I NORTHWAY sanno che il post-rock è una cosa seria per davvero. Non è una facciata grigia e nemmeno un mero esercizio di stile. Il post-rock ha senso perchè riesce a incasellare in ogni nota uno stato emotivo in progressione continua. Col loro secondo disco The Hovering, uscito con ritardo a causa dello stallo musicale dovuto dalla pandemia, hanno provato a tenerci finalmente sospesi, in bilico, come il titolo del lavoro suggerisce. Un viaggio, a bordo del vascello che si vede sulla copertina ingiallita. Un viaggio tra le acque fosche, per niente comodo, e che non imbecca subito la strada giusta. L'incipit è affidato a point nemo, brano non del tutto ispirato. Ma è solo un momentaneo abbaglio -ed è comunque un peccato che sia lì ad accoglierci all'inizio di tutto. A partire da kraken inizia il mal di mare, ed è esattamente quello che volevamo. Le atmosfere sono altalenanti. E se prima si trema col le scosse dei distorsori, qualcosa va diradandosi nelle tracce che costituiscono il nucleo centrale del disco, dove l'intercedere rallenta, le tastiere riescono a spiccare maggiormente, e la rarefazione dell'aria ci fa pensare agli ultimi lavori degli Explosions in the Sky, e scusate se è poco. Finchè arriva il capitolo conclusivo, deep blue, la vera perla, e si sprofonda davvero, forse senza possibilità di tornare a galla. In questi dieci minuti il bilico subisce il definitivo sbilanciamento, verso la deriva, verso il naufragio. E sarebbe terribile da vivere, se non ci fosse la musica dei NORTHWAY ad accompagnarci, con l'ultimo assolo che esplode sul paesaggio musicale sottostante, e pare quasi una sirena, un urlo finale, prima che torni tutto calmo. Il mare è piatto, ma non si vede terra. Dentro però si è smosso molto. I NORTHWAY hanno capito, quasi del tutto, come emozionare col post-rock.
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Secondo album per la band bergamasca che ci porta in un flusso sonoro strumentale che passa da momenti catartici a valanghe apocalittiche. Il tutto all’insegna di un post rock rigoroso, ai confini con la pura sperimentazione. Ipnotico, avvolgente ma anche urticante e claustrofobico. Band molto interessante.
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Doveva uscire a marzo 2020 The Hovering, secondo album dei Northway, band bergamasca di autentico post-rock, ma il lockdown l’ha ovviamente stoppato, quindi è uscito a settembre. Credo che abbia giovato, perché è un album più autunnale, contemplativo, brumoso, non me lo vedevo a primavera. Sei strumentali per trentasette e rotti di musica che si ascoltano come un flusso di coscienza. A tratti indolente, a tratti epico, nel senso morriconiano del termine, acidulo con pieni e vuoti, le due chitarre sempre presenti, ma non ingombranti. Bello il dialogare tra il piano e la sezione ritmica nel pezzo dilatato/dilatante che chiude il disco (“Deep Blue”, s’intitola, forse il mio preferito tra i sei). Paragonati a molti, a me ricordano i Thin White Rope, ma può essere perché ho una fissa per il gruppo di Kyser e Kunkel. Produce I Dischi del Minollo, label autenticamente alternativa che non se la tira.
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In un anno come il 2020, in cui, per molti versi, abbiamo assistito alla “sospensione” delle attività umane, soprattutto artistiche, un progetto come “The Hovering” (I Dischi del Minollo 2020), dei Northway, sembra candidarsi alla perfezione per rappresentare questa sensazione, con l’intento di riempirla di nuove visioni, di nuove proiezioni. Il disco ha l’andamento di un concept strumentale e fin da copertina e titolo è chiaro il riferimento alla sospensione, una sospensione oscillante che si muove al ritmo altalenante delle emozioni, in alcuni momenti potente, in altri di una straziante dolcezza. Sospensione musicale: i quattro musicisti si sono chiusi in studio e hanno cercato ostinatamente un dialogo con gli strumenti che arrivasse a trovare una sintonia unica, che comunicasse le loro sensazioni interiori, registrandole in presa diretta. Sospensione temporale: tutto nasce in questo periodo storico, ma queste sonorità che fondono psichedelia, prog e post-rock attraversano le generazioni, fino a non riuscire a trovare una collocazione tra passato e futuro; è un invito al viaggio interiore.
Soltanto così la nave della copertina potrà salpare, abbandonare gli ormeggi e partire. In una rotta verso il nord. Pur non essendo preparati a intraprendere il cammino, pur con mezzi inadeguati, bisogna affrontare il freddo lancinante e il crepitio assordante dei ghiacciai. Alla fine, però, i mezzi non risultano così inadeguati. Quel galeone, che sembra riproporre un’immagine degli inizi del Seicento, ha una carenatura potenziata dalla fantasia, dalla creatività. Gli intrecci delle chitarre riescono a mormorare, lamenti e preghiere logorati dalla salsedine, e riescono a lanciare urla di vittoria per una terra avvistata in lontananza. La sezione ritmica, basso elettrico e batteria, tiene fedelmente il movimento delle maree, tra tempeste e bonaccia. Il linguaggio espresso fonde ogni elemento creando l’atmosfera psichedelica necessaria ad accompagnare il viaggio in ogni dettaglio. Questa sospensione stessa è un viaggio, è il viaggio.
