In un inebriante bailamme che sa di Massimo Volume in acido (“Rumoroso”), di Nicola Manzan, di Starfuckers, di sporcizia assortita dagli OvO in su, “Crepa” manda allo sbaraglio nove schegge impazzite di rumorismo brado (“Preghiera”, affidata ad urla belluine direttamente dai meandri più reconditi dell’Ade: Stefania Pedretti ne sarebbe fiera) alternate a digressioni intellettuali ammannite su scheletri di strutture noise asfittiche e soffocanti (“Antiballata”, con cori di Arianna Poli). A celebrare il rito per Hellbones Records/I Dischi Del Minollo, al confine tra dolore uditivo e strisciante acrimonia, Igor Tosi e Riccardo Silvestrini, in arte Mastice, creatura scomoda e fastidiosa che da un decennio si aggira e si agita nei recessi della musica sotterranea baloccandosi con i detriti della mente. Se ne “L’aspettativa” sembrano perfino degli Uochi Tochi strafatti, in “Testa di Igor” imbastiscono un curioso ossimoro di frenesia math: di qualsiasi deviazione si tratti, la scelta è per una recitazione martellante, incalzante e vagamente perversa (“Paralisi”, che piacerebbe a Giovanni Succi), in prevalenza distorta, mascherata da sonorità sghembe che infondono un senso di macabra incombenza. Strutture più lineari di forma-canzone, benché estrema, puntellano “Laser”, trafitta da un riff tagliente della chitarra che si incunea in un dedalo di odio e cieco furore. Recitativi, frastuono, feedback lancinante, parole come pietre in un’intifada. Mi ricordano gli unoauno in certe sassate che fanno a pugni con l’estetica, con la bellezza, con la gioia in sé. Musica dolorosa e addolorata. Sgraziata, spigolosa, sofferente. Agonizzante come un moribondo. Antitesi della piacevolezza, negazione dell’intrattenimento. Ferale come il violoncello straziato di Paolo Mascolini nella chiusura incupita de “L’abbandono”, coda nera che lascia un sapore amaro in bocca e un’eco stranita e stravolta, come di qualcosa che è andato storto. Perchè avere una sola stazione come obiettivo/e come unica alternativa deragliare?/E’ sufficiente non costruire binari. Un disco che è l’incubo di quelli che benpensano. Gran disco, infatti.
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Il secondo lavoro lungo dei Mastice, duo noise ferrarese, segna un deciso passo avanti nella definizione di una propria cifra stilistica, scartando alcune opzioni poco convincenti sperimentate in passato e concentrandosi sullo sviluppo di quelli che possono diventare punti di forza, dando alla poetica autoriale-rumoristica del gruppo una forma compiuta. La natura aperta che il progetto mostra spesso da vivo, associandosi ad altri artisti, viene assecondata dalle collaborazioni di Samboela alla batteria (già nel precedente lavoro), Paolo Mascolini (Sozu Project) al violoncello e Arianna Poli alla voce, inserimenti che consentono di incanalare le pulsioni del duo in una forma adatta all’ascolto domestico senza far evaporare la ruvidezza e la profondità che li caratterizza. Sono dunque canzoni quelle che ascoltiamo su Crepa, brani non troppo lunghi e senza eccessive divagazioni (pur non aderendo mai alla classica forma-canzone), ma rispetto al precedente Violente Manipolazioni Mentali la melodia è quasi assente, rimpiazzata dal un suono d’impatto tipicamente rock, sporco e quadrato, con l’anima elettronica/industriale che non passa in secondo piano ma va a innervare le composizioni fin nelle più profonde viscere. La voce abbandona i tentativi di cantato, che rischiavano di far (s)cadere il tutto in ambito rock italiano, e si concentra su un parlato/recitato/urlato che talvolta richiama gli immancabili Massimo Volume, ma più spesso la ruvidezza degli Starfuckers di Brodo Di Cagna Strategico e Sinistri e qua e là anche le declamazioni dei Post Contemporary Corporation. In questo crocevia fra rumore, strutture squadrate e testi d’autore prendono forma i momenti migliori del disco, i recitati intensi su tempesta analogico-digitale di L’Aspettativa e Paralisi, le eruzioni post-core di Preghiera e Rumoroso, le orchestrazioni rumoriste di Antiballata. In generale comunque il livello qualitativo è davvero buono, il disco non ha momenti di cedimento e, nella carriera dei Mastice, rappresentata un punto fermo che non preclude future evoluzioni, anzi, per certi versi pone le basi perché esse possano avvenire.
