Articoli

press-reviews HO.BO

 

bandiera_italia GUITAR CLUB

Dopo la pubblicazione del singolo "Lord, please tell us the Truth" (featuring Tom Portman) tratto dal loro album di debutto "2/10" è arrivato "A man with a gun lives here", il nuoo album targato HO.BO. Nove tracce nelle quali il sestetto nostrano nato nel 2017, dà vita ad un'originale miscela di blues e alternative folk, decorata da nuance southern ed atmosfere buie e quanto solari. Un album al contempo oscuro e crepuscolare, frizzante e vivace; registrato in analogico su nastro, nel rispetto della tradizione più old-school. Apre le danze l'atmosfera dark/blues di "Hoboes that pass the night" a cui segue "Prairie dogs" un brano più tradizionale, se così si può dire, in stile country. Il successivo "Falling don, Henry" si immerge tra le pieghe del rock, mentre "In Cold Blood" riporta l'ascoltatore dentro il lato più oscuro e narrato dell'album in questione. Dopo "A tiny man called Smith" (featuring Swanz the Lonely Cat) segue "Summer Clouds" un brano alternative folk suggestivo, corredato da lyrics poetiche ed introspettive. Arriva quindi "Psalm" una swamp-blues ballad in piena regola con le chitarre che ricamano una melodia malinconica, dunque segue "The Curse of Peak Hill" episodio dalle tinte doom con il drumkit in prima linea. Chiude la folk ballad "Bonus Orchad" con il suo incipt quieto, condotto da chitarra ed armonica, ma che chiude con una vera e propria sferzata di energia e groove. Certo "A man with a gun lives here" non è un album adatto ad ogni momento della giornata, ma altrettanto certamente si tratta di un lavoro solido, ispirato e forte di una buona produzione

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia  RARO PIU'

Ci troviamo d’improvviso anche noi nel cuore delle montagne o dentro una casetta di legno tra sperdute radure dell’Arkansas. Un lavoro interessante, seducente e decisamente visionario, fatto di penombra e di crude realtà umane, in bilico tra poesia e narrativa. Quel blues fumoso e acido, quei sentieri noir americani dove il ferro di un antico rigattiere incontra la tradizione di legno di vecchi eremiti. E dentro il brano A Tiny Man Call Smith c’è anche la voce di Luca Andriolo, inevitabile incontro d’arte e di spirito, un impasto perfetto. Loro sono gli HO.BO formazione piemontese approdata oggi a questo A Man With a Gun Lives Here, fascino crepuscolare, suono che quasi sembra provenire dalla tanto amata controra dei poeti occulti, scritture che nascondono sotto pelle anche la psicadelia di scenari metropolitani. Un ascolto davvero interessante, difficilmente contenibile tutto dentro una semplice recensione che merita l’immersione a luci soffuse, silenziosa, lontana da ogni razionalità plastificata del vivere quotidiano di città.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   CLASSIX

Opera seconda per i piemontesi Ho.Bo., formatisi nel 2018, un sestetto che coagula nel proprio pentagramma blues e americana, declinando un sound scabroso e sbilenco, che occhieggia al Tom Waits più decadente e catramoso. Non manca, nelle scelte melodiche e vocali, un richiamo che ha del sorprendente alla verve cantautorale e marcescente del Tyla (Dogs d’Amour) più acustico ed introspettivo, che offre al disco una grazia alcolica e a tratti surreale. Spiccano la dilatata ‘The Curse of Peak Hill’ e ‘A Tiny Man Called Smith’, dove la sovrastruttura generale è irrorata da un banjo rurale, che dona una vis folk che sa tanto di Frontiera. I biellesi rappresentano una bellissima realtà, italiana, ma, al contempo, internazionale nella proposta, con ottimi pezzi ed un approccio lirico e musicale di primo livello. L’ideale colonna sonora per un Western tarantiniano

