Articoli

press-review THE INCREDULOUS EYES

 

bandiera_italia   RADIOCOOP

Un nome interessantissimo che da anni continua a crescere, attraverso esperienze singole e di gruppo. Il nuovo album li coglie in quella maturità in cui il suono è sempre più personale e distintivo, dove il marchio di fabbrica è evidente. Un’anima post rock che si mischia alle asperità di derivazione Fugazi, per arrivare a momenti ancora più ruvidi e “sonici”, ipnotici e crudi. Un album non facile (è un complimento!), intenso, diretto, pieno di suggestioni e spunti. Più che ottimo.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   SMEMORANDA

Mi piace questo ritornare ai concept album. Ne ho ascoltati diversi in questi ultimi mesi, come Mad Journey dei ternani The Incredulous Eyes. Il protagonista è Ken, biologo molecolare che vive a San Francisco e ha fatto una difficile quanto bella promessa: trovare una cura contro il cancro. Ma sembra non riuscire a mantenerla e durante un esperimento ha delle allucinazioni con le cellule tumorali che iniziano a prendersi gioco di lui. Preso dal panico tenta il suicidio, ma viene salvato da un alieno chiamato Kaef, che lo condurrà in un folle viaggio… Non dico altro, solo che alla fine riuscirà a capire le poche cose che hanno valore nella sua vita sul pianeta Terra. Storia tipicamente anni Settanta, come la musica, avvolgente e maestosa, con le chitarre a costruire veri e propri muri del suono, un gran ritmo, un cantato a tratti enfatico, quasi recitato. Alternative – Rock tra l’acustico e l’elettrico.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia  KATHODIK 

Riportando che a comporre i due terzi del progetto The Incredulous Eyes sono i due Di Nicola (cantante e chitarrista Danilo, batterista Claudio) di Bebe Rebozo memoria – ricordiamo, diciotto anni fa, con immutata reverenza “Voglio essere un ninja e vivere nell’ombra” ‒ già sappiamo di poter sentire in “Mad Journey” evoluti sonicyouth-ismi (la title-track) aggiornati a litanie protomartyr-i (Deeper Inside). Assieme al bassista Andrea Stazi, i due abruzzesi allestiscono maturo rock rumoroso e matematico, più di quaranta minuti per dodici tracce narranti distopico futuro (ma anche inaspettata malinconia: June). Potenti e impeccabilmente tecnici

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   PERKELE

Parte da un presupposto molto articolato Mad Journey, il nuovo album del gruppo abruzzese The Incredulous Eyes. Un biologo molecolare di nome Ken, nel tentativo di trovare una cura per il cancro, si imbatte in visioni allucinate che lo porteranno a conoscere l’alieno Kaef. Suicidi collettivi, anime in pena e ricerca interiore ci accompagnano nel viaggio di questo strano concept album. Musicalmente il quarto album della band (qui a bottega li seguiamo dai tempi di Here’s the Tempo e Red Shot) è nel solco della scrittura matura di Danilo Di Nicola, voce e chitarra, che compone in una combinazione riuscita prima intuizione “di pancia” e poi ripulisce e media attraverso le sintesi successive, sfinendo il prodotto finale. La sua Jaguar è sempre tagliente e riesce a costruirsi percorsi diagonali ed imprevedibili. Si hanno accenti Sonic Youth in Kaef – dove l’extraterreste si presenta in prima persona – e si sente l’odore di Lee Ranaldo in Deeper Inside, che con i suoi saliscendi rappresenta il pezzo più riuscito del lotto. Vision of Halet è un’eccezionale traccia space rock (primo pezzo in tale direzione, pare di ricordare) che lascia la briglia sciolta ai musicisti, così come la title track serra i ranghi dentro una schizofrenia post, vero marchio di fabbrica dei nostri. La destrutturazione sembra disgregare in particelle finissime nei casi di Insane Holograms e Nobody Must Die (una deliziosa citazione di Frank Sinatra come intro!), che sembrano da un momento all’altro perdersi in un vapore sonoro impalpabile. La fantasia ludica aliena dei Man or Astro-man? torna a farci visita in Dalik’s Aggression – Guilty e mirabile risulta il cantautorato moderno di So Long, June e dell’opener Cells. Finale dolcissimo che ti abbraccia e ti avvolge con il dittico Goodbye My Friend (Dan Sartain è qui, inaspettatamente) e Brother John. Siamo umani, rimaniamo umani: siamo frangibili ed imperfetti.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   ROCK GARAGE