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Sarà il freddo di questo Dicembre, sarà il periodo, sarà il momento storico, ma non potevo trovare una band migliore da recensire in questo periodo pre-natalizio. Loro sono i Northway, band attiva dal 2014, e ci deliziano con questo secondo album davvero degno di nota. Ci addentriamo subito, senza troppi giri di parole, nel percorso musicale di questo interessante disco, uscito il 25 Settembre 2020. Il disco richiama fin da subito un’atmosfera particolare, guardando la copertina ci sembra quasi di sfogliare le prime pagine di un romanzo inglese di fine ‘800, quelle storie a metà tra mito e scienza, tra tecnologia e mitologia, e i titoli confermano la nostra sensazione iniziale. Point Nemo, partiamo subito con un basso sporco, diretto, che senza troppi giri di parole ci introduce al primo brano, incalzando la batteria che segue poco dopo e aprendo un capolavoro di trame armoniche di chitarra che ci regalano un’immagine davvero intensa, davvero sognante. Scaturiscono immagini in sequenza nella mente dell’ascoltatore, che influenzato dalla copertina e dal titolo del brano si ritrova subito nella ciurma del Nautilus, viaggiando a profondità incredibili, osservando cose fino ad ora nascoste ad occhio umano. La batteria è sommessa, tranquilla, ci accompagna nel viaggio senza troppe parole. Ma ecco che sul finire un mostro marino passa in tutta la sua enorme imponenza davanti ai nostri occhi, e assistiamo ad un esplosione di suoni e di colori. Kraken. un urlo sorge dalle profondità. Una lingua a noi sconosciuta. Nella notte dell’oceano, a bordo del nostro veliero, tra fulmini e pioggia, vediamo all’improvviso emergere un gigantesco tentacolo. La chitarra si erge in tutta la sua grandezza, con suoni scuri e pesanti, spinta in avanti da un basso che dipinge perfettamente l’imponenza del grande mostro marino.La batteria scandisce gli attimi di terrore come se procedessero quasi a rallentatore, con quella sorta di adrenalina che ci pervade alla vista della mitologica creatura. La chitarra si lancia in suoni che sembrano quasi urla, poi un arpeggiato a metà del brano, una riflessione quasi, che ci riporta alla ricerca di un qualcosa, un miraggio, una leggenda. Il rullante riprende la sua marcia, i fucili sono in posizione sul ponte, il mozzo ha avvistato qualcosa, ci apprestiamo alla battaglia. Ed ecco che la chitarra riemerge, ancora più cattiva, per il secondo mitico confronto tra uomo e leggenda. Hope in the Storm. Un bellissimo gioco tra arpeggiati di basso elettrico, chitarra synth e accordi di immensa delicatezza.Siamo in sottocoperta, fuori imperversa la tempesta. Sentiamo il legno del Veliero scricchiolare sotto le sferzate del gelido vento, i lampi irrompono con il loro boato, ma tutto rimane quasi lontano da noi. Mentre la nave oscilla, noi siamo alla nostra scrivania, e con penna d’oca e inchiostro scriviamo una lettera alla nostra amata, rischiarati dalla luce di una debole e oscillante lanterna. La nostra mente è lontana da tutto questo, siamo nei ricordi. L’intensità del brano aumenta e noi ci immergiamo nei pensieri di speranza. La nostra avventura non può terminare qui, abbiamo qualcuno che ci aspetta a casa. Dobbiamo tornare. Interlude. Così come il nome del brano, questo potrebbe essere un tramite verso ciò che ci aspetta. Nella mia mente vedo un momento di stasi durante il viaggio. Interessanti effetti sonori si succedono uno dopo l’altro, riempiendo l’aria. Forse stiamo cercando qualcosa che ancora non abbiamo trovato. Tra le onde senza fine, buttiamo in mare i corpi dei marinai. Loro non ce l’hanno fatta, ma noi si. Edinburgh of the Seven Seas. Una calda armonia, accompagnata da un basso e una batteria suonati con ritmo e grazia, ci accompagnano lungo questo quinto brano. Siamo arrivato al porto, vediamo la città con i suoi comignoli sbuffanti, e i carri trainati dai cavalli carichi di spezie e merci che attendono di essere trasportate lungo il vasto mare.Ci immergiamo nella città, nei sobborghi, ascoltiamo i vecchi marinai mentre narrano di epiche battaglie, mentre ricordano a tutti di quella volta che la grande balena bianca distrusse la nave e uccise tutti. Anche qui assistiamo ad un giustissimo aumento di intensità, con un assolo di chitarra che prende parola per raccontarci qualcosa di cui nessuno più ha ricordo, un suono che pare voce, un pianto. Note di piano accentuano la malinconia di questo brano, portandolo verso la sua fine. Deep Blue. Dopo una vita passata solcando i sette mari, ci pare di aver percorso soltanto un’infinitesima parte di questo sconfinato mare. La chitarra, proseguendo la malinconia del precedente brano, ci introduce all’ultimo brano di quest’album.E partiamo, immergiamoci ancora una volta in questa trama sonora così piacevole e ben fatta. Ci lasciamo trasportare dalle ritmiche di basso e batteria, mentre solchiamo le onde di un mare languido, dolce e calmo seppure inquietante. e misterioso. Cosa c’è laggiù nell’oscurità? I nostri antenati ci hanno lasciato in eredità leggende e miti, parole e canti che non hanno più un volto ormai…ma se in qualche modo fosse vero? Se quelle leggende avessero un’origine, se in questo momento qualche gigantesca creatura stesse ancora animando i fondali sconfinati dell’oceano sotto di noi? È questo il quesito con cui i Northway decidono di chiudere il loro capolavoro, narrandoci storie, leggende, canti e poemi con un epilogo degno di questo viaggio leggendario. Chitarre sognanti viaggiano a ritmo di batteria, mentre il basso vola alto dando la vibrazione adatta per un momento cosi solenne. E così si chiude quest’album, che. ci ha regalato emozioni che vanno aldilà delle parole. Bravi Northway, cosa ci racconterete nel prossimo album? aspettiamo con ansia e curiosità il vostro prossimo lavoro.
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I Northway sono solo l’ultima band che mi capita di scoprire nel panorama post-rock bergamasco, terreno fertile di suoni buoni che ha già dato alla luce negli anni band come Verbal, Teich e, andando poco più in là, quei matti dei Bangarang!. Nati nel 2014 attorno a un nucleo composto da Antonio Tolomeo (chitarra), Andrea Rodari (batteria) e Matteo Locatelli (basso), già militanti precedentemente in una band alternative rock, con l’ingresso della seconda chitarra di Giuseppe Procida i Northway iniziano a sperimentare coi suoni e decidono che per far questo non hanno bisogno della voce: se vi state chiedendo “ma stai per caso parlando di un altro gruppo strumentale?” sappiate che sì, è proprio così. Il primo album, Small things, true love, vede la luce nel 2017 ed è un affresco in cinque brani di ciò che il post-rock dovrebbe essere: evocativo, a volte brutale, musica che ti porta altrove e libera la tua mente. Registrato in quel gran posto che è il Trai Studio di Fabio Intraina (ci hanno registrato anche amici miei, e ne sono venuti fuori sempre con dischi della madonna), il primo album dei Northway inserisce nei titoli suggestioni cinematografiche (Arrival, The Martian, anche se quest’ultima si apre con registrazioni di uno sbarco sulla Luna) e letterarie (Jules Verne, e vogliamo forse non pensare che quel The King che dà il titolo alla seconda traccia non sia Stephen King? Con quel basso possente e vagamente inquietante in apertura?), mostrando ottime qualità ancorate però ancora a stilemi poco personali. Successivamente alla pubblicazione Procida esce dal gruppo a causa del trasferimento in Puglia, sostituito da Luca Labo: con questa formazione la band ricomincia a calcare palchi e creare nuovi brani, arrivando al 2019 con abbastanza materiale per chiudersi nuovamente in studio di registrazione. Per The Hovering non cambia il luogo prescelto (sempre il Trai), ma cambia il supporto produttivo, visto che il disco esce per la benemerita etichetta I Dischi del Minollo i cui gruppi hanno spesso trovato spazio su queste schermate: i sei brani ruotano attorno a un concept marittimo e allargano gli orizzonti sonori della band, mantenendo inalterato quell’equilibrio fra momenti riflessivi e sfoghi elettrici che fanno dei Northway forse non la più originale band del panorama, ma sicuramente una delle più abili a coinvolgerti nel loro mondo sonoro. The Hovering esce nel settembre 2020 e, va da sé, la situazione concerti era quella che era: speriamo che il 2022 li porti a suonare più spesso per dare a quei brani il respiro della dimensione live, dove li si potrà vedere in una formazione che, al posto di Labo, ora vede alla seconda chitarra Luca Laboccetta.
