiara”, con iniziali voce recitata e andamento doom, è un alternarsi di quiete riflessiva e rabbia, fase successiva in cui il cantato si squarcia per lanciarsi verso rare vette emotive. Le chitarre esplodono ad accompagnare il messaggio di questa traccia, che è un allontanamento volontario verso altri lidi dove la protagonista non debba più fingere di farsi piacere questo nostro mondo occidentale fatto di formalità e apparenza, verso quindi mete che profumano di verità e scelte non imposte. “Emme”, hardcore fino al midollo, è antifascista, militante, partigiana. Al grido di “come sventoli da appeso?”, è una visione ancora attuale della fine della dittatura del mostro romagnolo, che gli ZiDima evocano per similitudine odierna, in cui i destroidi in giacca e cravatta, col sorriso beffardo e la patria come vessillo distorto, cercano col populismo più becero di ammaestrare mentalmente il popolino che non vuole pensare col proprio cervello, rifugiandosi in slogan d’altri tempi, appunto, per elevarsi a indipendenti che non sono e non saranno mai. In sintesi, quell’Italia che non dovrà mai più avere il potere. “¡No pasarán!”, come strillò Dolores Ibárruri. Ecco, prendiamola come esempio. “Anna K.”, canzone d’amore diversa, scava ovviamente più in profondità della media, riportando nel testo anche il titolo del disco, in un contesto e significato di protezione della propria dimensione di questi due amanti che non vorranno mai essere divisi e soggiogati da chicchessia. Musicalmente un caos sonoro organizzato, dove la potenza della sezione ritmica è protagonista. “Roby”, ovvero vendetta e condanna. E attenzione: “Il popolo ha fame” (non il popolino riportato prima). Questo sentore è l’anticamera dell’esplosione sociale. Tensione tutt’intorno, in un vortice sonoro che aumenta di velocità, tanto più si è vicini alla scintilla che può provocare la rivolta. Be careful… “Zita” è una protagonista impulsiva e pretenziosa, demoniaca e cattiva all’ennesima potenza, ben consapevole delle sue azioni, sempre mirate a distruggere chi l’ha tradita, trattata male, non rispettata. Un manichino da aperitivo, perfetta nel suo incedere e nel suo apparire, ma con una recondita carica dilaniante che la porta a pensare di essere il centro del mondo. Ma che altro non è che una pedina del marcio sistema d’oggigiorno. “Paolo e Rocco”, melodia importante in un crescendo d’eccitazione, trepidazione, fin quasi alla commozione, che gli ZiDima ci vogliono trasmettere. La storia dell’incontro con la vera vita dei due protagonisti, che tolgono il freno a mano e iniziano finalmente ad essere loro stessi. Una roboante botta che per potenza e forza comunicativa arriva dritta al tuono sopra di noi. "Zi'Dima, dentro la giara, era come un gatto inferocito", scriveva Pirandello. Teniamoli d’occhio, perché oltre al nostro amato Prog c’è tanto altro che merita di essere incontrato, vissuto, capito. Abbracci diffusi.

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bandiera_italia   INDIE-ZONE.IT 

L’inizio del nuovo album degli ZiDima, band lombarda dal nome di pirandelliana memoria, è una botta allo stomaco. È infatti probabilmente dai tempi dell’esordio del Teatro degli Orrori che in Italia non si sentiva tanta rabbia e urgenza di espressione come se ne sentono nella voce urlata – recitata, nelle chitarre graffianti e nella pesante sessione ritmica dell’iniziale Vale. La storica band underground, attiva dalla fine degli anni Novanta, non si limita alle soluzioni hard, ma va a cercare un’identità anche nel crossover fra ciò che di meglio la nostra penisola ha saputo donare negli anni. Abbiamo quindi reminescenze hardcore, ma anche pregevoli spoken word che rimandano a volte ai Marlene Kuntz di Cristiano Godano (Chiara) e altre ai Massimo Volume di Emidio Clementi (Paolo e Rocco), slogan intelligenti che colpiscono in faccia come se i CSI si fossero dati al post-rock più violento e melodie oniriche figlie dei Verdena di “Solo un grande sasso” (Roby e Zita). Entusiasmante è poi la figlia bastarda condivisa con un’altra grande band della scena pesante quale i The Death of Anna Karina, l’appunto Anna K., che fa sanguinare le orecchie con i suoi feedback lasciati liberi, come pure l’inno antifascista di Emme. Un disco che merita di essere ascoltato e del quale si spera si potrà godere dal vivo nel prossimo futuro. Aggiungo poi che fra le otto (sì, ben otto!) etichette che sponsorizzano il progetto in giro per l’Italia c’è pure la bergamasca Gasterecords, un vero sinonimo di qualità.

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bandiera_italia   THE UNDERGROUNDER

