press-review "38° parallelo" L'UOMO DI VETRO
Le linee di confine sono zone dominate dall'inquietudine, dal chivalà e dagli equilibri precari. Il 38° parallelo del titolo di questo intenso secondo album de L'uomo di vetro - a dir poco suggestivo pseudonimo collettivo di base folignate - è stato limite di frontiera, nella Corea all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, fra le aree di influenza sovietica e quelle occupate dagli USA; è stato, in pratica, demarcazione fra due mondi che parlavano la medesima lingua e condividevano lo stesso sangue, e che da allora in poi sarebbero stati obbligati alla separazione in due dimensioni incomunicabili e parallele, per l'appunto. 38° parallelo è un lavoro dotato di un'illuminante ricchezza evocativa; al suo post-rock strumentale - mai piatto o ripetitivo, mai uguale a se stesso - appartengono i codici dell'illusorietà verosimile del sogno e della cinematografia, e anche quelli di tutte le rigide convenzioni che fanno delle società umane macchinosamente organizzate la più innaturale e assurda fra le realtà terrestri.
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ONDA ROCK
Le note più liete sono però quelle che provengono dall'ottimo lavoro di produzione e missaggio e dallo spessore delle strutture compositive, la cui complessità scorre in mille rivoli, ora verso torsioni granitiche, ora verso luminose aperture, ma senza mai risolversi in passaggi scontati: più che la rigidità degli schemi a L'Uomo di Vetro interessano le intersezioni tra strumenti e armonie, di volta in volta giustapposte in maniera diversa e secondo un'assoluta spontaneità espressiva, ben distante da quei cliché soft/loud che troppo presto hanno inaridito la spinta propulsiva di certo post-rock.
Ad ascoltare "38° Parallelo" viene anzi naturale rispondere positivamente all'interrogativo se nel 2010 abbia ancora senso continuare a insistere a lavorare in questo ambito musicale. Lo ha senz'altro, nella misura in cui la sua interpretazione venga svincolata da forzature stringenti per essere lasciata all'istinto e al semplice piacere espressivo di quanti la mettono in pratica: ed è questo il caso di un album che rappresenta oggi quanto di meglio finora offerto in quest'annata in ambito post-rock, non solo in Italia.
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NERDS ATTACK
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STEREO INVADERS
L’uomo di vetro è fragile, malinconico ed impacciato, perché si sente un po’ al confine della reale vita quotidiana. Non può fare ciò che invece le altre persone possono, timido e sempre attento a non urtare ciò che lo circonda. Di questo condizionamento allora ne fa una peculiarità, un qualcosa di cui distinguersi, perché il vivere con intensità la vita non ha limiti fisici, non ha confini entro i quali spaziare. Così, ecco rappresentato il Project in esame, nato nel 2004 e con alle spalle un album, arriva a produrre “38° Parallelo”, full-lenght di Post-Rock delicato, che ricorda Godspeed You! Black Emperor e Mogwai. Suite cicliche, ambientazioni oniriche i cui riflessi colorano la trasparente figura de “L’Uomo Di Vetro”, così limpido dal poter mirare ogni suo sconvolgimento, fugace emozione ed azione. Crescendo sonori sono sensibili, evoluzione di un’anima che si distacca dal corpo, le cui delimitazioni ora non restringono il campo e le possibilità. Non ci sono catene, ma in fondo, la schiavitù dei moventi è un fardello a cui sono la mente e i sentimenti possono ovviare. Tutto così è ora spontaneo; galleggiamo lontano, sollievo per un peso di cui avvertiamo solo un eco lontano, così da dimenticarcene la natura, finalmente liberi. “38° Parallelo” è consigliato a chi ama sognare, a chi ha una mente libera da condizionamenti e stereotipi e a chi, per alcuni aspetti, conosce il disagio di un dolore che si trasforma poi in virtù. L’uomo di vetro così diventa una creatura rara, una poesia le cui note hanno il sapore del sole, livree dei riflessi e delle sfumature delle emozioni umane. Complimenti di cuore, commovente.