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   ROCK TARGATO ITALIA 

La domanda che è difficile non porsi istintivamente la prima volta che si ascoltano gli Ho.Bo è: “ma questi sono davvero italiani?”. I paesaggi che ci si parano davanti ascoltando A man with a guns lives here sono infatti quelli dell’America più profonda: un immaginario che la band biellese rievoca impastando con grande padronanza blues, alt-rock inquieto, sprazzi di folk intimista e lampi di country notturno. Un lavoro affascinante capace di trasportarci realmente dall’altra parte dell’oceano.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   LOUDD

Un tempo l’America era quella terra promessa. E di promesse ce ne hanno fatte tante e tante altre ne abbiamo viste alla televisione. E più la televisione cresceva e più hanno scoperto che le promesse avevano forza… e poi, quasi senza controllo, le promesse sono divenute certezze nel qui ed ora, nel tutto e subito. Finte, aleatorie, senza concreta ciccia da toccare con mano, ovviamente, ma pur sempre potevano somigliare a vere certezze. E tutti ci abbiamo creduto. E tutti continuiamo a crederci. Vendere il fumo magico dell’illusione è il nuovo mercato del capitalismo. L’America allora sembra quasi si sia allontana dalla mia camerata fatta di vinili e libri di carta… e il nuovo disco degli HO.BO ha certamente il pregio infinito di ricercare quell’America li, quella che alle storie ci credeva, quella che ai sogni ci credeva… quell’America che Steinbeck ha immortalato senza pietà e senza compassione. Quell’America di strade luride, di beat generation, di omicidi a sangue freddo… E così, quando suona questo nuovo disco degli HO.BO ho quel sapore di ferro tra i denti, ho il nervo scoperto che brucia ma anche quel dannato silenzio che ti fa apprezzare persino il rumore di una candela. Non ci sono orpelli digitali e luce elettrica, non ci sono schede computerizzate e manovelle futuristiche. Ci sono le candele, l’erba buona, un rum dentro il vetro sporco, ci sono gli ubriachi a cavallo e qualche pistola scarica sporca di sangue sul tavolo dove hai tagliato la carne. Si leggono i tarocchi per capire il futuro e si fa qualche rito propiziatorio contro la cattiva sorte. In tutto questo è inevitabile non ritrovare la voce di Luca “Swanz” Andriolo e quel certo mood di dannazione alcolica, da rigattiere del suono e della lirica… insomma, è inevitabile non pensare all’America della grande depressione quando suona questo “A man with a gun lives here”, il nuovissimo disco degli HO.BO.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   FOTOGRAFIE ROCK