"Che spreco passare tanto tempo con una persona, solo per scoprire che è un'estranea...", parafrasava un fotogramma del film Eternal Sunshine of Spotless Mind di Michel Gondry, e questo fotogramma è il laccio di avvio per addentrarsi alla storia che sto per raccontare.Molto spesso ci troviamo immersi in relazioni dove doniamo o crediamo di donare all'altro, ci si sporca la faccia e il cuore di grandissime aspettative per poi cadere e ci si guarda distruggersi come carta vetrata sulla pelle, di battaglie, di silenzi, di aspettative che diventano muri e creano distanze alte come frontiere di piombo.Dove si sceglie, si lotta, con forza o esponendo le proprie fragilità, chi ne fa scudo chi ne fa tesoro, ti domandi se è meglio la fuga da ogni legame col mondo esterno o provare a cambiare atteggiamento verso gli altri, ti chiedi è possibile per una volta nella vita sentire la maestosità del sentirsi capito senza dover spiegare chi sei e quello che sei stato.È possibile ancora un mondo dove la gente lotta per qualcosa di puro e sano, qualcosa per cui valga la pena investire.Esistono ancora i ribelli, scintille scheggiate nell occhio del piattume dell'era moderna, esiste ancora il vero confronto con le persone.Lottare per qualcosa che abbia un fondamento stabile, sembra un eufemismo, nell era dei social appiattita e rabbuita.Ci troviamo in uno stato pandemico e ancora si pensa che le cose fluiscono da sole.. E cosa siamo maree.Se non si investe o si rischia qualcosa si perde solo, meglio vivere una vita come una fiamma irruente che pregnante di rimpianti e di silenzi, di abbracci negati, di parole taciute.In un epoca in cui Netflix scandisce i fotogrammi e non ci si stringe la mano più, creare legami è un atto rivoluzionario contro la vita stessa. Fiammelle, dicevamo, prepotenti e dissacranti che ci coinvolgono e ci dirottano come la matrice pulsante che muove e smuove lo scheletro del nuovo lavoro degli Zidima. Attivi dalla fine degli anni '90, Una scintilla in mezzo a tantissima produzione underground dell' epoca sapendo farsi strada, con materiale totalmente diverso da tutta la mole di progetti e diagnosticamente diy.Una strada scandita da discese salite, da cambi di line up e da innumerevole materiale che nel corso del tempo ha preso sempre più il loro progetto maturando un invettiva intrusiva ed elegante, dirompente e che scava sino all'osso di un impatto musicale coinvolgente e attrattivo, un barlume di fuoco in mezzo al gelo asettico di produzioni esterne plasticose di certa musica odierna.Senza costringersi mai in un genere preciso, senza appartenere ad alcun cliché preciso e scontato.La loro personalità si fa trascinare da uno spigoloso noise rock, attingendo dai colori del rock anni 90 dei Pixies e vederlo confluire in segmenti post hc. Tra dissomiglianza e linee ed atmosfere cupe ansiose ed esplosioni vibranti di pathos e anima, la musiva degli Zidima è un cazzotto allo sterno, distrugge per creare di nuovo, un filo sottile ma intenso nel processo di elevazione espressiva musicale e interpretativa." Del Nostro Abbraccio Ostinato In Questa Crepa In Fondo Al Mare”, è il loro ultimo lavoro, pubblicato ad ottobre del 2020, vede la Co-produzione di otto etichette diy. Registrato al Trai Studio da Fabio Intraina, mixato da Francesco Borrelli e Fabio Intraina. Attraverso l'artwork di copertina curato da Antonio Foglia sul fronte d'illustrazione e Manuel Cristiano Rastaldi (voce degli Zidima) in qualità di grafico, possiamo vedere come l'abbraccio pennellato di tonalità rosse e nere, tra passione e fiamma Vibrante, cosa ci stiamo apprestando ad ascoltare.Sette brani, sette diapositive di un film, che conosciamo a memoria, perché vibra sotto la nostra belle.Sette storie, sette punti di vista sul mondo reale che volenti o nolenti dobbiamo ad un certo punto confrontarci.Sette radiografie, sette finestre sull epoca odierna.Magistralmente proiettata su scenario principalmente noise rock sporcato di post hc crossoverizzante.Diretto e sfacciato, aggressivo e lacerante da un lato, assuefante e catartico dall'altro.La voce come un onda sciamanica riesce a sradicarci dentro confluendo poi in linee chitarristiche estese e selvagge e primitive, che si innescano in linee di basso cupo e profondo, e si scontrano con linee batteristiche che, precise e dirette, squarciano come una lama l'ascoltatore, lasciandolo senza fiato e catturato nella vorticosa ed ammaliante atmosfera da loro creata, forte anche di un songwriting intrusivo e diretto, personale ed esplicativo.L'album si apre con "Vale", violenza ed intensità apre questo brano sapendo unire una scrittura densa che ha l'onere di scavarti dentro. Vivendo e liberandosi attraverso un tappeto composto da noise rock guizzante ed intrusivo. La voce ti proietta prepotente nelle frasi urlate, percependo addosso ogni parola, forte e violenta come un fuscello quando viene travolto dalla tormenta. Linee di chitarra distorte e linee di basso tetre ed avvolgenti si dissolvono in linee batteristiche precise che tagliano come un coltello appuntito la nostra pelle."Chiara", linee classiche e rigorose di chitarra contemplano la pelle e i sensi introducendo il brano in un suono che echeggia in epiteti doom rimanendo prevalentemente noise.Distorto ed ansioso, li è batteristiche precise e sature accolgono l'incombenza della voce che, recita, parole che si congiungono alle linee strumentali in un brano dove si incontra l'unione con Alessandro Andriolo, chitarrista della band post black metal, - Selva, in un impetuoso brano dove coesistono l'irruenza rabbiosa e la quiete apparente.Un interfaccia emozionale tra veleno ed assuefazione."Emme", ritmi esagitati e diagnosticamente hardcore aprono questo brano.Riff di chitarra violenti e di basso si scontrano con linee batteristiche ciclopiche che si immergono e confluiscono bella voce che, tra urla acide e simbiotiche ti scaraventa addosso urla e parole. Una controversa attrazione, senza distogliersi dall'anima post rock della band esplode in un concentrato hardcore nel pieno senso del termine.Irriverente, antifascista, sublimazione di un messaggio corale contro ogni ipocrisia, contro il populismo professato da uomini senza sangue dai palazzi di vetro, contro una società annacquata e ammalata sedotta dal demone del fascismo." Anna K", questo brano ha in sé un riferimento al testo di Giulio Bursi ed è tratta da “Così che non potranno più prenderci”, brano dei The Death of Anna Karina, band screamo emiliana con cui gli Zidima hanno più volte condiviso il palcoscenico.Linee di basso e chitarra si scambianoL'un dentro l'altro aprono questo brano che viene stravolto d all'impeto e dalla vasta gamma di colore che la voce sa commutare al brano che intercede intensa in un suono ansioso e primordiale. Che sfonda il nostro muro privato.Post rock, ornato di virtuosismi simultanei coinvolgenti e per nulla noiosi. Songwriting corposo e plutonico che si mescola alle linee strumentali tra noise e low, reminiscenze di certi canoni indie anni 90." Roby", linee di chitarra ammalianti catturano l'ascoltatore in un abbraccio avvolgente. Brano costruito su arpeggi chitarristici e linee di basso emotivi e puri. Incontrano la voce e le linee batteristiche temprate e simbiotiche.Una ballad post rock spazioso ed empatico. Che vibra di sinuosità violenta nel calar del brano."Zita", riff di chitarra elettrici convergono dentro linee batteristiche diligenti ed essenziali e dentro linee di basso incavate.Che compongono il suono, come un tappeto dove la voce si posa, morbida e inquieta, a tratti angusta e mefistofelica. Che cade e si lascia andare come un amante cade tra il piacere e la paura, netto e Vibrante, in un post hc duro e corposo. Conclude l'album "Paolo e Rocco", brano interfaccia dove si oppone il cantato al recitato. Linee di chitarra garbate fanno da intro al brano, e ci introducono al brano stesso che vive due anime, da un lato sofisticato, soffice e sospirato, dall'altro implosivo ed ansioso, per condurci sino alla fine in un vorticoso flusso emotivo in cui ci si deflagra e ci si ricostituisce, ha quel sapore di una rinascita, di novità.Citerei sul finire del brano un incipit preso dal film Eternal Sunshine of Spotless Mind di Michel Gondry, che viene avvolto e racchiuso da linee di chitarra e batteria, come dentro una scatola emotiva del nostro sé.In conclusione, sicuramente è un album che mira a scandagliare ogni imposizione, emotiva e non.Ma sopratutto un album che scava nei nostri spigoli, senza chiedere tanto il permesso, con forza e coraggio porta l'ascoltatore a capire, dona un senso di consapevolezza empatica in un momento dove si crede a false chimere.Musicalmente parlando è una scossa evocativa e diretta, il loro post rock, del tutto personale, coinvolge e attrae come una calamita attira il metallo.Gli Zidima ( Manuel Cristiano - voce, parole, Roberto - chitarra, Cosimo - basso, Francesco - batteria, synth ) pubblicano un album dove l'ascoltatore ha un opportunità di mettersi in gioco come ascolto e nella ricerca di concetti che vanno oltre ai soliti concetti sparati a mille dal tubo catodico. Un opportunità di scavare dentro se stessi attraverso la proposta, in un viaggio fuori da ogni pressapochismo, intenso e spigoloso, solo come il risveglio consapevole di noi stessi sa essere.Dissacrante, impavido, empatico.Coinvolge e non annoia, sarà una scoperta per chiunque abbia l'estrema voglia di capire, e di capirsi.Di riscoprire una collettività in barba ai tempi moderni egoistici e banali. Consiglio agli ascoltatori di Marlene Kuntz, Melvins, Kafka, Storm{o} di non perdersi assolutamente questo album.