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Non mi stancherò mai, nel caso di nuova uscita, di sottolineare (a me stesso, a voi che state leggendo e agli autori stessi dell’opera) che una recensione debba essere il più oggettiva possibile evitando di lasciarsi coinvolgere in un giudizio soggettivo che per quanto giusto o sbagliato possa essere resta del tutto irrilevante. Un album può molto tranquillamente non piacere, ma il fatto di “non capirlo” non deve essere una scusante, né il fatto che possa non piacere per i più disparati motivi, ovviamente non è così semplice e non sempre è possibile una separazione così netta, comunque questo resta il mio intento e una mia scelta. Questa breve premessa non è diretta nello specifico a questo Crepa dei Mastice (uscito per Hellbones Records e I Dischi Del Minollo), sicuramente un album che scorre al di fuori dei soliti canoni musicali standardizzati e questo è sicuramente un bene, può sembrare ostico ad un primo ascolto ma ad un secondo lo è già meno, non è una questione di “quante volte” ma del bisogno di prendersi quel “tempo necessario” per lasciare che questi suoni e parole si sedimentino dentro di noi, che tutto pian piano si schiarisca e con una certa timidezza si mostri. Un “tempo necessario” quanto mai reale, se non vogliamo che anche questo venga assoggettato a regole di mercato (ma forse lo è già), sarà bene essere noi stessi a prendercene cura anziché delegare i “soliti altri”che fanno di un consumo convulso la loro stessa sopravvivenza. Ma torniamo ai ferraresi Mastice ai cui membri fondatori Igor Tosi e Riccardo Silvestrini (siamo nel 2010) si aggiungono Samboela al mix e batteria e Paolo Mascolini al violoncello, nonché la partecipazione di Arianna Poli, più che un gruppo quindi un “ensemble” o se preferite un progetto-cantiere “in corso d’opera”. Stiamo parlando di poetica industrial noise, malinconica, desolante, a tratti rabbiosa, calata in un presente quanto mai alienato e disumanizzante, di rock (nel senso classico) ne mantiene solo la fragile struttura mentre i testi in italiano sono un ottima scelta, testi non “esposti” in forma canzone-classica ma in uno stile “declamatorio” (o se preferite parlato) dalla buona voce di Igor Tosi. Se, e sottolineiamo il se, manca qualcosa in questo pregevole e personale lavoro, è l’aver osato di più, permettendo e lasciando a questa musica di librarsi finalmente in volo distaccandosi anche da certe tematiche e conclusioni “razionali”, personalmente (quindi discutibile) la possibilità di arricchire il progetto con una strumentazione acustica “inusuale”, penso ad un piano, un sax, un violino, oltre al violoncello già presente, ne avrebbe ampliato non solo il dialogo e l’interazione con l’ascoltatore ma anche il respiro, il pulsare, i colori (su questo particolare ci tornerò più in là) senza ovviamente doverne snaturare il progetto originale, ma si tratta appunto di “vedute” personali, le possibilità dei Mastice ci sono tutte, già visibili, già intuibili. L’aspettativa è forse la più “sperimentale” in questo senso, sonorità puramente noise ed un testo molto bello; si rallenta con Antiballata, più intima e decadente in un crescendo di buona intensità. Preghiera si muove su tonalità più rock, disturbante scarna potente, anche Testa Di Igor non fa concessioni, bello il testo e la voce (peccato che in tutto l’album risulti un po’ in secondo piano rispetto al suono), una traccia che per intensità e interpretazione sa lasciare il segno grazie anche al lavoro alle chitarre di Silvestrini. Paralisi ha il “difetto” di essere troppo legata ad un rumorismo fine a se stesso, Laser si presenta sotto le sembianze di un rock claustrofobico e distorto, molto bella anche se appesantita da effetti noise che finiscono con il prevalere sul resto. L’attimo non fa questo errore, resta quella che è e deve essere, intensa e drammatica; Rumoroso si distende su un buon tappeto di synth ed una buona ritmica, scorre lineare ed efficace; ultima traccia a chiudere questo lavoro è L’abbandono, desolante e ipnotica si aggira fragilmente fra