Quando la contemplazione della desolazione si fa metafora di un luogo dell’anima e di uno stato d’animo di solitudine e fragilità. Fantasticando sommessamente sul destino e la vita, ci si perde negli effetti curativi della narrazione per dare significato all’esperienza, alla digressione della civiltà occidentale e al tempo che scorre senza mai voltarsi indietro. Il rumore di un treno in partenza, di treni passati e che non torneranno mai più; storie di vagabondi, di demoni personali, di tramonti sempre uguali e di fantasmi invisibili raccontati dalla voce sussurrata, rauca, profonda e sciamanica di Samuel Manzoni, all’interno di un paesaggio rurale, minimalista, arido, notturno, spettrale e desolato, così come raffigurato nella copertina di A Man With A Gun Lives Here (artwork a cura di Lara Zacchi), il nuovo album della band folk blues biellese HO.BO (edito lo scorso 2 ottobre per Kono Dischi e I Dischi del Minollo). A distanza di un anno dall’esordio discografico, la formazione piemontese torna con un’opera intimista dai tratti eastwoodiani che prende forma attraverso meditazioni spirituali e irrequiete, dove le ambientazioni lugubri e fangose del Minnesota invernale, sotto un cielo color fuliggine, si tingono di atmosfere tese da classici western morriconiani, sulla scia de Il Buono il Brutto e il Cattivo, in un incalzare lento e criptico che si trascina sempre più giù, nel baratro oscuro e poetico che percorre le nove tracce di A Man With A Gun Lives Here. L’estetica strumentale dei brani si trascina nelle correnti nomadi, malinconiche e cantautorali dell’alt-rock statunitense, contraddistinte da ballad gotiche in salsa country dal potere immaginifico, dalle storie alla Woody Guthrie e da un percussionismo primitivo, mescolando ritmiche cadenzate e riverberate a trame arpeggiate e psichedeliche, facendo scorrere tra i solchi polverosi le chitarre acustiche slide della tradizione southern folk, che vanno a mescolarsi alle derive elettriche, cupe e liturgiche del dark blues del Mississippi. A Man With A Gun Lives Here è un cammino tortuoso e precario che ha le sue radici nella controcultura hobo di fine Ottocento e Novecento, negli anni della Grande Depressione; un’eredità che si è manifestata soprattutto nell’arte e nella letteratura on the road di Kerouac, in un percorso di sopravvivenza bohemien fatto di treni merci presi al volo clandestinamente, alloggi di fortuna, lavori occasionali e amori rubati, ma anche di grande dignità. Memorie di verande arrugginite e scricchiolanti, di venti aspri del Sud che soffiano su terre aride e spoglie e dell’odore della polvere da sparo che si confonde con quello della cenere di sigarette mai spente. Posti abbandonati, dove i cani randagi delle praterie americane rincorrono le carezze dei ricordi gelidi riposti in vecchie cantine dismesse, fiutando i resti di ossa umane seppelliti in sacchi di iuta sotto il silenzio assordante di campi di grano ormai sterili da tempo.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia TREMILA BATTUTE

Ci dev’essere qualcosa nell’aria del biellese che trasuda di frontiera. Qui su Tremila Battute ho già avuto modo di parlare dei Sabbia, band di stoner psichedelico che trasuda deserto fin dal nome, e dalle stesse zone arrivano ora gli HO.BO, band attiva dal 2017 e formata da membri di svariati altri progetti musicali. A man with a gun lives here è il loro primo album, pubblicato a distanza di un anno e mezzo dal primo Ep 2/10, e anche nelle note di questi nove brani si possono cogliere gli echi della frontiera: in questo caso, però, sono il blues e il country a farla da padrone, proiettandoci in un viaggio fra un’umanità per cui il lieto fine è spesso utopia. Già dall’iniziale Hoboes that pass in the night si capisce che le tinte scure saranno predominanti. Ad accoglierci è infatti una voce roca e sussurrata, accompagnata da una chitarra solitaria che scandisce accordi radi, un blues scarnificato sugli hoboes, i vagabondi per scelta, che fa subito drizzare le antenne. Se ci sono due cose che non mancano certo agli HO.BO sono infatti la personalità, che emerge fin da questa breve apertura, e la varietà stilistica, che si può invece apprezzare lungo tutto l’album. Ballate dolenti e spiritual, echi di Tom Waits e di Nick Cave, persino una parentesi bluegrass in cui compare la voce inconfondibile di Swanz The Lonely Cat dei Dead cat in a bag: il repertorio della band biellese è ampio e maneggiato con cura, accompagnato da testi di livello che ci fanno sprofondare nei meandri più torbidi dell’America e da una cura per i suoni encomiabile. Veniamo accompagnati lungo la parabola discendente di Henry, uno per cui l’unica soluzione è pensare che “two rifle shots could change his destiny”, nel rock-blues di Falling down, Henry, ci lasciamo cullare nell’illusorio ottimismo della parabola country di Smith, finito sepolto in un campo di grano a causa di uno scambio di persona (A tiny man called Smith), accogliamo le parole dello spiritual Psalm come piccole e dolenti verità di cui fare tesoro, osserviamo le vicende di una coppia mischiarsi con quelle di un rapimento finito male lungo le dolenti e scarne note di In cold blood. All’apice del percorso ci si arriva, a parere strettamente personale, con The curse of Peak Hill, un vero e proprio racconto in musica di sette minuti abbondanti, scanditi da pochi accordi dilatati sporcati dai feedback e batteria minimale cui si aggiungono, in un’escalation perfettamente orchestrata, prima il piano e poi in punta di piedi gli altri strumenti: ennesima storia che finisce male, ma con l’enfasi poetica dei grandi. Funziona tutto in A man with a gun lives here, dalla voce di Samuel Manzoni che è semplicemente perfetta per il genere fino allo stuolo di strumenti che si alternano fra le varie tracce, dai più classici agli ottimamente inseriti banjo, cigar box guitar e l’immancabile armonica, che si palesa nella conclusiva Bones Orchard. L’album è stato registrato in analogico su nastro nello studio della band, il NOSTUDIOREC, ed esce per le etichette Kono dischi (già dietro ai Sabbia citati in precedenza) e I dischi del Minollo, un’etichetta che ultimamente proprio non ce la fa a buttar fuori dischi meno che bellissimi. Prendetevi un’ora libera e immergetevi nella musica degli HO.BO, mi e soprattutto li ringrazierete per l’esperienza.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia SUONI TRIBALI

