Potreste raccontarci la storia della vostra band e da cosa è stata dettata la scelta del nome?
TEO: La band è nata nel lontano 2014 dal nucleo della band alternative rock _Il Rumore della Neve_ che eravamo io, Andrea (batteria) e Tolo (chitarra). Ci eravamo appena separati dal nostro cantante e avevamo voglia di sperimentare; proprio in quel periodo io e Tolo ci eravamo avvicinati al Post-Rock e abbiamo deciso d’intraprendere quella strada. Il cerchio si è chiuso con l’entrata di Beppe alla seconda chitarra e la nascita ufficiale dei NORTHWAY. Per quanto riguarda il nome, nelle prime prove ci facevamo chiamare _Verne_, ma dato che non ci convinceva abbiamo passato mesi fra proposte e idee scartate. Il nome definitivo è sorto dal nulla, una sera Andrea ha detto_ Norway_ in merito a non ricordo cosa e così si è saltati a NORTHWAY: approvato all’unanimità.
ANDREA: Sì, è stato proprio così! Diciamo che un paio di birre e quattro chiacchiere sono state sufficienti, in una serata di assoluta normalità e spensieratezza, a far saltar fuori appunto il nome Northway_ che ci ha convinto sin dall’inizio. Subito dopo la separazione dal cantante c’è stato un periodo di smarrimento, ma fortunatamente è terminato in brevissimo tempo. Grazie ai suggerimenti musicali di Matteo e Tolo anch’ io feci il primo approccio con il post-rock e fu subito “amore”. Così è iniziato il nostro nuovo percorso musicale nel quale si sono alternati ingressi e anche uscite di alcuni componenti della band. Questa cosa è stata molto di aiuto anche per farci capire qual’ era e quale tuttora è la nostra strada e la direzione musicale che abbiamo preso e vogliamo mantenere.
Quali ascolti personali sono confluiti nel progetto Northway?
ANDREA: per quanto riguarda i miei riferimenti musicali posso definirmi un “nostalgico”. Nostalgia di quei gruppi alternative anni 80/90 come CCCP, CSI, Afterhours, Marlene Kuntz che tutt’ora ascolto per la maggiore. E anche qualcosa di cantautorato italiano.
LABO: ascolto vari tipi di musica dall’Ambient al Surf anni 60, dal Jazz al Noise, ma il mio modo di suonare è decisamente influenzato e derivato da riferimenti musicali che si basano sulla Darkwave, il Post-Punk e lo Shoegaze e DreamPop anni 80/90.
TEO: io ascolto di tutto e vado a fasi, quindi sento cose diverse durante l’anno: mi definirei stagionale. Ai tempi della nascita dei Northway ascoltavo moltissimo alternative-rock, poi sono passato al post-rock, shoegaze, dream-pop. Amo anche il cantautorato italiano e tutto il brit-rock.
SIMO: I miei riferimenti musicali sono vari, spaziano dal pop-alternative al cantautorato, dalla Britpop all’indietronica, dallo shoegaze al dreampop. Mi piace la musica bella :)
DA COSA NASCE L’IDEA DI FARE MUSICA STRUMENTALE? E COME SI ADATTA AL LIVE?
TEO: Come dicevo sopra, durante la nascita dei Northway io e Tolo ci eravamo avvicinati al post-rock, tramite ascolti casuali e già nei pezzi della precedente band avevamo inserito quelle sonorità. L’abbandono dell’allora cantante ci ha dato lo slancio per provare la cosa ed è una scelta che non rimpiangerò mai. Per il live all’inizio avevamo molta paura, nessuno di noi aveva mai fatto strumentale e non sapevamo come il pubblico avrebbe reagito. Ma fin dai primi concerti abbiamo scoperto che la gente non scappava, anzi, era molto interessata e si faceva trasportare dai nostri viaggi sonori. Dopo tutti questi anni posso affermare che il genere è più facile da ascoltare live rispetto che su disco per un non appassionato.
LABO: Mi sono avvicinato al post rock per caso, senza cognizione di causa, senza essermi detto: _voglio suonare post rock strumentale_! Da qualche mese avevo lasciato la mia band precedente poiché personalmente mi trovavo in un periodo di stasi e aridità creativa e motivazionale, poi un giorno ho semplicemente intercettato per caso un pezzo dei _This Will Destroy You_ che mi ha letteralmente folgorato. Ho quindi deciso di approfondire e ho iniziato ad appassionarmi al genere. Qualche mese dopo sono stato contattato dai Northway che stavano cercando un chitarrista e così tutto ha avuto un senso!