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Il post-rock è un genere che riporta con il pensiero al prog. Se è vero che ci si trova dinnanzi a due mondi completamente diversi e paralleli, è altrettanto innegabile che i musicisti che si approcciano a questi due generi hanno nel loro DNA l’amore per la ricerca ed il piacere di suonare e, soprattutto sperimentare. Certamente il rischio di sconfinare in un onanismo fine a se stesso rende alcuni lavori decisamente pesanti e poco interessanti e il prodotto di nicchia, in alcuni casi, degenera in un vero e proprio esercizio di maniera. In tutto questo, fortunatamente, gli italiani Northway non cadono. The Hovering, disco che doveva uscire in primavera salvo essere poi rimandato in autunno per i noti motivi, è un lavoro molto piacevole nel quale tutto ha un senso. Il gusto per i suoni, la ricerca delle melodie, la voglia di andare a creare delle atmosfere viaggianti e sognanti sono gli ingredienti che i Northway mettono sul piatto, senza mai annoiare. Ad essere sinceri un disco di questa fattezza può essere rilassante, sia se lo si ascolta in macchina durante un lungo viaggio e sia se lo si voglia analizzare con le cuffie piantate saldamente nelle orecchie. Se tutti i lavori post rock fossero suonati con questa cura dei particolari e classe negli arrangiamenti, sarebbe un bene per la collettività. Per ora accontentiamoci dei nostrani Northway che, davvero, hanno tutte le carte in regola per poter cavalcare un futuro che appare roseo all’orizzonte.
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Uscito nel 2020 per I Dischi del Minollo, The hovering è il secondo disco dei Northway, un lavoro che a detta della band ha permesso loro di rimanere sospesi a mezz’aria, pervasi da un senso di profonda armonia. E in effetti la musica dei bergamaschi, che abbraccia il post rock di Mogwai, Godspeed You! Black Emperor e This will destroy you, è un concentrato di sensazioni, atmosfere e visioni cinematografiche, con crescendo tipici del genere che funzionano perfettamente e si incastrano all’interno di un album che non disdegna venature psichedeliche. L’interplay tra le chitarre di Antonio Tolomeo e Luca Laboccetta è il trademark del disco, con la sezione ritmica formata da Matteo Locatelli (basso) e Andrea Rodari (batteria) che compie un lavoro egregio, già a partire dall’intensa Point Nemo, ottima apertura dell’opera. Kraken, con il suo alone oscuro, si muove sinuosa sottopelle, tra sparate elettriche e quiete sommessa, Hope in the storm è un momento ricco di pathos molto suggestivo, mentre Edinburgh of the seven seas è raffinata e malinconica. Il finale di Deep blue è un concentrato delle emozioni espresse sin qui, esempio della capacità della band di trasportare l’ascoltatore in luoghi lontani, un mood solenne ed epico che conferma le doti dei bergamaschi già emerse nel precedente Small things, True love ma che qui trova maggior compimento e maturità.
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Se amate Three Steps To The Ocean, La Nevicata dell’85, Platonick Dive oppure Tomydeepestego, ovvero il meglio del post-rock italiano degli ultimi anni, non fatevi sfuggire il secondo lavoro in studio, ritardato di diversi mesi a causa dell’emergenza sanitaria in atto, del gruppo originario del bergamasco (dove la psichedelia è spesso associata ai Verdena). I Northway sono cresciuti moltissimo rispetto a ‘Small Things, True Love’ e, se per certi versi ‘The Hovering’ può essere considerato la prosecuzione logica dell’esordio di tre anni orsono, per molti aspetti ci troviamo di fronte ad un’altra opera prima, una release competitiva con quanto proviene dall’estero ed in grado di contribuire seriamente allo scenario di casa nostra. Le registrazioni si sono svolte al Trai Studio di Inzago, sotto la supervisione di Fabio Intraina, ed i quattro hanno definito la scaletta in questione come “un’alchimia strumentale, schizofrenicamente post-rock e nostalgicamente psichedelica”. Di sicuro tracce come ‘Hope In The Storm’ e ‘Edinburgh Of The Seven Seas’ mettono in luce l’eccellente guitar work di Antonio Tolomeo e Luca Laboccetta e tra citazioni di Mogwai, This Will Destroy You e Godspeed You! Black Emperor, l’ascolto non sfuma mai nella noia. Curioso l’utilizzo dei synth in certi frangenti, come nei nove minuti finali di ‘Deep Blue’, in attesa di capire quale potrà essere la trasposizione dal vivo dei brani. Col supporto della label di Il Vuoto Elettrico, iFasti e Zidima, ‘The Hovering’ ha tutto per ottenere un riscontro importante.
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Nemo. Nessuno. Un luogo nel quale sia possibile isolarsi ed ascoltare l’eco degli innumerevoli mondi, i cui riflessi giungono fino a noi, a volte come sogni innocui, a volte come incubi terribili, come visioni mistiche, come assurdi miraggi o come quelle magiche intuizioni, che, a loro volta, stimolano la nostra fantasia e la nostra creatività. Piovre gigantesche, tempeste improvvise, abissi profondi, pericolose secche, sonorità strumentali di matrice post-rock che navigano ben oltre i sette mari conosciuti, mescolandosi ed intrecciandosi a vibranti passaggi shoegaze ed a quelle ambientazioni, lente e psichedeliche, capaci di condurci sempre più lontano dall’artificiosità polemica ed omologante dei tempi moderni. Verso i meandri inesplorati del nostro io, verso quel punto inaccessibile e remoto in cui è celata la nostra stessa essenza, costantemente minacciata dalle rabbiose e maligne creature lovecraftiane. Creature di puro odio che bramano distruggere il nostro mondo, piccolo o grande che sia, i nostri ideali, le nostre certezze, le nostre passioni ed i nostri sentimenti, ma dinanzi alle quali la musica della band bergamasca si trasforma in una difesa invalicabile; “The Hovering” assume le sfumature epiche di una colonna sonora strumentale, drammatiche, orrorifiche e spaziali, impedendo così ad Azathoth di risucchiare e fagocitare la nostra umanità. Ebbene sì, anche tra le accelerazioni fluide di “Point Nemo”, ciò che abbiamo lasciato in sospeso può tornare a perseguitarci e farci sussultare, perché dietro le calme e pacifiche onde di “Hope in the Storm” può celarsi un doloroso uragano e quello che pensavamo essere il nostro idilliaco angolo di paradiso potrebbe trasformarsi, in un batter d’occhio, in un vero e proprio cimitero. E così perderemmo la leggerezza faticosamente acquisita, non potremmo più restare sospesi sull’orizzonte degli eventi, ma ci ritroveremmo a dover combattere e sforzarci per rimanere a galla tra i detriti, i rifiuti e gli scarti della nostra società iper-tecnologica, caotica e perennemente affamata di tempo, per la quale ciò che conta è solamente questo statico e formale presente dal fondale troppo basso per potersi allontanare.