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BEAT BOP A LULA
È indubbiamente l’alveo del post-rock, quello in cui scorre, ora placido come certi tratti del Ticino (o del Mississippi, se vi par più affascinante), in Tecno-bells & funeral party o Deserto, ora impetuoso come un imbizzarrito torrente canadese, in Smog, il fiume dell’Uomo di Vetro, formazione umbra che giunge con 38° Parallelo al suo secondo disco. E c’è da dire che i livelli raggiunti sono senz’altro più che buoni: se è vero che le composizioni lasciano trasparire una certa irruenza e istintività frutto di un approccio che probabilmente parte da lunghe jam, nell’attitudine (ad esempio in American Nightmare), è anche vero che la scrittura dei brani è matura e ben strutturata, cosa non comune a chi si dedica alla musica strumentale, e che si esplicita in una scelta di gusto sia nelle parti che nei tempi di intervento dei vari strumenti coinvolti nei brani.Molto intelligentemente, i ragazzi della band puntano su una decisa accentuazione della componente cinematografica che le atmosfere dei loro brani (e in senso lato, della musica senza parti cantate) creano: si ascoltino 1984 The end is just the beginning (che li accosta a degli altri alfieri della musica strumentale, i Ronin), o lo struggente tema pianistico di Germania anno zero. Non a caso l’amore per la dimensione aperta e dilatata della colonna sonora e del cinema traspare nei riferimenti dei titoli dei loro brani, ma anche nella sospensione di certe trame, quelle più rarefatte dell’inizio di Make up the rules as we go along, ad esempio, che poi si apre in un piacevole mid-tempo pronto qua e là a rallentare e a fare passi più pesanti.
Certo, Mogwai, GodSpeed! You Black Emperor, gli stessi Giardini Di Mirò possono essere chiamati in causa come riferimenti immediati più o meno espliciti per l’Uomo di Vetro, e del resto nemmeno preme troppo ai ragazzi della band, credo, negare questo fatto come se fosse un’onta: però mi pare di poter dire, pur non essendo io molto coinvolto dai mondi sonori del post-rock, che 38° Parallelo sia un buono step, sia per quanto riguarda la maturazione che la personalità, per questo progetto musicale, che lascia intuire di avere in futuro ampi margini di evoluzione, che qui mi sembra di scorgere in particolar modo proprio nei momenti più riflessivi e desolati, sui quali peraltro i Nostri sembrano indugiare maggiormente, e che qua e là profumano anche di certi echi dei primi Calexico, come nei primi tre minuti della già citata American Nightmare.
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KATHODIK
Foligno, inverno 2004. Giacomo M. (basso) e Fabio P. (chitarra) decidono di metter su una band. Incontrano Federico P. (batteria) ma, insoddisfatti dei primi risultati, decidono di imbarcare altri musicisti per accrescere il livello tecnico della formazione. Così qualche mese più tardi entrano a far parte della line-up anche Luca Valerio C. (tastiere, violino, effetti), Giacomo S. (chitarra) ed Emanuele S. (campionamenti). Nasce così, nel 2006, “Merry Christmas”, esordio autoprodotto, cui segue questo “L’Uomo di Vetro”, licenziato invece da I Dischi del Minollo. Nonostante il passaggio ad una label, il sound del gruppo non è cambiato: parliamo sempre di post-rock alla maniera di Mogway, Godspeed You! Black Emperor e Giardini di Mirò.
Emerge, tuttavia, una maggior maturità dal punto di vista del songwriting. Le nove tracce del CD, infatti, suonano più compatte, denotano una maggiore personalità, una maggiore ricchezza. Colpiscono, in particolare, American Nightmare, con il suo maestoso crescendo, la robusta Smog, dal finale noise-oriented, la splendida elegia pianistica di Germania Anno Zero (il cui titolo cita espressamente uno dei capolavori del neorealismo italiano firmato Roberto Rossellini) e soprattutto Peckinpah’s Twilight (altro omaggio cinematografico, stavolta ad uno dei registi cult della Hollywood anni ’70). Il fascino di quest’ultima poggia su percussioni tribali, atmosfere notturne e soprattutto su uno splendido crescendo finale.
“38° Parallelo”, insomma, è la dimostrazione di come per fare del post rock degno di nota non basti mescolare tappeti di tempi dispari ed arpeggi alternati a schitarrate furenti: in primis, ci vogliono le idee. Questi ragazzi le hanno. E di interessanti, per giunta.
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