SIMO: Erano i primi anni duemila, anni di strepitoso fermento per la musica, anche per le band Italiane. Tanto per fare qualche nome, c’erano gruppi come Yuppie Flu, Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo, Giardini di Mirò: quando uscì _Rise and Fall of Accademic Drifting _ad esempio, il disco rimase mesi e mesi nel lettore della mia auto. Formai una band e le chitarre di Reverberi e Nuccini hanno contribuito a contaminare il mio suono, ma non ho mai rinunciato alla voce come strumento per raccontare quello che non si riesce a raccontare con la sola musica. Poco più di un anno fa, forse per nostalgia, forse per la voglia di spiegare con la musica quello che con le parole non ero ancora riuscito a dire, mi sono imbattuto nella ricerca di altri musicisti, con l’intento di suonare post-rock strumentale. Così ho scritto un annuncio online. Dopo poco tempo sono stato contattato da un certo Luca. Era il chitarrista di una band post-rock ferma da qualche anno, stoicamente sopravvissuta al tempo, i Northway. Andai subito ad ascoltare su Spotify, mi piacque un sacco e, senza tante parole, eccoci qui!
AVETE MAI PENSATO A DELLE SONORIZZAZIONI? CREDO CHE IL VOSTRO SOUND POSSA ADATTARVISI BENE.
LABO: Già da qualche anno alcune colonne sonore di film e Serie TV contengono canzoni di gruppi post-rock e addirittura alcuni gruppi post-rock stessi hanno composto intere colonne sonore come ad esempio i Mogwai o gli Explosions in the Sky… Quindi sì, un pensiero lo abbiamo fatto.
Teo: Si è vero ci abbiamo pensato più e più volte. Non ti nego che ogni volta che nasce un nuovo brano io nella mia testa ci incollo sopra scene, sensazioni e immagini facendomi un film in testa. È quasi naturale e credo che non sono il solo a farlo nella band. Poi non è mai arrivata l’occasione giusta, anzi se qualcuno legge e ci vuole fare sonorizzare qualcosa, scriveteci :-)
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Benvenuti su system failure. Ci presentate il vostro progetto musicale? Come vi siete conosciuti?
Antonio: I Northway nascono dalle cenere de Il Rumore della Neve gruppo alternative rock nato nel 2009 dall’incontro mio con Matteo Locatelli e Andrea Rodari. Dopo l’abbandono del cantante abbiamo cercato nuovi stimoli e nuove idee e, aiutati dalla scarsità di cantanti in circolazione, abbiamo fatto di necessità virtù e abbiamo puntato sulla musica strumentale e sul post rock più in particolare.
Matteo: Con Antonio e Andrea suoniamo già da più di 10 anni. Luca è arrivato grazie a un annuncio su internet dopo che il nostro precedente chitarrista aveva lasciato il gruppo. In realtà Luca lo conoscevamo già di vista, avevamo assistito ai concerti della sua band, era un gruppo abbastanza noto nella bergamasca (Violaspinto N.d.r.). Ci si incrociava anche in sala prove qualche volta, idem ai concerti, però, per i casi della vita, prima dell’annuncio non ci eravamo mai conosciuti veramente..
Come è nata in voi la passione per la musica?
Matteo: La musica mi è sempre piaciuta fin da piccolo. Mi sono trovato un basso in mano nella tarda adolescenza, mi era venuta voglia di suonare perché sentivo il bisogno di dare sfogo a sentimenti forti che mi investivano in quel momento così sono entrato in un negozio di strumenti e fra chitarra e basso ho scelto quest’ultimo. Poi è stato amore.
Andrea: In me è nata quando a 14 anni ho trovato un tamburo abbandonato.. e da li non ho più smesso di suonare
Antonio: Per me tutto è partito da una musicassetta dei Queen regalata dal cugino più grande. Consumata su un vecchio walkman anni 90 … poi da lì la scoperta dei Radiohead
di “The Bends” e “OK computer”…da lì è cambiato tutto
Luca: Io devo tutto a mio nonno che, quando ero piccolo, ha insistito per farmi prendere lezioni di clarinetto: lui suonava il Sax e la fisarmonica. Dal clarinetto poi sono passato a strimpellare il pianoforte e la chitarra.
Come prende forma una vostra canzone? Parlate del processo creativo alla base….
Luca: La composizione dei nostri brani avviene prevalentemente in sala prove. Lo spunto per un nuovo brano può partire da un riff di chitarra, da un ‘idea di basso o batteria che viene poi lavorato da tutti noi. I primi minuti di ogni prova sono sempre dedicati all’improvvisazione, che utilizziamo anche come riscaldamento per sciogliere un po’ le dita… Siamo soliti registrare sempre questi momenti e andarli a riascoltare successivamente. A volte su 15 minuti di registrazione salviamo un paio di idee sparse utili per creare nuovi brani, molto spesso invece sono tutte idee da buttare, allora cestiniamo il tutto e ripartiamo da zero.