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I Northway sono una band bergamasca nata nel novembre del 2014 dall’incontro di Antonio Tolomeo (chitarra), Matteo Locatelli (basso) e Andrea Rodari (batteria) tutti provenienti da una band locale di alt-rock con il chitarrista Giuseppe Procida. Le prime session danno vita a un suono saldamente ancorato al post-rock psichedelico e strumentale e conseguentemente i brani cantati vengono del tutto abbandonati. I due anni successivi vengono spesi per comporre, provare e registrare i pezzi del primo album che esce, autoprodotto, nell’aprile del 2017 col titolo di Small Things, True Love che riscuote ampi apprezzamenti nella critica di settore. Poco dopo l’uscita del disco Giuseppe Procida abbandona il gruppo per trasferirsi in Puglia e il suo posto viene preso dall’abile chitarrista Luca Laboccetta. I due anni successivi vengono spesi per la preparazione del secondo album. A questo scopo, il gruppo abbandona il circuito indipendente e decide di legarsi all’etichetta I Dischi Del Minollo. Il nuovo album viene registrato fra aprile e settembre 2019 al Trai Studio di Inzago da Fabio Intraina e Giovanni Versari e sarebbe dovuto uscire nella primavera 2020 ma a causa del blocco dovuto al COVID 19 viene infine pubblicato il 25 settembre 2020 col titolo di The Hovering. Spesso descritta come un esercizio di mimesi sospesa fra classicismo calligrafico, psichedelia nostalgica e post-rock ambientale, la musica dei Northway tende a presentare una parata di immagini che non raccontano storie, una collezione di ologrammi che inseguono stati d’animo occupata in un processo di autoreplicazione che mostra poco interesse per l’evoluzione del brano in sé (lo stilema tipico dei gruppi post rock) infilandosi in un sound glaciale, misurato, riflessivo e statico come se la composizione non cerchi di creare una canzone bensì un contenitore di suoni. La musica tende a diluirsi in una serie di piccoli gesti, una miriade di variazioni che magari preparano improvvise esplosioni sonore (come nella prassi dello shoegazing dei My Bloody Valentine) solo per trattenere poi lo svolgimento del pezzo e rinchiudersi in un’orchestrazione stratificata dove la melodia segna da sola la propria condanna. La musica è in fondo un business mai condotta a termine eternamente sospesa nell’attesa di qualcosa che si sa non accadrà mai. Sospinta dalla policromia delle due chitarre impegnate in un impressionismo ora tenue, ora sinistro, ora tempestoso, come se in formazione ci fossero contemporaneamente due Vini Reilly (il chitarrista dei Durutti Column), Roy Montgomery e i due chitarristi dei Mogwai e propulsa da un batterismo esuberante che spazia su tutto il fronte d’attacco, i Northway esordiscono col requiem cadenzato di Point Nemo, per proseguire col post rock granitico di Kraken costruito su linee di basso flessibili per trascendere poi nell’elegia psichedelica a ritmo di marcia di Hope In The Storm con squarci di nostalgico lirismo. La progressione verso una forma più contenuta di arrangiamento prosegue nel chamber rock di Interlude, poco più che una miniatura classicheggiante e sublimarsi nelle delicate vignette impressioniste di Edinburgh Of Seven Seas e Deep Blue. La musica di The Hovering ha la funzione occulta di raggiungere il massimo dell’impatto psicologico (rieditando così il periodo di maggior splendore del dark-punk) con pezzi impeccabili che non solo possono essere utilizzati come manuali d’istruzione per musicisti post rock ma colmano anche il sottile margine che separa tre sublimi forme di musica strumentale: il folk acustico di John Fahey, il chamber rock dissonante dei Rachel’s e la metafisica trepidante, estatica e solenne di Roy Montgomery. Northway non è una rock band in cerca di effetti sensazionali ma un ensemble da camera in cerca di un contrappunto trascendentale.
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Perpetuare suoni a rincorrersi nell’etere alla ricerca di un posto di cielo da occupare tra aerei a incandescenza e prototipi spaziali per altri pianeti. Sono tornati i Northway a dare una lezione di post rock incentrato sulla profondità della sostanza che attanaglia atmosfere e ricerca negli anfratti più segreti del nostro io un’incandescente visione concentrata e mai finita. The Hovering è un viaggio attraverso l’aria che ci rappresenta. Un rimanere sospesi attraverso le sfaccettature della vita. Un rimanere sospesi guadagnando di significato e considerando il mondo circostante come punto di partenza per elettrizzanti cavalcate sonore. Non solo post rock quindi, ma anche psichedelia a rincorrere centri di gravità perpetua in pezzi come Point of Nemo, l’introspezione malinconica di Hope in the storm fino all’intemperie da superare in Deep blue. Un disco pregno di carattere evidenziato da una compostezza di fondo gravida di buone intenzioni per una visione d’insieme davvero sorprendente.
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L’orizzonte musicale offerto da un genere come il post-rock è esteso ed articolato. È una visione dentro la quale si aggrovigliano i colori e le forme più disparate, in un singolare e variegato mosaico che si concede, forse più di qualunque altro genere, all’audacia e all’originalità compositiva. Un esempio concreto ce lo offrono i Northway, una bella realtà tutta bergamasca che poco tempo fa ha pubblicato un album focalizzandosi proprio su questo genere. L’album, il secondo per la band, si intitola “The Hovering” e mette in evidenza uno stile simile (quantomeno nella struttura base) a quanto appena descritto, con in più alcune peculiarità che lo rendono originale e degno di interesse. I Northway scelgono un approccio puramente strumentale, senza alcun riferimento a parti vocali. Una scelta che concede più spazio all’ascolto delle linee armoniche, degli intrecci melodici e di tutta quella vasta gamma di sfumature a cui il post-rock si presta. L’orecchio di uno spettatore si concentra solo sui suoni, senza alcuna parola di mezzo, stimolando e amplificando in questo modo la capacità puramente sensoriale e quindi il proprio stato di risonanza emotiva: un ascoltatore che si immerge anche senza particolare attenzione tra le tracce di “The Hovering” si trova in maniera quasi inconscia ad esserne catturato, messo dentro ad un mondo immaginario in cui le proprie emozioni interiori vengono alla luce, in modo più chiaro e definito. “The Hovering” e in generale il sound dei Northway propongono un tipo di espressione sonora che sembra slegata da tempo e realtà, da ritmo ed effettistica, in cui tutte le componenti che definiscono una traccia sembrano procedere come per inerzia, spinte da forze ignote, intente a stagliare un orizzonte molto soggettivo, capace appunto di generare sensazioni differenti in relazione a chi è l’osservatore. Le tracce dell’album sono tutte (meno un intermezzo) abbastanza ampie, come capita per quei compositori che desiderano trasmettere un contenuto musicale complesso a livello artistico, che sia il frutto di qualcosa di debitamente studiato e ragionato. Ogni brano è un racconto fatto di vibrazioni differenti, immerse in uno spettro di frequenze ampio, in cui una investe l’altra generando talvolta dissonanza e talvolta quiete. Quello dei Northway è un lavoro che merita di essere ascoltato, anche per chi non è propriamente un amante del post-rock. “The Hovering” è capace di entrare a stretto contatto con chi lo sta ascoltando, scrutando nel suo profondo, e mostrando un orizzonte emozionale nuovo o comunque osservato da un punto di vista diverso.