Mi chiedono di scrivere recensioni forse più per il modo che per i contenuti. Temo che ci vogliano competenze che mi restano ancora ignote oggi per avvicinarmi ad un disco complesso come questo e penso che il tempo, quello di oggi, così sfuggente, non dia più tempo per approfondire. Nonostante tutto io siedo di fronte i miei vinili e cerco di usare meno etichette possibili e, a dirla come penso che il direttore non voglia per ovvie questioni di professionalità, me ne fotto altamente delle didattiche troppo spesso buone soltanto per gli abili citazionisti della piazza. Ritrovo i miei contarrenei The Incredulous Eyes con un nuovo disco dal titolo Mad Journey e di follia ce ne sta tanta in questo lavoro che ha più l’idea di un concept, di un viaggio, che di un raccoglitore di canzoni. Forse un giorno avrò cura di fermarmi sui testi ma, anche qui, io e l’inglese non andiamo d’accordo come non scenderà mai senza dolore questo inglese pronunciato da chi come noi è lontano anni luce dalla “terra promessa”. Questo nuovo disco però trasuda maturità e, più di quel Red Shot del 2016, ha equilibrio, coerenza ma soprattutto credibilità. Ahimè, la voce resta (e sa benissimo di saperlo fare) dentro l’ombra di Buckley e a dire il vero tutto il sangue di questo lavoro mi sembra un’eterna Mojo Pinin loop se non fosse che, con mestiere e fantasia, il mood si frantuma spesso e volentieri in soluzioni che non mi sarei mai aspettato. Però, i puristi del genere, mi diranno che quel tanto celebrato Grace di rotture ne aveva a iosa, forse più di quante ne abbiamo riconosciute negli anni. Fantasia: che bella parola questa. Quanta fantasia manca nei dischi di oggi? Tantissima. Beh in questo Mad Journey ne ho trovata parecchia, come anche tantissima è l’ispirazione che arriva più dal modo libero e leggero di gestire i suoni e di interpretare gli sviluppi dei brani (quel frantumare di cui sopra, spesso ostentato ma con maturità) che nel modo di vestire i panni degli “artisti” in cerca di consensi pubblici. L’arroganza che mi arriva è solo questione di quel ferro che trasuda da un suono “suonato” alla vecchia maniera e brani come Vision Of Halet penso siano il vero completamento di bellezza di questo lavoro che, se fosse figlio di altri tempi, non avrebbe bisogno di elemosinare spazi e attenzioni. Se penso che l’ultimo brano di Dylan non l’ha sottolineato “nessuno” e dopo pochi giorni è praticamente sparito nel dimenticatoio, figuratevi un trio che arriva dal nostro caro Abruzzo che fatica deve fare. Mi è piaciuto il modo di edulcorare la forma canzone che c’è, spesso, non sempre ma spesso, di questi lunghi momenti strumentali che narrano e non riempiono soltanto; planiamo senza soluzione di continuità dentro uno scenario in cui la voce diviene strumento e non portatore di senso estetico, in cui diviene vettore di rabbia e mi richiama alla mente la “dannazione” dei poeti beat, “l’urlo” delle parole con quella grazia capace di dialogare con il resto del suono. Inaspettata e decisamente bellissima la chiusa con Brother John che personalmente mi riporta al mood dei Duncan Shake e a quel certo modo inglese di scrivere melodie che si chiudono con accordi interrogativi. E poi Dalik’s Aggression – Guilty con questo rock dalle chitarre rockabbilly nelle vene che segna un momento “sporco” e cattivo di questo ascolto; e “June”, tanto per prendere un altro brano a bandiera, che se non fosse troppo ruvida nei suoni, avrebbe un che di beatlesiana bellezza. Ho come l’impressione di mancare il bersaglio e la religione di questo disco, ho come l’impressione che sia come uno scrigno di tantissime cose importanti mascherate in volto con allegorie che il tempo sfuggente di oggi neanche ci ha più educati a codificare. Ho come l’impressione che Mad Journey sia figlio di un passato recente e di recenti metropoli in cui il rock d’autore, che raccoglieva l’eredità di chi aveva ascoltato ed esasperato linee guida come Astral Weeks, veicolava rabbia sociale, romanticismo dannato e la fantasia di raccontare per raccontarsi. Mi è piaciuto proprio questo disco, intelligente e colto quanto basta per non trovare (spero di sbagliarmi) punti di appiglio nelle giovani menti invasate dei social di oggi.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

bandiera_italia   CRAMPI 2

Oltre un decennio di attività e tre dischi (più un EP) all’attivo, nel segno di collaborazioni extramusicali (come quella col pittore Bartolomeo Casertano), il progetto dei fratelli Claudio e Danilo Di Nicola, accompagnati da Andrea Stazi e Davide Grotta scrive un nuovo capitolo della propria biografia musicale. Si prendono le mosse da un racconto scritto dallo stesso Danilo, il ‘Mad Journey’ del titolo è un rapimento alieno dai contorni allucinato, per assemblare questi dodici brani che spaziano da momenti di quiete con reminiscenze folk-blues a serratissime sferzate dissonanti, da episodi ‘caracollanti’ con ritmi spezzettati vagamente post-rock a momenti di dilatazione psichedelica. Un ‘viaggio’ imprevedibile, con ‘svolte’ dopo ogni curva, sviluppi inattesi; un lavoro ‘denso’, variegato, dinamico, che riesce a non stancare, anche rivelando qualcosa di nuovo ad ogni ascolto.