Antonio: Da cosa nasce cosa, un pezzetto alla volta e pian piano la canzone prende forma. E’ un processo lungo per la maggior parte delle volte, mentre altre volte avviene di getto. ll bello del post rock è che non ci sono regole c’è massima libertà.
Abbiamo ascoltato “The Hovering”: Dove è stato registrato? Difficoltà nel processo di registrazione?
Antonio: Le registrazioni sono avvenute presso il Trai Studio di Inzago, bellissimo studio gestito dal buon Fabio Intraina. Trovo che il suo studio sia come una di quelle vecchie trattorie di un paesino toscano…piccolo, accogliente, famigliare e con tanta roba buona da mangiare. Quei posti dove staresti fino a sera, satollo di vino rosso felice e sereno pensando solo a far quel che ti piace: suonare!
Luca: Fabio ci ha subito messo a nostro agio e non mi pare di aver riscontrato nessuna difficoltà nel processo di registrazione. I pezzi erano già stati rodati in sala prove e siamo quindi giunti al lavoro di studio già preparati. Inoltre, come detto da Antonio, durante le giornate di registrazione, in sala relax vi erano sempre una bottiglia di vino e un tagliere di salumi e formaggi che ti permettevano di de-stressare e creare un clima ancor più conviviale e cameratesco.
Andrea: Per la registrazione in presa diretta e per le sovra-incisioni tutto è filato liscio, forse il mix si è rivelato particolarmente ostico in alcuni punti, ma nessuna grave difficoltà che un buon calice di vino non abbia poi appianato. (risate)
C’è una traccia del disco che preferite?
Matteo: Vado a giorni alterni, ma le mie preferite sono “Hope in the Storm” e “Point Nemo”.
Antonio: “Hope in the Storm” per come è strutturata e per come è nata (da una traccia eseguita con un bit-chrusher … pedale incompreso). “Deep Blue” è la traccia che preferisco suonare … cavalcata pos-trock per eccellenza
Andrea: ogni canzone ha la sua personalità, mi piacciono tutte e non ne ho una preferita al momento…
Luca: si, trattandosi di un concept album faccio fatica anche io a scindere le varie canzoni.. Però direi “Deep Blue”, la prima traccia che abbiamo composto insieme quando sono entrato nella band.
Cosa rappresenta l’artwork del disco?
Luca: L’immagine di copertina è un disegno dell’illustratore e designer grafico Alessandro Adelio Rossi. L’abbiamo scelta perché come immagine la trovavamo significativa del titolo e dell’atmosfera dei brani. Inoltre Alessandro è stato il chitarrista dei Verbal, famosa post-rock band di Bergamo di qualche anno fa, quindi vi erano anche dei punti di attinenza con la nostra musica.
Antonio: Rappresenta il ”galleggiare” lo “stare sospesi” .. è quello che si prova a volte suonando post rock. Chiudi gli occhi e ti lasci dondolare.
“The hovering” viene definita dalla band come “un’alchimia strumentale, schizofrenicamente post-rock e nostalgicamente psichedelica.” Potete commentare queste parole?
Luca: Eh.. più facile a dirsi che a spiegarsi.. Diciamo che suoniamo del buon vecchio post-rock rigorosamente strumentale, i brani nascono dall’unione delle nostre 4 sensibilità musicali che hanno si dei tratti in comune derivanti da ascolti di band storiche come Mogwai, Pink Floyd, Sigur Ros, Radiohead…ai quali andiamo però ad aggiungere anche le nostre singole personalità e sfaccettature, che in alcuni tratti sono anche in antitesi.. e ciò causa ogni tanto delle crisi schizofreniche all’interno del gruppo… o no? Ho detto bene?
Antonio: E’ un misto o unione di tante tipologie di musiche e generi, prende un pezzo da ognuno di noi.
Matteo: Luca e Antonio han detto bene, io inoltre definisco i nostri pezzi dei “viaggioni” è da li che arriva il termine psichedelico. Immagino spesso i nostri pezzi ascoltati da degli hippy in un furgoncino a spasso per qualche polverosa strada americana.
Come è stato collaborare con Fabio Intraina e Giovanni Versari?
Matteo: Come già precedentemente detto Fabio Trai lo conosciamo bene è ormai un amico, da lui ci sentiamo a casa ed è proprio bello registrare sentendosi così. Anche il nostro disco precedente (Small Things, True Love, N.d.r.) lo avevamo registrato da lui.
Antonio: Con Fabio ci si sente a casa. E’ il padrone della trattoria che ti fa sentire coccolato, che ti sa guidare e anche bastonare quando serve. Con Giovanni non abbiamo parlato direttamente, ma lo conoscevamo per tutti i suoi lavori e sapevamo che avrebbe tirato fuori un gran suono. Il suo master è stata la ciliegina sulla torta.