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I Northway sono un quartetto formatosi nel 2014 a Bergamo, composto da Antonio Tolomeo (chitarra), Luca Laboccetta (chitarra), Matteo Locatelli (basso) e Andrea Rodari (batteria). Dopo Small Things,True love, lavoro pubblicato nel 2017 e accolto positivamente dalla critica , è uscito il 25 settembre per I dischi del Minollo, The Hovering , un disco solido ma raffinato che prosegue sulla rotta tracciata dalla precedente fatica e conferma le ottime capacità compositive della formazione bergamasca. The Hovering è un disco interamente strumentale, come vuole la tradizione post-rock, che si lascia ascoltare tutto d’un colpo, scorrendo senza mai incepparsi. A tratti minimalista, il disco mette in luce il grande amore dei quattro musicisti per il genere e le composizioni risentono molto dell’opera di gruppi come Mogwai e Tortoise, ma anche Air e Radiohead. La copertina del disco, raffigurante un veliero che si libra nell’aria, sfiorando la superficie del mare è la spia che tutta la faccenda si svolge in acqua. Non mancano infatti, come in un concept, i riferimenti al mare nelle sei tracce che compongono The Hovering. Il disco si apre con i suoni lineari di Point Nemo, che alterna eleganti momenti melodici a sfuriate decise. Kraken , traccia che rievoca la leggenda del mitologico mostro marino, assomigliante ad un gigantesco calamaro, che regna incontrastato negli abissi, è il racconto in musica di una traversata irrequieta mentre Hope in the storm , titolo che richiama un verso biblico, è un invito alla perseveranza e ad aver fiducia poiché le acque si calmeranno. Così come le acque, anche i suoni si fanno più docili. Edinburgh of the seven seas invece si muove su sonorità più morbide, a tratti malinconiche. Le chitarre, dapprima si lanciano in arpeggi e melodie, poi incalzano a metà brano in un crescendo collettivo ed infine si spengono lasciando la scena ad un esercizio di piano. Il viaggio dei Northway si conclude con Deep Blue, il brano più lungo dell’intero lavoro, che mette luce la capacità dei quattro di Bergamo di riuscire a costruire interi paesaggi sonori senza mai esagerare, senza mai perdere il controllo realizzando un’alchimia strumentale molto efficace. Disco promosso e band da tenere d’occhio nel futuro prossimo.
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Parafrasando il verso iniziale di una delle più famose poesie della poetessa americana Emily Dickinson, potremmo affermare: “Non c’è nessun vascello che, come un disco, possa portarci in paesi lontani…”. Nell’immaginario collettivo, la musica è considerata una vera e propria “macchina del tempo”, nonché ipotetico mezzo di trasporto per viaggiare nel tempo, in grado di far balzare, in pochi istanti, da un’epoca temporale all’altra, sia nel passato che nel futuro, attraverso luoghi e scenari reali o utopistici. Un tragitto visionario ed introspettivo dell’anima a bordo di un vascello volante alla scoperta della bellezza misteriosa delle suggestive terre del nord: così prende corpo The Hovering, il secondo lavoro discografico interamente strumentale dei bergamaschi Northway, edito il 25 settembre per l’etichetta indipendente I Dischi del Minollo, registrato presso il Trai Studio di Inzago da Fabio Intraina e masterizzato da Giovanni Versari presso La Maestà Studio di Tredozio. The Hovering, nei suoi quasi 40 minuti di durata, scava nelle profondità dell’anima e dà continuità allo spartito sperimentale e al percorso emotivo e di crescita già intrapresi nel disco d’esordio Small Things, True Love (2017), traendo ispirazione dal protagonista del celebre romanzo di Jules Verne 20.000 Leghe Sotto i Mari. La band lombarda, mediante un certosino equilibrio ed intreccio tra suoni ed atmosfere, affronta la navigazione della nostra psiche e le insidie tentacolari del Kraken, mostro marino che riposa sul fondo del mare e metafora dell’oscurità dei nostri abissi, il quale, una volta risvegliato, porta distruzione in superficie, in quanto incarnazione della forza aggressiva e primordiale della natura, risvegliata dagli eccessi esplorativi dell’uomo. The Hovering ci racconta la sfida dell’essere umano nei confronti della natura e dei propri limiti, nel tentativo di raggiungere poli di inaccessibilità (Point Nemo) sempre più estremi, che siano fisici o mentali, da cui spesso è difficile far ritorno ma che, a volte, risultano essere condizioni necessarie per distaccarsi ed isolarsi (Edinburgh Of The Seven Seas) dalla civiltà contemporanea malata ed ostile. Le sei tracce di The Hovering fluttuano tra i solchi del mare magnum sonoro degli impetuosi feedback post-rock, costantemente e nostalgicamente in bilico (traduzione del termine Hovering) tra le malinconiche onde stilistiche della dreamwave e le lunghe note rarefatte della psichedelia, evocando identità sonore quali Mogwai, This Will Destroy You, Sigur Ros, God Is An Astronaut e Porcupine Tree. I Northway rinunciano, dunque, all’impatto della sfera testuale per concedersi totalmente, con enfasi e dolcezza, alla contemplazione intima e tridimensionale tra spazio, terra ferma ed oceano, dove scenografie cinematografiche e pause ambient (Interlude) fanno da cornice ad un’essenza caleidoscopica di rock e spiritualità sospesa tra dimensione onirica e dimensione tangibile.
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Un vascello solca senza sfiorarlo un mare opalescente e indefinito attraverso brezze psichedeliche e marosi post-rock, in un viaggio che alterna momenti di bonaccia a vere e proprie tempeste sonore: in questo modo si descrive da sé, già dalla sola copertina, “The Hovering” dei Northway. Il disco, che arriva sei mesi dopo del previsto a causa dell’inattesa pandemia globale, è il secondo prodotto del quartetto, formatosi a Bergamo nel 2014, dopo l’esordio di “Small Things, True Love” del 2017. Tema attorno a cui orbitano i sei brani, interamente strumentali, di cui si compone l’album è il mare, del quale i Northway plasmano una narrazione sonora ampia e multiforme. Il basso metallico e cadenzato con cui si apre il disco lascia presto spazio a un suono più cupo e ovattato, a sostegno di chitarre che si snodano in limpide volute melodiche o avanzano compresse in distorsione (“Point Nemo”, “Edinburgh of the Seven Seas”). A guidare il flusso del viaggio è la batteria, che scandisce i momenti di stasi e quelli di esplosione alternando ritmiche secche alle scroscianti cascate dei piatti. Segnali tremuli e acuti emergono a tratti dalle profondità, come in “Kraken”, che aggressiva rievoca il terribile mostro marino di cui porta il nome, e “Hope in the Storm”, in cui lontani echi di chitarra rievocano la desolazione dell’alto mare per poi ricompattarsi in bagliori di speranza. La chiusura è affidata a “Deep Blue”, il brano più lungo dell’album, in cui l’ininterrotta marea delle chitarre rievoca la distesa piatta del mare, esplorata sempre più in fondo dall’incalzare del piano e dalla pressione del basso. Figlio della tradizione post-rock, “The Hovering” scorre fluido per tutta la durata nel suo racconto privo di parole e mira a definire lo spettro sonico di una band in bilico tra nostalgia e voglia di sperimentare, caparbiamente desiderosa di emergere all’interno del panorama musicale italiano.