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bandiera_italia   MOTEL WAZOO

Dove eravamo rimasti? Ma sì, certo. Per cortesia, estirpate da ciò che resta del vostro cervello l’idea che il rock, quello vero, sia morto. Tutt’altro. È vivissimo e prospera nei cuori e tra le mani di chi ha ben chiaro cosa possa significare la propria esistenza su questo pianeta e, a tale scopo, cerca di farne – ora e sempre – qualcosa di realmente concreto che sia in grado di tornare a scuotere gli animi con la forza delle idee, sia sonore che concettuali (cosa ormai non più comune a molti, vista l’attuale predisposizione ad un nuovo disimpegno o a una finta osservazione di sedicenti verità che, in fin dei conti, non sono più). Mentre il mondo guarda a X Factor e The voice come uniche e sole ancore di salvezza per un’ipotesi di arte (?) musicale capace di privare l’essere umano di una delle sue più imprescindibili vittorie storiche (la libertà di scelta fondata sul libero arbitrio lucido e razionale; ma anche una meritata e sudata monetizzazione del vero talento – di qualunque natura esso sia – a cui non è più concesso uno sbocco coscienzioso e duraturo), giù nelle cantine c’è chi ancora (e da molti anni) sputa letteralmente sangue e sudore, e per sempre continuerà a farlo. E per giunta lo fa guardando, sì, ai maestri di un non lontanissimo passato anche nostrano (prevalentemente il vero rock alternativo di cui tanto – e per fortuna – abbiamo potuto godere nei ’90, complice un asservimento del mercato locale sulla scia di vendite anglosassoni, come è sempre stato e sempre sarà lassù, ai piani alti), ma smontandone le strutture per operare analisi quasi filologiche, in fin dei conti strettamente funzionali a un rimodellamento evolutivo (quando e fin dove possibile, naturalmente) che possa provare a mettere in tavola più o meno nuove basi per eventuali spunti futuri. Questa è la prima e più solida percezione sensoriale fornita dall’aver appena tirato fuori dallo stereo Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare, il nuovo splendido e importante album dei milano-brianzoli ZiDima (Manuel Cristiano Rastaldi alla voce, Roberto Magnaghi alle chitarre, Cosimo Porcino al basso e Francesco Borrelli alla batteria). Parliamoci chiaro, dunque: Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare è un album bellissimo di per sé, anche al di là di ogni eventuale confronto interno con le altre uscite della band. Lo è al punto tale da provocare immediate reazioni emotive e ideologiche (cosa alquanto rara oggigiorno specialmente all’interno dei nostri confini, a quanto pare) ad un primo ascolto anche semplicemente di ispezione complessiva, generando, di conseguenza, l’immediata necessità di riavvolgere il nastro per scandagliare meglio alcuni dei tanti aspetti su cui si fonda l’idea che ne fa da pilastro portante. Non potrebbe essere altrimenti, vista la corposa esperienza dell’agglomerato in questione (attivissimo dal 2004 – in verità anche da prima – e con alle spalle almeno altre sette produzioni discografiche tra ep, singoli e album) e non potrebbe sortire effetto diverso, il tutto, vista la possente mole sonora e discorsiva che, a partire dal titolo prescelto, invoca quel sacrosanto senso di apocalisse terrena che punta a rivendicare il ripristino di una memoria individuale e collettiva da preservare in funzione di una possibile nuova alba. I ponti ideologici e stilistici sono ben chiari: Marlene Kuntz degli esordi e Massimo Volume (questi ultimi apertamente citati, tra l’altro) per quanto riguarda l’impostazione chitarristica e le inflessioni da spoken words clementiane per strutture soniche e testi mortalmente seri e profondi, talvolta complessi ma solo nella misura in cui contribuiscono a creare una fondamentale atmosfera di frammentario divenire. Frammentazione, dunque. È proprio questa predisposizione a rimettere insieme i pezzi di una o tante storie (ispirazioni e rielaborazioni in chiave personale) che invocano anche Fluxus di Pura lana vergine, Santo Niente, Afterhours sia degli albori che delle prime esperienze in lingua madre ma anche escursioni oltreoceano tese a recuperare quanto di più (mai eccessivamente) ostico e spigoloso sia stato sprigionato da eminenze quali Slint, Helmet (almeno un po’) e Melvins. Il tutto concorre a fare di Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare un album magari complesso per i meno avvezzi a simili sonorità (di cui occorre recuperarne memoria prima ancora di compiere tentativi di comprensione) ma di certo particolarmente espressivo laddove le intenzioni convergono in ottiche di analisi del mondo reale attraverso storie individuali (i nomi che costituiscono i titoli dei brani) che giungono alla individuazione di un sé da rimettere in carreggiata sulla scia di un setacciato esistere a cui sono state minuziosamente prese le misure nel corso del tempo (anche a questo conduce la riproposizione audio di un frammento del versante finale di Eternal sunshine of the spotless mind di Michel Gondry nella ghost track). Lo dimostra a chiare lettere un incipit come quello di Vale con tutto il suo noise-post-hard-rock teso e prorompente, roboante sia di senso che di sostanza puramente sonora, per poi lasciare subito spazio alle aperture psichedeliche di Chiara che cedono il posto alla rabbia urlante che confluisce nelle incursioni post-hardcore di Emme che, a loro volta, sfociano sia nei cenni noise (anche un po’ Sonic Youth di Dirty qui, forse) che nei ruggiti pseudo-metal di Anna K, ma si abbeverano anche alla fonte oscuramente alternative-semicantautorale di Roby prima di esalare le ultime prorompenti urla hard con la sostanza tellurica di Zita e la stasi meditativa che esplode nelle folgorazioni di Paolo e Rocco. Sette lettere senza risposta indirizzate ad altrettanti (più uno) destinatari dispersi nel tempo sospeso di un’autobiografia in perpetuo divenire. Sette incentivi a mettere da parte verità edulcorate a buon mercato per riprendere ad asfaltare la via della sostanza contenutistica più vera, sincera, reale. Sette modi per spegnere la febbricitante influenza da baraccone mediatico per riaccendere, appunto, ciò che resta del nostro cervello.