Come state vivendo l’emergenza coronavirus? Quanto vi ha danneggiato?
Luca: A livello personale siamo stati fortunati, nessuno della nostra famiglia e dei nostri cari è stato colpito in maniera grave. Per il resto invece…
Antonio: Dovevamo presentare il disco il 20 marzo, poi tutto è saltato. Penso che ci stia ancora danneggiando, pensando ai Live che avremmo voluto fare durante l’estate e che purtroppo difficilmente faremo data la fragilità del periodo. Peccato.
Matteo: E’ un periodo difficile sotto molti aspetti e parlando del piano musicale è un mezzo disastro, trovare locali dove suonare in questa stagione autunno inverno è un’impresa piuttosto ardua. Per fortuna per il release party abbiamo trovato l’Ink Club di Bergamo che è stato coraggioso e non ha voluto mollare e smettere di credere nella musica.
Siamo in un mondo in emergenza sanitaria, economica e climatica. Ebbene, quale è il ruolo della musica in questo mondo?
Andrea: una valvola di sfogo sicuramente…
Antonio: Sicuramente ha anche un ruolo di sostegno soprattutto psicologico : è una via di fuga dal casino che c’è. Anche se una persona non suona può trovare rifugio nella musica ascoltata..ancor più se si è musicisti si può trovare tempo e stimoli per comporre e suonare.
Luca: Oltre a sostenere e fare stare bene le persone il ruolo della musica deve essere culturale, per educare e formare gli esseri umani. Un disco in sé non può impedire lo scioglimento delle calotte polari e anzi, forse la fabbricazione di un CD crea CO2, però la musica è cultura e la cultura può aprire le menti, sensibilizzare le persone a determinate tematiche, fare conoscere le diversità.
Oltre la musica che arti preferite?
Antonio: Cinema e Fotografia
Luca: Letteratura e Fotografia
Matteo: Lettura al primo posto sono un grande appassionato di fantascienza, poi amo molto il cinema, specialmente quello di fantascienza, giusto per non essere monotono!
Andrea: vivendo in montagna e amando la montagna mi viene solo da dirti: La Natura
Talento, tecnica e studio. Come si devono intrecciare in un artista?
Antonio: Io personalmente non ho nessuna delle 3 cose … si dovrebbero intrecciare all’unisono ma purtroppo causa lavoro, famiglia e altro non si riesce sempre a coltivarli. Per fortuna c’è la passione e la voglia di buttarci dentro il cuore. Basta chiudere gli occhi e lasciarsi andare…accendendo qualche Delay o Riverbero.
Luca: Penso ci debba essere un giusto mix tra le tre. Un pittore può avere talento, ma se non applica anche studio delle tecniche non riuscirà mai ad affinare la sua arte. Così come invece chi possiede solo la tecnica e studio creerà un arte sterile se non avrà anche un pizzico di talento.
Matteo: Io sono partito con tanta tecnica, anni fa credo di essere stato un bassista più virtuoso e bravo rispetto a ora. Poi ho dimenticato tutto e sono diventato un artista migliore (sempre modestamente parlando eh, alla fine sono un signor nessuno!). E’ difficile da spiegare, ma troppa tecnica spesso ti limita dal punto di vista creativo. Uno suona per dimostrare quello che sa fare, quasi fosse un fenomeno da baraccone e spesso perde di vista la cosa più importante il pezzo/brano. Alla fine quando capisci il tuo ruolo nella band, che il pezzo che stai suonando è più importante della tua parte e che se suoni una nota al posto di dieci, ma per il pezzo è giusto così, hai già fatto un grosso passo in avanti.
Se la vostra musica fosse una città contemporanea a quale assomiglierebbe? E se fosse un libro, un film o un quadro?
Matteo: A Tokyo una città composta da molte quartieri che sono città, senza un vero centro, ogni quartiere con la sua anima, ma che uniti insieme fanno una delle città più belle che abbia mai visto. Tante anime unite assieme molto Northway.
Antonio: Città : Reykiavik, Libro: Patagonia on the road, Film: Magnolia, Quadro: Notte Stellata di Van Gogh
Per finire date un consiglio ad una band agli esordi….
Antonio: Partire dalle cover ma non limitarsi a quelle ma puntare a creare qualcosa di proprio e personale. E’ l’unico modo per esprimersi e comunicare.
Andrea: mantenere sempre viva la passione dentro di sé e continuare a fare quello che piace.
Matteo: Pazienza e il mio motto. 0 aspettative = 0 delusioni
Luca: Mi verrebbe da dire una frase che qui a Bergamo durante l’emergenza è tornata in auge e cioè “Mòla mia!” ovvero: non mollare! Gli hobby si cambiano, le passioni vere invece restano e vanno coltivate sempre e mai abbandonate.
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