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Tra basso ed elettronica l’inizio di “Point nemo”, opener del disco. Appaiono subito sonorità che mandano la mente a God is an astronaut. Il basso prorompente si trascina per il pezzo come dominatore. Solida quindi la ritmica grazie anche all’apporto della batteria. Fraseggi/divagazioni di chitarra sono come forze centrifughe nel sound mentre basso e batteria fungono da architrave tanto robusto. L’elettronica completa il tutto portando tanta sostanza, dinamica e loudness. Stupendi i climax che arrivano verso la fine del pezzo come pure alcune “pause sonore” tanto meditative o momenti più sferraglianti e distorti. Segue “Kraken”. Esordio allusivo e mentale, tanto evocativo con climax crescente. Con tutti gli strumenti a pieno regime il sound è un pugno allo stomaco. Potente, calibrato a meraviglia. Refrain e songwriting in generale messi insieme con cura maniacale. La potenza sonora si bilancia con spunti più melodici per una sorta di “montagne russe” sonore concepite per la nostra anima desiderosa di liberarsi dalle “scocciature quotidiane materiali”….Pattern dopo pattern tutto sembra in armonia e tiene il nostro pensiero occupato dando mai tregua. “Hope in the storm” si caratterizza per kick leggero ed effusioni melodiche sgargianti. Ascoltando questa canzone sembra di essere sospesi in aria, come su una mongolfiera. Man mano che si procede in avanti nella canzone il sound si fa sempre più ampio e disteso e le varie progressioni sonore continuano a non darci scampo. Dopo “Interlude”, sorta di pausa riflessiva ed inebriante, arriva “Edinburgh of the seven seas”. Qui abbiamo malinconia sotto forma di onde sonore. Melodie leggere si contrappongono ad un beat abbastanza solido. Qua e là inserti più robusti rendono il sound più dinamico, sound che risulta sempre tanto “viaggiante”. “Deep blue” chiude il tutto, un’odissea interminabile e toccante con guizzi sonori electro e fraseggi di chitarra tanto elettrizzanti. Eccellente il lavoro di produzione sonora, mastering e songwriting che rendono il prodotto musicale di livello internazionale. Come facciamo a non sottolinearlo, NORTHWAY è una stella splendente del postrock italiano ed internazionale: con le loro apologie sonore tra psichedelia, postrock e struggenti passaggi distorti non possono passare assolutamente inosservati! NORTHWAY usa la musica per creare magie e chimere per l’intelletto umano: come alieni provenienti da un’altra dimensione, come esseri usciti da un wormhole ci portano sensazioni ed emozioni “sovrumane”, metafisiche, grazie al loro intruglio sonoro magicamente congegnato. Bisogna solo salire sul loro veliero, sulla loro navicella spaziale e vi troverete nell’oltre….Bisogna far prostituire la mente per produrre paesaggi immaginari straordinari…
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L’etichetta discografica de “I dischi del Minollo” si mostra come un’etichetta tra le più interessanti del panorama musicale italiano attuale. Il modus operandi ormai assodato consiste nello scritturare gruppi più o meno sconosciuti che abbiano un quid in più rispetto ad altre band, ma che rispecchino il target musicale prefissato. I Northway sono tra queste band la cui peculiarità risiede nel proporre musica strumentale. Fino ad ora hanno pubblicato, se non sbaglio, un disco e quindi questo in mio possesso è il loro secondo nuovo lavoro. La cosa che mi preme dire immediatamente è che la band si presenta davvero bene e in modo imprescindibilmente professionale dando alle stampe un disco realizzato con tutti i crismi del caso. Infatti sia l’aspetto grafico che quello sonoro hanno avuto un trattamento di tutto rispetto e possiamo tranquillamente dire che se ti presenti in questo modo hai già fatto la maggior parte della strada per la buona riuscita del lavoro. Parlando della copertina possiamo dire che siamo di fronte ad una realizzazione grafica davvero piacevole da osservare. I colori scelti, che in questo caso è un marrone con tutte le sue sfumature, sono stati pensati espressamente per un voler fare immergere l’ascoltatore nell’immagine stessa e intraprendere con loro un viaggio interiore condotto dal vento della musica offerta. Al centro vi è raffigurato un vascello con le vele spiegate; il che fa pensare che i Northway abbiano voluto intendere il loro disco come una sorta di navigazione libera senza porsi un approdo sicuro, che certo ci sarà, ma non è detto che sia presto.Sono sincero: apprezzo moltissimo il fatto che l’album, che mi è stato gentilmente spedito, sia realizzato in digipack cartonato che si presenta come un libro aperto. Purtroppo si sente la mancanza di un booklet confezionato magari con le foto singole del gruppo. Per quanto riguarda invece la loro musica, il gruppo si muove su territori strumentali senza essere troppo intricati nelle ritmiche, negli arrangiamenti e nel songwriting. Realizzano infatti un lavoro che li avvicina ad un rock progressivo dalle forti tinte psichedeliche ed ipnotiche alla stregua dei Pink Floyd ultima maniera; e cioè più precisamente guardando i lavori solisti di David Gilmour. Ascoltando i Northway però ho anche la netta sensazione che siano ispirati ad un certo approccio elettronico che però non sovrasta il resto egli strumenti, il tutto per un risultato suggestivo e piacevole da ascoltare. Per il loro modo di intendere la composizione musicale dei brani proposti in questo lavoro, il gruppo viene favorito dalla piena riuscita dell’esecuzione delle canzoni che risultano fluide e non troppo impegnative da ascoltare. All’ascolto aiuta anche la scelta di inserire solo dieci canzoni perché ci permette di apprezzare senza alcuna fatica “the hovering” C’è da dire inoltre che il grosso lavoro viene svolto egregiamente dai chitarristi Antonio Tolomeo e Luca Laboccetta che durante l’esecuzione dei brani si scambiano spesso e volentieri i ruoli tra loro. Nel loro modo di suonare riescono ad essere incisivi e diretti sorretti anche da una ritmica precisae costantenell’evoluzione dei brani. Le tracce di questo lavoro non hanno una lunghezza eccessiva (che si aggira sui sei minuti circa), solo la conclusiva “Deep Blue” arriva a superare i nove minuti. Questa lunghezza però non rappresenta un problema per via di questa fluidità di cui parlavamo poc’anzi e si avvalgono anche gli altri brani del lavoro. In chiusura possiamo certamente dire che “The Hovering” è un disco che ci farà viaggiare con la mente definendo, la musica dei Northway, “immaginifica” perché ha in sé questa capacità evocativa e di imprimere immagini nella mente durante l’ascolto.Non mi resta altro che consigliarvi l’acquisto avendo una mente aperta, e fare i più sinceri complimenti alla band per questo loro lavoro ben riuscito.