A Man With a Gun Lives Here segna il ritorno dei musicisti erranti biellesi Ho.Bo. La vena compositiva impregnata di Blues, Folk e bourbon si manifesta indelebilmente in questo lavoro come nel precedente 2/10, qui le nove tracce incise su nastro identificano il proseguo di un viaggio nell’oscurità del suono, esposti a folate di vita, esistenze in bilico raccontate con chitarre energiche e grintosi vocali. La band costruisce trame, ambientazioni sinistre, un percorso che frastorna, travolge l’ascolto intrattenendo dalla prima all’ultima canzone senza mai stancare. Gli Ho.Bo. confermano in questo Lp l’incredibile capacità, il talento nel ricostruire atmosfere lontane, sognanti, polverose con l’utilizzo di melodie ispirate e una sapiente commistione, un infuso alcoolico di generi e immagini tipicamente americane; pistole, fuorilegge e tanto Rock’n’Roll. A Man With a Gun Lives Here è pubblicato il 2 ottobre 2020 e distribuito da Kono Dischi in collaborazione con I Dischi Del Minollo

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia MUSIC ON TNT

Per chi, come il sottoscritto, segue sempre da vicino la musica d’oltre oceano nell’ambito della così detta Americana (genere di ampio spettro, che comprende Folk, Blues, Country, Bluegrass e tutte le loro varie sfumature) è sempre un piacere scoprire che esistono artisti italiani che si ispirano fortemente agli stessi paesaggi e a quelle stesse atmosfere. Scoprire, quindi, il gruppo piemontese degli Ho.Bo. – il cui album d’esordio 2/10 è uscito nel 2019 – è stata quindi una bella sorpresa, così come ascoltare questo loro nuovo lavoro intitolato A Man With A Gun Lives Here che profuma di fumo, polvere e fango, grazie ad un sound elettro acustico molto bluesy e alla voce ruvida, a metà fra Tom Waits e Keith Richards, del cantante Samuel Manzoni. L’atmosfera cupa è subito favorita, sin dalla splendida copertina curata dalla giovane e talentuosa fotografa Lara Zacchi, con l’immagine in bianco e nero, tanto spettrale quanto misteriosa, di una casa solitaria nella penombra. Lo stesso dicasi per l’introduzione all’album, totalmente parlata (direi raccontata), di Hoboes that pass the night che richiama un racconto di Jack London e che considero perfetta per portare per mano l’ascoltatore nel mood da murder ballad che caratterizzerà un po’ tutto il disco. La prima di queste è Falling down, Henry fra le migliori, che vede come protagonista un pistolero degno dei migliori film di Sergio Leone il quale, prima di suicidarsi con la propria arma, consuma la sua vendetta nei confronti di un uomo, oggetto del suo rancore. A livello musicale – spiccano il wurlitzer di Andrea Bertoli sullo sfondo e l’assolo elettrico nel finale di Filippo Sperotto, generoso di riverberi come lo sarebbe un cumulo nembo con la sua pioggia. C’è poi la cullante e in parte grottesca A tiny man called Smith – cantata in duetto con un altro timbro vocale di carta vetrata di Luca Andriolo, già leder dei Dead Cat – che parla di un tale Smith il mingherlino, ucciso per errore a causa del suo cognome che evidentemente confonde i suoi “sbadati” ma spietati assassini, convinti di eliminare un lattoniere (tinsmith, in inglese), loro vero obiettivo. Il primo singolo estratto è la lowtempo In cold blood apparentemente dolce, ma in realtà scura e piena di sangue e morte. Qui i personaggi principali sono due: Gary e la moglie Jill la quale ammazza con un colpo d’ascia spietato un uomo abbandonato dai suoi rapitori nel bagagliaio del loro pick up. In realtà ogni brano contiene interessanti “avventure” (come la più rockeggiante The curse of pick hill o la conclusiva e più stripped Bones orchard impreziosita dal suono di un’armonica) il livello complessivo del disco resta sempre alto, Come accennato nell’introduzione di questa mia recensione gli Ho.bo. mi hanno piacevolmente colpito e mi auguro che possano continuare ad approfondire questa loro vena americana da storyteller navigati.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia VIVA MAG