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bandiera_italia   ROCK GARAGE

Tornano dopo 5 anni dal quel Buona Sopravvivenza di cui avevamo parlato qui e che ci era piaciuto molto. Tornano gli ZiDima, una band che ha la grande qualità di pescare dal rock anni 90 ma di avere una personalità molto forte, tanto forte da sembrare una band moderna e unica. Il loro crossover/post-hardcore continua con il medesimo incedere, con gli stessi muscoli che ci avevano fatto sgranare gli occhi 5 anni fa e che ci lasciano tuttora estasiati. Del Nostro Abbraccio Ostinato In Questa Crepa In Fondo Al Mare è il nuovo album e come da loro tradizione non è tutto drumming e velocità, tutt’altro: la storia di Chiara raccontata in strofe laceranti (“portiamo a spasso i sintomi, di chi ha ingoiato spine e dissipato attese”) che poi esplodono in ritornelli detonanti e linee vocali ‘core, perché la vita non è mai sempre la stessa. Già le prime due tracce dimostrano che la band è in grado di creare musica matura e sovradimensionata rispetto alla scena attuale, è necessario entrare nel cuore espressivo del loro stile ma chi vi riesce non potrà fare a meno della loro musica. È proprio quest’alternarsi tra parti arpeggiate e brani da pathos con momenti irruenti e pattern violenti che potrebbe spiazzare l’ascoltatore, ma a nostro parere è l’arma seduttiva degli ZiDima, range espressivo che come una metamorfosi mette in scena tantissime individualità, sempre all’insegna di un’unica personalità musicale (quella post-hardcore? Quella crossover? Quella ZiDima.), partendo dalla morbida ma amara Paolo E Rocco arrivando all’austera e cruda Zita, transitando per la multiforme Anna K.. Un lavoro intenso e stratificato per un rock a tratti avanguardistico dal punto di vista musicale ma anche molto più vicino alla realtà per le idee sprigionate rispetto a tantissime altre band che si dichiarano create per tale intento. Un progetto da seguire.

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bandiera_italia    INDIE PER CUI

Inabissarsi nel profondo ventre di una nave che sta affogando. Cadere all’ingiù. Trovare cosparsi in terra elementi passati, presenti e futuri pronti a diventare poesia, pronti a diventare follia ciclonica, ciclica, mai edulcorata, ma come schiaffo, perpetuata nella violenza di ogni giorno. Ritornano gli Zidima. Ritornano con un disco pregno di lirismo legato ai giorni che verranno. Potenza incontrollata che non accetta le mezze misure, ma si concede fino all’ultimo istante in un’apocalisse di suoni, di rumori, di rigurgiti animaleschi che trascinano l’ascoltatore nel fondo di questa catastrofe. Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare  è un bagliore nella notte più nera. Un fondo oscuro di meraviglia dove le parole hanno un loro peso, dove lasciarsi per poi ritrovarsi vale più di qualsiasi elemento intrinseco al nostro io. Gli Zidima sono tornati. Sono tornati senza mezze misure intrecciando vita sudata e abbandono, voracità sensazionale e fiamme da tenere accese nell’oscurità che avvolge ed inghiotte.