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The Hovering è la seconda prova in studio per i bergamaschi Northway con l’etichetta alternativa I Dischi del Minollo. Registrato a Inzago presso il Trai Studio, l’album si arriva a tre anni dal debutto, Small Things, True Love (2017) e conduce l’ascoltatore attraverso sperimentazioni sonore, psichedelia e tradizione Post-Rock in totale armonia e queste condizioni strumentali, la percezione di coinvolgimento pervade tutta la durata del disco, sei tracce musicalmente notevoli che rilasciano buone sensazioni. In uscita il 25 settembre 2020 dopo il rinvio causa pandemia.
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Da qualche anno voglio bene ai Northway. Mi piace considerare questo disco come un ritorno alle origini, agli albori di un suono che oggi si chiama post-rock e che ieri neppure esisteva, perchè il post-rock - ci tengo sempre a specificarlo ad uso e consumo delle nuove leve – trent’anni fa era un’altra cosa, nemmeno imparentata con la forma odierna. Forse il post-rock di oggi discende dai Talk Talk di “Spirit of Eden”, forse dai Bark Psychosis di “Hex”, chissà. Certo non dagli Slint, chè quello era un capitolo diverso. Voglio bene ai Northway da “Small things, true love”, esordio autoprodotto datato 2017 che colpiva profondamente per la capacità di riscrivere il verbo post-rock in un linguaggio non così infarcito di manierismi comodi. Era audace, in un suo modo elegante e raffinato. Optava per una rilettura molto personale della materia, quasi rinunciando a gonfiare i brani fino al prevedibile climax tipico del genere. Restava attendista, trattenuto, in sorniona aspettativa di un’esplosione che stentava ad arrivare.
Eleganti e raffinati i quattro ragazzi della bergamasca lo sono anche oggi nelle sei tracce di “The Hovering”, pubblicato per la sempre interessante I Dischi Del Minollo e già pronto per l’uscita – poi rimandata – a cavallo del lockdown. Del debutto conserva intatta la soave delicatezza che ne distingueva le trame; forse – ma non è importante - teme di osare qualcosa di più, spostandosi di lato anzichè avanzare. Fa sontuosamente ciò che deve, ma non rischia, ed è un peccato. Poco conta: ti lascia crogiolare nel toccante vortice di “Hope in the storm” mentre si concede di tornare alla primigenia, canonica scrittura post-rock cui siamo ben abituati nella vibrante accoppiata iniziale formata da “Point nemo”e ”Kraken”: Mogway, This Will Destroy You, God Is An Astronaut, Explosions In The Sky e compagnia (non) cantante. Rimane fedele a sé stesso percorrendo sentieri non sempre già battuti: “Edimburgh of the seven seas” si dissolve gradualmente in note di piano anzichè inseguire il prossimo movimento in crescendo, preferisce non cedere alla scontata deflagrazione-ad-ogni-costo ripiegandosi introversa su atmosfere desolate e morbide. In coda, i dieci minuti di “Deep blue” caracollano su una linea di basso avvolgente come faceva “Arrival” in apertura di “Small things, true love” andando a spegnersi nell’ennesima oasi di quiete tutt’altro che effimera, suggello ad un album suadente nelle sue minute, quasi timide divagazioni. “The Hovering” somiglia ad un esercizio di stile che scorre garbato, di rado satura, di nuovo si placa simulando l’onda in mare aperto: quello dei Northway resta un mare placido, perché sarà anche tutto un gioco di trattenere e rilasciare, ma ci vuole classe per parlare solo attraverso le immagini evocate dal prossimo ascolto ad occhi chiusi. Per essere un ritorno alle origini non c’è male, n'est-ce-pas?
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La band nasce nel 2014 e già durante le prime sessions si sperimentano nuove sonorità. La voce è presto abbandonata per approdare al vasto territorio del post-rock. Un’identità sonora che evoca band come Mogwai, Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, This will destroy you ecc…; The Hovering, la cui uscita era prevista per marzo 2020 e poi rinviata per la pandemia, nasce dopo tre anni dal precedente full-lenght “Small Things, True Love” (2017) ed è fortemente caratterizzato da un intenso lavoro in studio, dove i quattro musicisti hanno ricercato un equilibrio tra tradizione e sperimentazione, delinando così il sound dei Northway. L’esperienza di The hovering viene definita dalla band come “un’alchimia strumentale, schizofrenicamente post-rock e nostalgicamente psichedelica.” Un disco che si inserisce nell’ormai prolifico filone del post-rock in maniera ordinata e senza particolari sussulti. Album fatto in modo valido, tra accelerazioni come in Point Nemo, momenti più sognanti come Hope in storm, stop didattici quali Interlude. Nel complesso un disco sufficiente, che si ascolta volentieri, suonato da buoni musicisti che si intendono bene e portano a compimento un prodotto compatto. Viste le premesse è lecito aspettarsi ulteriori passi in avanti nei prossimi lavori.
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E’ una bellissima notizia che in Italia ci sia ancora qualcuno che fa del post-rock, gente che non si è piegata al rap, alla trap o all’indie. Ecco che dunque i bergamaschi Northway vanno visti un po’ come i Panda: una specie a forte rischio di estinzione. Tolta la premessa (doverosa) veniamo alla recensione. “The Hovering” è un disco suonato ottimamente, con una buonissima tecnica, al quale però manca qualcosa, un azzardo, un cambio di registro. Nel senso che i Nostri riproducono alla grande le fascinazioni internazionali del genere sia nei giri di chitarra che di basso, ma tendono a restare fermi su posizioni di retroguardia piuttosto che lanciare/rilanciare la sfida, magari personalizzando. Insomma, si rivolgono a una nicchia, quando ci sarebbe ampio spazio per allargare il raggio di azione. Per la verità nella conclusiva “Deep Blue” qualcosa si nota, ma è troppo poco. In definitiva: bravi ma poco coraggiosi.