HO.BO è il nome della band di Biella che miscela con armonia sonorità folk ai suoni classici del blues. Il loro primo album “2/10” viene completamente autoprodotto e pubblicato nel 2019. Il due ottobre 2020 il gruppo torna con un nuovo lavoro dal titolo “A man with a gun lives here” prodotto da due etichette: Kono Dischi e I Dischi del Minollo. “A man with a gun lives here” è un album che si muove fra sonorità rock e folk-blues, carico di tensione, che ha l’intento di arrivare nel modo più diretto possibile all’ascoltatore.In apertura troviamo Hoboes That Pass The Night, dominata da una chitarra elettrica eccentrica e da una voce profonda che sussurra le prime rime di questo viaggio senza tempo. Continuando l’ascolto vi è Prairie-dogs: in questo brano il gruppo gioca a creare un equilibrio tra suoni country e atmosfere soffuse. La traccia numero sei, Summer clouds, si presenta come un fiume di parole che viene dall’asfalto sudicio delle città, intriso di urgenza, idee, energia e azione. Un fiume tanto selvaggio quanto affascinante, in cui trova spazio anche un pianoforte che dona un tocco malinconico alla canzone. Degna di nota The curse of peak hill: lenta, misteriosa e sensuale. Resa ancora più cupa dai sussurri di una voce profonda e calda. A chiudere questo disco di nove canzoni troviamo Bones Orchard. Spontanea e con un bel lavoro sul ritmo, con la chitarra acustica al posto dell’elettrica. Un album da ascoltare tutto d’un fiato, sdraiati sul divano e accoccolati dal tepore dell’autunno. “A man with a gun lives here” vi scalderà l’anima nei momenti più tristi, fate un favore alle vostre orecchie!

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia BIELLA MUSICA

A MAN WITH A GUN LIVES HERE è l'ultimo album degli HO.BO, presenta il doppio timbro di Konodischi e I Dischi del Minollo, ed è stato registrato presso il Nostudiorec. Il progetto racconta un immaginario di solitudine e di vagabondaggio, attraverso lande desolate e terre inospitali. Parla di silenzi e di preghiere, di vita e di morte. Le nove tracce sembrano una serie di racconti, come una collezione di impressioni e di aneddoti che il protagonista vuole rivelarci, riguardo alla sua vita nomade e precaria. La voce che ci racconta queste storie è profonda, e sembra lo specchio delle cicatrici collezionate durante questo eterno girovagare senza meta. Il vagabondo conosce più di tutti il prezzo della libertà estrema. Conosce i morsi della fame e del freddo. Ha imparato a rendersi invisibile agli occhi degli altri. La solitudine è la sua unica compagna. Sa che l'unico imperativo è la legge primordiale della sopravvivenza. Anche se il corpo viene lentamente logorato dalle intemperie, l'istinto gli dà la forza di proseguire... È consapevole che fermarsi troppo a lungo nello stesso luogo equivarrebbe a una condanna. Per questo, ogni giorno, dopo aver allestito l'ennesimo rifugio di fortuna per la notte, accende un fuoco per riscaldarsi; si distende sul suo giaciglio osservando le stelle, chiedendosi dove lo porterà il domani; con molta parsimonia si lascia andare ad un sonno leggero, restando sempre vigile; è sempre pronto a riprendere il suo viaggio nell'oscurità.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