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bandiera_italia    ROCK SHOCK

Il terzo lavoro dei milanesi Zidima esce “grazie al contributo di 8 etichette sparse per la nazione” e si dipana in una mezzoretta di 7 canzoni, che sono poi 7 storie ritagliate su 7 personaggi che urlano la propria indignazione attraverso un muro sonico di matrice hardcore noise. Un lavoro uscito a ridosso della seconda ondata del Coronavirus e che era in mixaggio nello scorso inverno, quindi già pronto nel bel mezzo della pandemia e in caldo da mesi. Un disco con cui i quattro milanesi hanno finalmente fatto i conti dopo tanti mesi di attesa, con un un percorso sonoro elettrizzante che noi di RockShock abbiamo contemplato recensendo prima l’album d’esordio Corbardes e il successivo Buona Sopravvivenza. Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare espone la desolazione umana e l’indolenza della periferia sociale in cui le persone cercano rifugio, un album circondato dall’amarezza e da una violenza verbale su suoni disturbati, pennellati su una autentica personalità, quella di una band coerente con se stessa a partire dalla tonante Vale, primo singolo malato di rabbia, un inno al trovarsi pronti alla guerra perché “ognuno ha la sua battaglia e un conto aperto con il destino”. In Chiara partecipa Alessandro Andriolo, chitarrista della band post black metal dei Selva, devastante quando cantano “ci si annulla sempre per compiacere qualcun altro, lunedì merda, martedì pioggia, mercoledì morte, poi riprendiamo a corteggiare un fallimento”, maledicendo le circostanze che ci portano a labirinti di disperazione in un vorticare noise in cui i membri della band urlano insieme che “non è colpa mia”. L’album ha in sé qualcosa di decadente, l’unione tra canzoni di malessere, rincrescimento e insoddisfazione espresse da una voce narrante e un comparto musicale che non è affatto un semplice accompagnamento alle parole, ma che sottolinea il disagio lirico dei brani attraverso i ritmi spigolosi e le linee melodiche dissonanti. Si appesantiscono i cambi di atmosfera grazie alla rudezza del suono, da trascinanti brani hardcore come l’antifascista Emme urlata contro gli ipocriti che “inneggiano alla bandiera alla patria, alla galera, alla caccia alla frontiera”, fino alle tenui atmosfere noise di Roby, con quel “crollano tutti sul peso degli anni, ma noi sapremo ancora farci male” e “il popolo ha fame” così attuale con la destabilizzazione economica che ci sta colpendo. La voce di Manuel Cristiano Rastaldi è una magia dell’interazione con le parole declamate nel corso delle tracce, dove si si snodano frammenti di sentimenti violenti nei confronti di chi ci vuole ingabbiare, di ricordi che riaffiorano con un odio consapevole, un lato oscuro che ci penetra interiormente e lo tratteniamo perché renda vivo il nostro dolore, perché non vogliamo affatto dimenticare. E’ un cantato tra Massimo Volume, CSI, Fluxus, con testi aspri e drammatici, belli da leggerli perché sembrano proprio ritagliati addosso, come la voglia di non arrendersi di Anna K. , “Ci faremo trovare in piedi comunque nonostante le fughe, le rese obbligate, gli scenari apocalittici”, pezzo tratto in parte da Così che non potranno più prenderci dei The Death of Anna Karina, straordinaria band emiliana della scena hardcore. Del nostro abbraccio è un lavoro che conferma la maturità di questi ragazzi che mi lasciano con i brividi addosso nell’ultima traccia Paolo e Rocco, canzone impressa su due personaggi in lotta con se stessi e di canzoni che ci hanno salvato tante volte dal buio dentro noi stessi. Super.

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bandiera_italia  ROCK TARGATO ITALIA

Gli ZiDima girano ormai da qualche lustro nel più polveroso underground rock lombardo ma, per fortuna, sembrano essere ancora determinati a smentire il luogo comune secondo cui chi nasce incendiario deve per forza morire pompiere. “Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare”, nuovissima prova discografica della band, è infatti un lavoro in cui il sacro fuoco del noise arde ancora a profusione con una carica emotiva enorme. Un concentrato ad alta intensità di storie urlate e urgenza comunicativa che naviga fra chitarre distorte e ritmiche importanti in puro stile anni ’90.

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bandiera_italia   MUSIC.IT

Tornano a rompere nuovamente la loro giara, dopo cinque anni di preparazione, gli ZiDima, con il loro ultimo album: “Del Nostro Abbraccio Ostinato in Questa Crepa In Fondo Al Mare”. I conciabrocche più frizzanti della scena alternative rock tornano, dopo il loro ultimo successo “Buona Sopravvivenza”, a raccontarci con molteplici punti di vista i loro conflitti interpersonali, i loro amori sofferti e le loro inquietudini. Una sorta di autobiografia in musica, un “mini-Decameron” dai toni post-punk che colpisce dritto al cuore e continua a portare alto il nome degli ZiDima. Sette tracce, otto personaggi con le loro disavventure e una sola storia: quella degli ZiDima, che le racchiude tutte. Con un incipit ex-abrupto, “Vale” è il singolo che apre l’album e ci catapulta nel mondo degli ZiDima con energia e brutalità. Da questa traccia è stato tratto l’omonimo videoclip che vede come protagonisti i ragazzi del centro sociale Foa Boccaccio di Monza. Gli ZiDima, con le loro sonorità acri e abrasive ci stringono in un «abbraccio ostinato», e ci scortano tra i ricordi e le immagini di una cruda realtà con la quale sembrano aver preso ormai confidenza. È lo stesso abbraccio che irrompe, vestito di un nero carbone, sul fondo rosso della copertina realizzata da Antonio Foglia. Un’illustrazione che colpisce e rende il concept dell’album ancora più mirato ed omogeneo. Nulla è lasciato al caso, ce lo dimostrano i riferimenti e le citazioni sparpagliate qua e la nei testi laconici e viscerali della band. Alcune velate, altre esplicite, come quella al pezzo “Anna K.”; chiaro riferimento al gruppo screamo italiano The Death Of Anna Karina, con i quali gli ZiDima hanno condiviso più volte il palco. Cari ZiDima, se mai noi di Music.it dovessimo finire in una crepa in fondo al mare, porteremmo sicuramente con noi una copia del vostro album!