quello che resta delle nostre umani miserie ed è un peccato (al di là del voto, un buon voto), è un peccato perché “quella” tavolozza di colori che hanno a disposizione questi ragazzi è ben più ampia di quella che effettivamente usano (o che si limitano ad usare), punto fermo resta questa “poetica-noise” che sicuramente svetta all’interno di un panorama musicale italiano di una banalità sconfortante (e dilagante). È un ottimo progetto quindi che speriamo possa ancora crescere ed evolversi, perché in fondo questa musica-forma-poetica chiede solo di non essere rinchiusa in una tela monocromo. Dal voto intuirete che ve lo consigliamo caldamente, non mi resta che aggiungere, visti i tempi, anche per un vostro bene.
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Mastice è il progetto noise-industrial di Igor Tosi e Riccardo Silvestrini nato nel 2010. Mastice nasce dall’esigenza di dare forma estetica al disagio esistenziale di dover vivere in una società in declino come quella in cui viviamo. Si tratta a ben vedere di un sentire che è comune a molte altre realtà della scena post industriale italiana. Come dimenticare il nichilismo di Andrea Corbelli con il suo dirompente act Atrax Morgue o il grande Maurizio Bianchi? L’esordio di Mastice avviene nel 2013 in una compilation tributo dei Fluxus (Tutto da rifare, tributo ai Fluxus). L’anno successivo è la volta dell’esordio discografico “Violente manipolazioni mentali” che esce per I Dischi del Minollo. Musicalmente ci si addentra in ambientazioni noise-industrial anche se la particolarità è quella di mantenere nelle canzoni una struttura rock mentre rimane sempre molto viva la critica della società contemporanea. Nel frattempo l’attività “live” diventa molto intensa e serve a far evolvere il linguaggio musicale di Mastice. Ora Hellbones Records e I Dischi del Minollo pubblicano il nuovo lavoro intitolato Crepa. Anche in questo nuovo capitolo traspare la volontà di dar voce alla disillusione di una generazione. Musicalmente si manifesta una tendenza ad addentrarsi verso nuovi territori drone che rendono sempre più eclettica e particolare la loro musica. Per intenderci c’è sempre il rumore in primo piano ma le ambientazioni sono minimali e prossime ad un rock industrial originale. Inoltre nel disco c’è la partecipazione di Paolo Mascolini (Sozu Project) al violoncello e di Samboela al mix e alla batteria. I testi sono recitati e sono molto diretti. Crepa è un disco crudo che paicerà ad un pubblico non necessariamente di seguaci del post industrial
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Igor Tosi e Riccardo Silvestrini ritornano con un nuovo lavoro, a distanza di sei anni dal debutto “Violente manipolazioni mentali”, dopo aver attraversato un periodo di concerti dal vivo in costante proiezione verso sperimentazioni e nuove frontiere musicali, anche in collaborazione con Alessandra Zerbinati (Lametàfisica). “Crepa” ha avuto una gestazione di circa due anni prima di vedere la luce, anni in cui il duo ha provato a digerire quanto fatto negli anni precedenti e strutturarlo in qualcosa che non fosse più mera improvvisazione. Il risultato è un album maturo e consapevole di ambient / noise rock cantato in italiano, incentrato sul difficile rapporto tra il microcosmo interiore, perpetuamente smosso dalle sue forze interne in conflitto e meschinamente ridotto al rapportarsi con una società sempre più sclerotica ed incomprensibile e coi suoi componenti, che ci condannano ad apparire sempre vincenti e realizzati, o a scomparire. Nove brani fatti dalle chitarre attendiste di Silvestrini, che tracciano paesaggi sonori a volte quieti, a volte minacciosi, come tempeste in avvicinamento, che si sposano con tessuti noise/industrial e testi sussurrati o declamati da Tosi, che non disdegna urla laceranti di quando in quando, o cantati dalla ferrarese Arianna Poli. È un disco monolitico, ben riuscito, dai suoni convincenti e mai noioso o troppo pesante o monotono, ma non per questo di facile digestione, che viene fuori alla distanza, ma che richiede molteplici ascolti.