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Quattro ragazzi del bergamasco, Antonio Tolomeo (chitarra), Luca Laboccetta (chitarra), Matteo Locatelli (basso) e Andrea Rodari (batteria), formano i Northway nel 2014. Qualche anno dopo fanno uscire il debutto “Small Things True Love” (2017), cui segue “The Hovering”, nella classica vena di GY!BE e Mogwai. La lenta andatura blues ternaria di “Point Nemo” suona piuttosto inerte nonostante l’usuale crescendo di glissando chitarristici; meglio il quasi-inno fragoroso a seguire. Meglio ancora “Hope In The Storm”, stavolta su base folk quasi-stomp, però troncato troppo presto al culmine della tensione. Il brano più corretto è forse “Kraken”, su groove ponderoso post-wave (debitore in parte della “Unità di produzione” dei Csi), chitarre tempestose e interludio di accordi bizantini ed elettronica a mimare un organo psichedelico. Non molto altro da segnalare, a parte forse il pianismo new age nella chiusa di “Edinburgh Of The Seven Seas”. Tema del disco: il mare nella storia, le navigazioni e le mitologie. Più nei titoli che nella musica. Poco interessante nelle costruzioni, lo è per certi rifiniti accorgimenti atmosferici d’arrangiamento, qualche finezza niente male di confezione. Registrato da Fabio Intraina, masterizzato dallo scafato Giovanni Versari
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I Northway li avevamo incontrati già ai tempi di Small Things, True Love e condividiamo quasi le medesime sensazioni anche per il nuovo EP dal titolo The Hovering. Siamo nei territori del post-rock, genere che solitamente da adito a declinazioni abbastanza personali da band a band, ma in realtà nei Northway leggiamo proprio le coordinate classiche del post-rock, copione completamente strumentale con i classici crescendo per dare intensità a tracce che altrimenti suonerebbero troppo piatte (Point Nemo è un perfetto esempio), chitarre elettriche ma anche note isolate o arpeggi dal classico imprinting post-rock e poco più. A parere di chi scrive il post-rock è davvero un genere che andrebbe vestito in maniera del tutto individuale, dando vita ad una interpretazione soggettiva piena di declinazioni che escono fuori dal cerchio e contaminano, irradiano. I Northway invece no, sono dei puristi, restano fermi su di un unico concetto di post-rock e fanno leva su quello. Mancano i piccoli elementi elettronici e le incursioni nella new wave del precedente lavoro citato, sprizzano distorsioni elettrizzanti (Kraken) e anche melodie (Hope In The Storm) ma sembra tutto molto quadrato, incorniciato in una serie di mosse per restare all’interno della scacchiera e non tentare nessun gesto alternativo.I puristi del genere, appunto, potranno dire che non abbiamo capito nulla di questo lavoro ma in realtà è proprio a loro (e purtroppo solo a loro) che è indirizzato questo album. Al di fuori di quella cerchia (e quindi con un orecchio che va oltre quel genere) sarà difficile trovare spunti di interesse per approfondire il progetto, ma per i Northway speriamo di sbagliarci.
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It's ironic that the cover of this album features a ship floating through the air with no water around it, because I got the feel of water from the music within it. Point Nemo, the first of six songs on offer here and, surely referencing the submarine captain of Jules Verne, the first of four to explicitly hint at the ocean in its title, has a lapping rhythm to it. It's led by the pleasantly plodding bass of Matteo Locatelli, but the two guitars dip and weave like birds and the cymbals emulate sea spray. I'm still learning about post-rock, but it seems clear to me that it's all about painting vistas in sound, using traditional rock instrumentation to achieve what electronic bands did entirely with synths and their many gimmicks. Certainly, that's what this Italian instrumental four piece do on what I believe is their second album, after 2017's Small Things, True Love. Often those vistas are landscapes, but these feel like seascapes and, like the sea, they're volatile. That opener starts out peacefully, with calm waves, but it gets dangerous at a moment's notice. If the video featured the band playing their instruments on a raft out beyond sight of land, they'd be swimming for their lives by the end of the song. Kraken, as the title might suggest, gets even more vehement, a battle being fought at points. Hope in the Storm is the odd man out for me, because it doesn't seem to go anywhere. It's a pleasant enough track but it kind of just sits there in between Kraken and Interlude, the two minute latter the piece of music titled to just sit there in between tracks. Oddly, it's more interesting than Hope in the Storm, with some particularly neat guitar echo, and it gets us into the right frame of mind for Edinburgh of the Seven Seas. I don't know what Edinburgh is in this context, but I'm going to guess that it's a ship rather than one of the crew and it had quite the history. There's certainly some majesty and reverence in this track, as if Edinburgh had earned its place in the title of a piece of music. For the most part, it moves elegantly but surely through calm or tumult. I don't see anyone credited for piano, but it wraps up that way, a little sad but in a bitter sweet way, as the piano it knew that, even if the Edinburgh had run its course, it had done so well and it would be fondly remembered. That leaves the longest piece on the album, Deep Blue, which doesn't just exceed the seven minutes of Edinburgh, which had all seven seas to travel through, it almost reaches ten. Then again, unless we're talking about the chess playing computer, which I seriously doubt, the ocean is vast and neverending. This particular Deep Blue gets playful too. I liked this whole album, but it's more on the background music side of post-rock, because it paints its seascapes calmly for the most part. There are dynamics in play, but they either arrive early, with Point Nemo and Kraken, or wait until Deep Blue at the end, with Edinburgh able to conquer anything that might warrant interpretation in that way. I'd have preferred more variety and contrast, but I enjoyed this as it is. The Hovering is just more of a motel seascape than a Turner. There's little to challenge here, the "ambient" and "dreampop" tags on Northway's Bandcamp page seeming a lot more appropriate than the "psychedelic" one, but that's fine. This music still took me out of my office and I enjoyed this safe and peaceful journey away from the chaos of the US election. Grazie per l'oasi, signori.
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Formation italienne Northway nous propose son second album qui manifestement vogue entre divers courants voir en eaux-troubles puisque l’on parle au sein du lien Bandcamp à la fois d’Ambient, de post-rock, de rock-progressif ou encore de rock-psychédélique ! Et donc il va falloir débroussailler tout çà histoire d’y voir plus clair, avec un démarrage qui évolue entre post-rock et rock-atmosphérique et ce, en mode instrumental. Plutôt aérien et léger au départ la musique proposée par le groupe formé en 2014 et ayant sorti son premier opus en 2017, nous transporte délicatement dans une atmosphère où l’on ressent la délicatesse du son de la guitare mais aussi une belle présence du côté de la basse. Voguant effectivement entre un post-rock maîtrisé et un rock-alternatif posé, cette première composition part malgré tout vers la saturation des guitares en partie centrale et ce, en passant par plusieurs phases tonitruantes avec donc une alternance d’ambiances. Voilà un beau début pour la formation italienne qui poursuit son chemin sur des nappes mystérieuses et brumeuses qui, introduisent un rock-alternatif et psychédélique sombre voir nostalgique avec toujours, un beau travail au niveau des guitares qui effectivement impriment des montées de psychédélisme mais aussi des passages plus posés offrant au final une composition multiple-facettes. Voguant à nouveau à la fois dans le post-rock et l’atmosphérique, le groupe nous conduit avec intelligence vers son univers instrumental que j’apprécie personnellement je l’avoue car ici, on découvre des montées où crescendo le rock se fait de plus en plus saturé, tout en conservant ce côté mélodique et aérien ! Et je pense que c’est cela qu’il faut retenir du travail des musiciens italiens, la capacité de construire une musique parfois sombre mais aussi lumineuse lorsque les guitares offrent des notes cristallines, une musique voguant entre les styles et les ambiances (entre le calme et la tempête) avec toujours une volonté d’attirer l’amateur averti à l’écoute de celle-ci.Qui perdure dans un post-rock aérien et posé où à nouveau, le groupe montre tout son savoir-faire avec un bel équilibre entre les deux guitares et la section rythmique, une dernière composition qui me semble d’ailleurs être le point culminant de l’album en matière de voyage initiatique à travers le bel univers de Northway !
L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.
Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.
Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.
E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.
La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.
E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.
Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.
Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.
http://www.kingsuffygenerator.com
https://www.facebook.com/pages/King-Suffy-Generator/132560894232?fref=ts