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bandiera_italia   SUFFISSO-CORE

C'è una crepa in fondo al mare ed i milanesi l'hanno scoperta, ne hanno celato il segreto e, dopo avere valutato tutte le possibilità, hanno deciso di renderla il loro rifugio, un luogo di assoluta intimità dove cullarsi in un breve ma solido abbraccio. Un abbraccio così ben rappresentato in copertina, con un rosso predominante che sarebbe piaciuto tanto a Krzysztof Kie?lowski. Il successore di 'Buona Sopravvivenza' è l'album della maturità per questi ragazzi che amano il post-hardcore ed il noise, sanno scrivere le canzoni e non vogliono essere catalogati. Come suggerito nella recensione del disco precedente, non avrebbe alcun senso etichettare un gruppo che fa tutto per apparire originali. Ho come l'impressione che tanti addetti ai lavori finiranno per associarli ai Marlene Kuntz, per la capacità di fondere energia e liriche impegnate, oppure ai The Death Of Anna Karina, vista la citazione del titolo da 'Lacrima/Pantera'. Il consiglio invece è quello di lasciarsi trascinare dalla cura dei dettagli di sette storie apocalittiche e oscure, perché si può solo innamorarsi di loro. 'Anna K.' è un personaggio da film, 'Roby' la scusa per ascoltare una delicata melodia prima di essere presi a schiaffi dagli altri pezzi del disco. Tra questi, 'Chiara', allucinante crescendo impreziosito dalla collaborazione con Alessandro Andriolo dei Selva. I riflettori sono però quasi tutti per Manuel Cristiano Rastaldi, cantante che potrebbe misurarsi su qualsiasi genere e che dal vivo promette spettacolo.

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bandiera_italia   IL MEGAFONO

La prima cosa che ci ha colpito dei ZiDima, ancora prima di poter ascoltare una qualunque delle loro tracce, è stato il concept e il messaggio musicale con il quale nel presskit presentano il loro terzo album. È un messaggio profondo e intenso, che mette in primo piano l’altro anziché se stesso, palesando un senso di altruismo e di comunità che è di sicuro un grande esempio, specie per il particolare momento che sta passando la nostra società. L’album dei ZiDima, uscito lo scorso 10 ottobre, si intitola “Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare”. Un titolo lungo ma pieno di significato, per un disco strutturato con sette inediti, ciascuno dei quali è il riferimento (come si può evincere dalla tracklist) ad una persona venuta in contatto con la band. Sono storie complesse, fatte di scelte difficili, che hanno toccato nel profondo i membri di questa band, che hanno quindi deciso di metterle in musica. Per farlo i ZiDima si avvalgono di un sound potente, un’onda d’urto che colpisce senza preavviso, entra prepotente dai timpani e arriva dritta all’anima. È uno stile che si aggira intorno ai sottogeneri della musica rock odierna, quella in cui convergono tante belle sfumature e nella quale è possibile ricamare con una grande libertà le proprie sensazioni artistiche. Nella musica dei ZiDima il rock alternativo si manifesta in un modo tanto eterogeneo quanto interessante, proprio perché ben equilibrato nonostante le elevate sonorità. Ci sono chiari riferimenti al noise e al post-rock, ma prestando attenzione alle tracce presenti in questo loro ultimo album non si può non percepire anche qualcosa di hard-rock. Una voce urlante e graffiante catapulta l’ascoltatore nella scena sonora, facendogli capire fin da subito qual è l’ambientazione. Basso e batteria tengono energeticamente tutto sotto controllo, scandendo il ritmo e mantenendo il tutto ancorato entro quell’equilibrio e quella eterogeneità a cui ci riferivamo prima. Infine la chitarra che, come spesso capita, è lo strumento un po’ più in primo piano e che detta le linee melodiche, creando movimento e abbellendo l’armonia di base. I ZiDima, dunque, ci hanno convinto e il loro album merita di essere ascoltato perché è capace di presentare una musica ben strutturata che, inoltre, in una grande dimostrazione di empatia, riesce a rappresentare sentimenti ed emozioni.

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bandiera_italia   TREMILA BATTUTE