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Dopo il buon esordio di fine 2014 "Violente Manipolazioni Mentali", il duo ferrarese composto da Riccardo Silvestrini (chitarre, synth, drum-machine, rumori) ed Igor Tosi (voce, synth, rumori) torna con l'atteso secondo album, realizzato nuovamente dalla I Dischi Del Minollo, ma stavolta in collaborazione con l'agguerrita Hellbones Records. Coadiuvati ancora una volta da Samboela, che si occupa sia della registrazione e del mixaggio che delle parti di batteria e synth, nonché supportati dagli aiuti esterni di Paolo Mascolini (Sozu Project, violoncello), Arianna Poli (voce) e Matilde Tosi (rumori), i Nostri proseguono per quella strada che incrocia il noise industriale con un approccio più ortodosso di matrice rock/metal, stavolta con fare meno "cantautorale" rispetto al debut. Racchiuso nella classica confezione che ricalca quelle dei 7" e disponibile anche in vinile (oltre che in download), l'album - incentrato sui conflitti interiori alla base del dualismo fra vita reale ed illusione di perfezione - si apre coi vortici noise controllati e col recitato arcigno di "L'Aspettativa", sfoderando un buon crescendo d'intensità che ritroviamo anche nella straniante "Antiballata", fra spoken words nervose, ritmi sottili, melodia ed il canto salmodiante della Poli sullo sfondo. È "Preghiera" ad introdurre una costruzione rock/metal più robusta che ben si fonde alle urla in background, allo stesso modo della speculare ed accorata "Testa Di Igor", e se la tesa e dolorosa "Laser" si spinge fin verso lidi doom metal, "L'Attimo" stempera i toni con un piglio più rock e ritmato. Il recitato torna a farsi arcigno fra le pieghe dell'industrial pulsante di "Paralisi", mentre il finale apre ad una maggior pacatezza, dapprima con la lenta, elettrica e vibrante "Rumoroso", e poi con l'altrettanto lenta e melliflua dark ballad "L'Abbandono", che chiude l'opera all'insegna della mestizia. Tanti buoni spunti ed intuizioni per un act che sa muoversi agilmente fra quei generi che ben intrecciano - seppur con dinamiche molto più crude, rumorose e feroci ad ogni livello - i Khost, e che pare avere le carte in regola per andare oltre determinati schemi: in tal senso sarà interessante seguirne le prossime mosse discografiche, apprezzando nel frattempo questo valido ritorno.
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Igor Tosi e Riccardo Silvestrini lavorano entrambi in fabbrica, è da lì che deriva il nome della loro band, i Mastice. Il duo ferrarese è dedito a un industrial noise sperimentale molto personale, capace di raccontare i disagi, i desideri, i fallimenti e le ambizioni di un’intera generazione. Il loro è un sound robusto e granitico, essenziale ma diretto, ricco di distorsioni oscure tipiche dell’industrial, attitudine punk e un pizzico di elettronica che non guasta mai e la voce tra il recitato e l’urlato che dà un piglio cinematografico alla band
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L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.
Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.
Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.
E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.
La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.
E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.
Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.
Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.
http://www.kingsuffygenerator.com
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