AT THE BARRIER

Listening to Ho.Bo is a disorientating, eerie, dark, dramatic and often chilling experience. They’re a six-piece band from Biella, Piedmont, in Northern Italy, and their sound is a hot, spicy amalgam of dark folk, Delta Blues and alt-country. If you haven’t heard them, the nearest description I can offer of their sound is probably something like Dr. John in his Gris-Gris period, with liberal lashings of Gogol Bordello and the occasional touch of Captain Beefheart. It’s quite a heady mix! Ho.Bo got together in 2017 and the band comprises Samuel Manzoni on vocals and acoustic guitar, Andrea Bertoli on piano, farfisa and Wurlitzer, Filippo Sperotto on lead guitar, Mattia Rodighiero on drums, Marco Tommaso on banjo, bass and harmonica and Edoardo Perona on guitar. Together they make quite a sound. The bluesy, or occasionally pastoral, instrumentation providing a substantial, exciting and melodic base for Samuel’s intense, gritty, and usually spoken-word vocals. The new album, A Man With A Gun Lives Here, picks up where their debut album, 2019’s 2/10, left off, with nine new songs that flit between the band’s favoured genres. This isn’t an album for everyone… It’s an album that will either inspire or mystify and there’s no option to take the middle ground. Sam’s vocals, which dominate the production, provide much of the drama and contribute heavily to the overall sound. I enjoyed them and my only disappointment was that the lyrics were often hard to decipher. A great pity because he sounds like he’s telling some pretty exciting, and probably very humorous stories, particularly in Cold Blood and the epic The Curse of Peak Hill. The instrumentation is marvelous. The band are tight, accomplished and in-your-face and the choice of instrumentation is always entirely in keeping with the mood and subject matter of the song. Special mention is particularly due to Filippo’s excellent bluesy guitar contributions which illuminate virtually every track. As for the songs themselves, the opening track Hoboes That Pass In TheNight sets the scene perfectly with its twangy bluesy guitar and ghostly spoken vocal – a theme that continues in Prairie Dogs, the first single to be taken from this collection. The band combines deliciously on Falling Down Henry to deliver a spooky, voodoo-laden tune and then build the suspense dramatically on the Balkan-flavoured In Cold Blood. On A Tiny Man Called Smith, Ho.Bo is joined on vocals, banjo and harmonica by their friend Swanz – The Lonely Cat, founder and frontman of Italian band Dead Cat In A Bag for a slightly grotesque story about a small man who was killed by mistake. It’s a great song, one of the most interesting on the album with hilarious lyrics, and a brilliant ending which reminded me, for some reason of The Bonzos’ Bad Blood(!) Summer Clouds is a multi-themed song that takes in snatches of folk, heavy metal, R&B and ends with a power ballad and which entertains and baffles in equal measures and Psalm is the band at their most Beefheart-alike. The album’s centrepiece is probably the seven-minute epic, The Curse Of Peak Hill. It’s a song that builds slowly around a slow, heavy, bluesy guitar riff that provides the backing for Samuel in his most intense storytelling mood and the band really does cook. Bones Orchard wraps up the offering. It’s an unexpected acoustic number with some nice C&W harmonica, all of which belie the chilling vocal and lyric. An awesome end to an intriguing album.

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

http://www.kingsuffygenerator.com
https://www.facebook.com/pages/King-Suffy-Generator/132560894232?fref=ts