Ci sono due modi di inquadrare un disco come Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare, quello attuale e quello universale. La rabbia e l’energia che emanano dall’ultimo disco degli ZiDima possono essere viste infatti come il grido di un’umanità esasperata, vittima oltre che dei propri problemi anche di una situazione di cui aspettiamo ancora la fine; per chi li conosce meglio, invece, l’album non è nient’altro che la prosecuzione di un cammino tanto sonoro quanto politico da parte di una band che da sempre dice quel che pensa, e quel che pensa non può fare a meno di passare per una musica energica quanto loro, nel caso specifico un mix di noise e tanto post hardcore. Entrambi le visioni condividono una parte di verità. Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare nasce infatti dalle storie di persone con cui gli ZiDima sono entrati in contatto, raggruppate per farne un piccolo specchio del mondo reale in un periodo in cui tutto sembra irreale, ma la dedica (“a chi continua sentirsi vivo e pericoloso”) indica la prosecuzione della lotta, non certo una pausa di riflessione, prova ne sia anche solo il testo di Emme: frasi come “qui nessuno ha perdonato né mai dimenticato/ e aspetto di vedervi sventolare giù a Loreto” sono una chiara presa di posizione e, allo stesso tempo, la naturale prosecuzione di un discorso, se è vero che sul precedente disco annunciavano (in Come farvi lentamente a pezzi) “ci riposeremo solo quando avremo vinto”. Lotta e cicatrici, di questo parlano le canzoni degli ZiDima, storie accompagnate da tanta furia ma anche da momenti più tranquilli. Sotto questo aspetto la band dimostra una varietà stilistica maggiore rispetto al passato, alternando distorsioni e melodie in maniera molto efficace anche all’interno dello stesso brano. Ne sono prova canzoni come Roby, blanda e delicata ma che quando s’infiamma ha la potenza dei più coinvolgenti canti di piazza (e il coro intona non per niente, anche per il momento storico, “il popolo ha fame”), o la conclusiva Paolo e Rocco, dolce ed empatica ma, anche in questo caso, non arresa. Nel secondo caso è la voce di Alessandro Andriolo dei Selva a guidare la carica, un’ospite che si dimostra importante ogni qualvolta viene chiamato a dare energia con le sue grida. Il lavoro sui suoni operato dagli ZiDima è magistrale. In Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare c’è la potenza degli strumenti, che quando si uniscono come in certi momenti dell’iniziale Vale e di Zita creano un fronte granitico, ma quello che stupisce di più è l’attenzione al dettaglio. Lo si nota particolarmente in Chiara, dove a strofe arpeggiate che ricordano vagamente le atmosfere livide degli Alice in chains più presi male si associano ritornelli in cui il violino si innesta a meraviglia con le distorsioni, creando un effetto quasi drammatico (acuito, anche qui, dalla voce di Andriolo), e parlando di strumenti “esterni” è ottimo anche l’inserimento della tromba nel finale della già citata Roby. Una nota stonata però c’è, ed è il volume della voce nel mix generale: che l’intenzione della band fosse quella di ottenere un’amalgama il più possibile compatta è chiaro, ma per riuscirci sacrificano troppo le grida di Manuel Cristiano Rastaldi, un peccato grave se si considera l’alta qualità dei testi. Gli ZiDima hanno sfornato un disco potente e incisivo, liberatorio e libero, importante soprattutto (ma non solo) per questo periodo complicato. L’album vede la luce grazie al contributo di ben otto etichette (che vale la pena citare tutte: Boned Factory, Brigante Records, Fresh Outbreak Records, Gasterecords, I Dischi del Minollo, In Circle Records, Nel mio nome Dischi e Truebypass), ed è un peccato che la situazione attuale impedisca di godere di queste canzoni dal vivo.

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bandiera_italia  RECE INDIE

Nuovo album per la band lombarda. Sette canzoni, sette storie, sette personaggi (più uno). Una sorta di piccolo specchio del mondo reale con cui abbiamo finalmente fatto i conti. Canzoni fatte di inquietudini e scelte, estreme ma liberatorie, che hanno lasciato un segno indelebile su di noi e magari hanno anche un nome. Il pathos, il mood, inquieto e soffocante si traducono in sound sporco, martellante, amaro, un sound fatte di chitarre selvaggie e distorte, basso viscerale e percussioni dritte come una spada: i suoni sono diretti, ti entrano nella ossa e fanno tremare la colonna vertebrale. Insieme ai suoni arriva la voce: una voce violenta che urla parole forti e piene di sentimenti, che ti fanno sussultare l'animo, ti trafiggono nel profondo, ti fanno paura perchè mostrano il lato più duro della realtà. "Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare" è un' amalgama perfetta di rabbia, noise rock, emozioni e post hardcore.

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bandiera_italia   METAL ITALIA

“Il disco è composto da sette canzoni, sette storie, sette personaggi (più uno). Una sorta di piccolo specchio del mondo reale con cui abbiamo finalmente fatto i conti. Un titolo lungo e pretenzioso, che è anche un riferimento diretto al periodo e al modo in cui è nato questo disco. Le canzoni raccontano le inquietudini e le scelte, quasi sempre estreme e liberatorie, di persone con cui siamo entrati in contatto, e portano i loro nomi”. Crediamo sia abbastanza esemplificatrice questa descrizione, da parte della band stessa, del loro nuovo lavoro “Del Nostro Abbraccio Ostinato In Questa Crepa In Fondo Al Mare”, altro tassello noise-rock italofono dei lombardi Zidima. Con un nome che continua a richiamare una certa tradizione culturale, musicale e letteraria (che da Pirandello arriva a Tenco, senza dimenticare anche una certa tendenza da Capovilla e Emidio Clementi) i nostri riescono ancora a tirare fuori dal cilindro un discorso diretto, estremo, sfacciato e intrigante, riuscendo nell’impresa di emergere da quel calderone da cui difficilmente – di solito – si riesce ad uscire, soprattutto in suolo italico. Le riprese degli stilemi che han fatto la fortuna dei primissimi Marlene Kuntz, dei Massimo Volume, dei Death Of Anna Karina (soprattutto!), dei One Dimensional Man, dei Marnero e dei più nuovi Storm {O}, sono sicuramente coordinate in cui inquadrare il discorso degli Zidima ma non per questo diventano gli unici quadranti in cui settare la musica dei ragazzi di Monza, attivi dai primi del Duemila (quasi vent’anni di attività alle spalle). Se il pubblico, però, resta quello del post-hardcore sbraitato, con retroscena da centro sociale e letture politicamente orientate, il tutto è però condito con una personalità vera e uno spirito proprio, che contraddistingue nuovamente la proposta dei monzesi.
Le tracce, pur non differenziandosi particolarmente nella forma e nelle intenzioni (e nemmeno, appunto, dal genere di riferimento), si sviluppano intorno all’immaginario attorno al quale ruotano i rispettivi personaggi e dunque alle liriche connesse con momenti/eventi/situazioni. Una “Emme” che sta forse per l’emblema fascista impiccato a Piazzale Loreto (“come sventoli da appeso?”), “Anna K.” con un tributo a Giulio Bursi di “Lacrima/Pantera” e da cui viene tratto il titolo del disco, “Paolo e Rocco” con altrettanto esplicito riferimento ad un tatuaggio dei Massimo Volume. Tutto contribuisce a creare una zona di somiglianza/appartenenza ad un panorama specifico alternative italiano che ormai possiamo definire storico. E esattamente in questo si settano gli Zidima con questo nuovo lavoro. Ed è esattamente in questo in cui li si appoggia con un applauso, godendosi una buona mezz’ora di vera musica underground alternative incazzosa e ancora romanticamente idealista.

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bandiera_italia   PARCO PARANOICO

Volgere lo sguardo dentro di sè, ascoltare il rumore della propria solitudine e raccontarlo a chi ci sta attorno; a colui o colei che incrocia, anche solo per un attimo, il nostro sguardo e poi al mondo intero. Una narrazione, a tratti ossessiva, che attraverso le sue sette vicende umane, attraverso le sue vibranti trame noise rock, le unghie conficcate nell’hardcore più viscerale ed affamato degli anni Novanta, attraverso i malinconici flashback onirici e le sue martellanti e liberatorie accelerazioni, tenta di strappare via quella rete di protezione che, spesso, avvolgiamo attorno alla nostra inquietudine ed alle nostre piccole e grandi insoddisfazioni. Una rete che è fatta di persone, di luoghi, di giorni, di cose che ci servono solamente a coprire il vuoto e soprattutto ad allontanarci da quelle che dovrebbero essere, invece, le scelte vere, le scelte pericolose, le scelte che metterebbero davvero in luce quella che è la nostra essenza. La band milanese riversa tutta la sua rabbia e le sue energie su questo vuoto disumano: le parole gridate, i momenti più meditativi e rarefatti, i riff taglienti, le ritmiche incalzanti, le esperienze di vita vissuta, un tracciato cardiaco che parte dai Sonic Youth ed arriva ai Massimo Volume, dai quali, a volte, hanno quasi il timore di staccarsi. Ogni sforzo è finalizzato a strappare via quei vuoti che ci impediscono di essere umani e che, come chiodi, penetrano nella carne viva e ci rubano le nostre emozioni, i nostri sentimenti, la nostra capacità di sognare.  Ma, alla fine, ciò che conta è che non siamo più così soli, ci ritroviamo ad essere finalmente i protagonisti dei queste sette storie e non più i semplici spettatori/ascoltatori; abbiamo fatto nostre queste giornate agitate che gli Zidima hanno trasformato in veri e propri pugni contro il ventre molle ed assuefatto del sistema neoliberista che tenta, in tutti i modi possibili, di inculcarci la cultura della paura e farci sprofondare, di conseguenza, in quell’abisso di solitudine che poi vorrebbe farci riempire con cose, oggetti, soldi, idee, comportamenti, lunedì di merda, martedì di pioggia, mercoledì di morte, con i quali brama tenerci buoni e costantemente soggiogati. Ma per quanto tempo ancora dovremo ascoltare questa stessa canzone?

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bandiera_italia  HARD SOUNDS

I milanesi Zidima sono in giro dalla fine degli anni '90, ma produttivamente attivi dal 2009 col disco d'esordio 'Cobardes'; con la pubblicazione 'Del Nostro Abbraccio Ostinato in Questa Crepa in Fondo al Mare' raggiungono la terza uscita sulla lunga distanza, non si può dire che non ponderino ciò che producono. Il nuovo lavoro contiene sette canzoni, sette storie, sette personaggi con cui sono entrati in contatto, e portano i loro nomi e le cicatrici della band. Musicalmente hanno indurito quel noise rock presente nel precedente 'Buona Sopravvivenza' di chiara matrice Marlene Kuntz - "Rita" - con testi filo-CCCP, enfatizzato per l'occasione da un post-hardcore bello tosto senza disdegnare il post rock - vedi "Roby" e "Paolo e Rocco" - ed il jazz noise dei troppo sottovalutati Prohibition francesi. Ciò che ci colpisce della loro discografia è la sinergia di ben otto label per permettere l'uscita del disco, a testimonianza dello status di cui la band gode. Meno accattivante del precedente lavoro, ma più intenso.

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bandiera_italia   TRAKS

Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare è il titolo, lungo e doloroso, del nuovo disco degli ZiDima. Band noise/post hardcore attiva da inizio Duemila o giù di lì, realizzano un nuovo disco da sette canzoni in cui l’energia primigenia si accompagna alla voglia di raccontare.“Il disco è composto da sette canzoni, sette storie, sette personaggi (più uno). Una sorta di piccolo specchio del mondo reale con cui abbiamo finalmente fatto i conti. Un titolo lungo e pretenzioso, che è anche un riferimento diretto al periodo e al modo in cui è nato questo disco. Le canzoni raccontano le inquietudini e le scelte, quasi sempre estreme e liberatorie, di persone con cui siamo entrati in contatto, e portano i loro nomi”.Citano Tenco, ma in modo leggermente stravolto, almeno a livello sonoro, gli ZiDima: Vale apre il discorso in maniera inequivocabilmente rumorosa ma anche romantica, per certi versi.Risonanze inquietanti quelle di Chiara, che prevede l’intervento di Alessandro Andriolo e di un drumming quasi marziale, a introdurre un brano più recitato che cantato, avvolto da pessimismi quasi soffocanti. Poi si esplode tra urla e vibrazioni noise.Nessun compromesso invece per Emme, che picchia fortissimo dalla prima all’ultima nota del suo minuto e mezzo abbondante. Ha un passo variabile ma piuttosto epico Anna K., con qualcosa dei Marlene Kuntz d’antan che emerge dal cantato.Inizio a profilo basso per Roby, che inizia a parlare di infezioni e a sobbollire gradualmente. Zita altrettanto viaggia in modo sotterraneo ma si fa più ambigua, con le chitarre che serpeggiano prima di esplodere.Si chiude con il brano più lungo, Paolo e Rocco, che ha inizio in modo tranquillo e intimo, per parlare di sensi di colpa, di tatuaggi, citando (per nome, e sicuramente non a caso) i Massimo Volume. Finale parossistico e allungato.Come al solito le canzoni degli ZiDima risultano in un pugno nello stomaco, ma la scelta dei sette ritratti rende più fruibili anche i testi e nel complesso più organica l’opera. Band che viaggia sotto traccia ma che è decisamente degna di attenzione, forse non solo dalla nicchia degli amanti del genere.

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

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