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press-reviews iFASTI "Tutorial"

 

bandiera_italia  ROCKIT

Rocco Brancucci (voce), Roberto Bagaini (basso, computer), Federico Bosi (basso, computer), Andrea Granato (chitarra) ed Eros Giuggia (sax, chitarra), ovvero iFasti, tornano sulle scene con “Tutorial”, che in estrema (molto estrema) sintesi si potrebbe definire appunto un “tutorial” su come resistere agli sbandamenti esistenziali dell’umanità.Per il loro genere di riferimento, ovvero uno spoken rock di ampie vedute che trasporta in un’ipnosi musicale oscura, iFasti sono stati spesso accostati a gruppi storici come Offlaga Disco Pax o Massimo Volume e i riferimenti sono sicuramente veritieri benché la musica di questo combo torinese ha ormai già confermato con il precedente album, “Palestre”, una propria personalità che viene evidenziata soprattutto tra le trame sonore e gli arrangiamenti studiatissimi. Inoltre le loro liriche, dal linguaggio quotidiano e impregnato di sarcasmo, li avvicinano anche a certi episodi de Il Teatro degli Orrori per la lucidità e la rabbia con cui mettono in luce i lati più grotteschi della società.Nonostante lo scetticismo di fondo, “L’umanità migliore” secondo i nostri non è ancora completamente distrutta, anzi “è una questione di minuti e ritornerà”. Certo, bisognerebbe riuscire a mettere da parte quel comodo individualismo per cui “io” viene sempre prima di “noi”. “Io è la parola di questi nostri anni, noi è la parola da non usare mai”, cantano in “Ionoi”, sottolineando che siamo tutti bravi a portare avanti “proteste digitali e poi tornare a consumare” e quindi restare sempre nelle stesse condizioni. Per fortuna però c’è l’amore, un valore ancora vivissimo nella nostra società, tanto è vero che tutti ne parlano: in televisione, in chiesa, nelle poesie, nelle canzoni… È strano però – fanno notare iFasti – che le canzoni d’amore usano sempre le stesse parole: “Abbiamo avuto tutti la stessa fidanzata o lo stesso fidanzato con gli stessi occhi? ” cantano in “Lamore”, come se qualcuno dall’alto imponesse anche il contenuto delle canzoni che devono avere successo: “Si parla d’amore e ci si nutre d’odio… Che strano paradosso! ”, conclude il brano. Ma l’“umanità migliore”, come si diceva, esiste ancora e ci sono anche persone come “Pietro”, il quale comincia a sollevare qualche dubbio su quello che gli raccontano i genitori o i maestri e si pone delle domande: se tutto è così giusto “perché muore la gente in mezzo al mare? ”. Una risposta sembra esplodere come una “Bomba” nel brano successivo: “Ci hanno convinti ad avere paura” e “la paura si trasforma in arroganza”. Così i riflettori vanno a cercare la mano invisibile del burattinaio che muove i nostri fili nel brano “Buoni anni”, il più ipnotico del disco, che trasforma il disagio in un bisogno di verità e sincerità: “Parlami d’amore e di cose vere”. Ma “Tpunto4” continua ad infierire: “Vero o presunto, quello che è sicuro è il perenne stato d’emergenza”. Allora è questo quello che “Meritiamo”? La conclusione del disco lascia una porta aperta alla speranza perché, anche se “hai lasciato che ad orientare la tua vita fosse un libretto di istruzioni […] meriti ancora una vita assolutamente pazza e meravigliosa”. iFasti hanno isolato il virus della nostra società tra le distorsioni e i beat elettronici e ce lo mostrano in tutta la sua deforme mostruosità tramite questo “Tutorial” di esperienze e personaggi che indubbiamente vivono intorno a noi. E forse siamo anche noi. Ma c’è un’umanità migliore: “è una questione di minuti e ritornerà”.

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bandiera_italia   BLOW UP

Interessante gruppo torinese al secondo album, con una strumentazione particolare con doppio basso e doppia chitarra, anche se poi è anche l'elettronica che svolge un ruolo decisivo nel sound. Il cantato è una forma di parlato, declamato più nello stile del Ferretti dei CCCP che in quello dei Massimo Volume, e i testi politici / polemici sono sferzanti e incompromissori. La musica segue lo stesso mood, con stilettate elettriche e violente a spezzare atmosfere dal mood scarno e aggressivo, come in una versione rap-electro dei Three Johns. Paiono un pò ostici al primo ascolto, ma meritano al contrario molta attenzione

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bandiera_italia   IMPATTO SONORO

A cinque anni distanza dall’ultimo disco “Palestre” ecco “Tutorial“, nuovo lavoro della band torinese I Fasti. L’album è una sciabolata dritta in faccia, un assalto noise vecchia maniera miscelato con elementi di elettronica che danno a tutto il lavoro un sound attuale, creatura dei ghignanti monologhi del frontman. Un mash up stilistico pienamente post-modernista: il basso, gelido e distorto, è tagliente come una lama, il tono di tutto l’album ti lascia sempre “sul chi va là”, in una perenne tensione mantenuta dai pad che si susseguono in un tutto il disco. Le strofe sono spesso recitate e i ritornelli cantati nello stile ampiamente collaudato di quel noise italiano che ha visto tra i principali esponenti Il Teatro Degli Orrori. Si presenta subito come un album particolarmente rumoroso, roboante, sporco, ben suonato e costruito attorno alla voce del carismatico leader, estrapolando buoni testi con uno stile che esplora bene l’introspezione e la società attraverso toni sarcastici, beffardi e pessimistici. “Tutorial” si apre con L’umanità migliore, in cui si coglie un misto di ironia e critica nei confronti di un certo tipo società “sprecona”, si fa riferimento ad “un’umanità migliore… che poi ritornerà”. Una sorta di riferimento ad un qualcosa di positivo che cambi quello che stiamo vivendo? In Ionoi i suoni si fanno più distesi, soft, strizzano l’occhio a quel tipo di sound un po’ lounge, un po’ sospeso, che corre molto sulle piattaforme. Anche qui appare evidente una critica (a mio parere giustificatissima) alla società attuale. Racconta di un “noi” da non pronunciare, di un amore in riva al mare, di un egocentrismo esasperato, dal dover dare sempre uno spettacolo. Oserei dire apparire anziché essere. Con L’amore si ritorna ad un sound e a un andamento aggressivo in apertura per poi affacciarsi ad un ritornello quasi “dance”. L’amore inteso come argomento comune del Bel Paese. Come un ripetersi di un loop di relazioni che si intrecciano all’infinito: “Si parla d’amore e ci si nutre d’odio”. “Ci hanno convinti ad aver paura, tutti chiusi in casa”: così recita il quinto brano Bomba. Sarà stato profetico? Quello che sta avvenendo in questi giorni in giro per il mondo senza dubbio fa riflettere. Il problema è reale, serio e va affrontato con la massima serietà, rispettando le regole…Buoni anni strizza decisamente l’occhio all’elettronica, devo dire un bel break point all’interno dell’album, destrutturato il mood del disco, una ventata di bassi e suoni avveniristici. Continuando a pompare con TPunto4, gran pezzo, si chiude con Meritiamo: ottimo sound , a tratti dubstep. Odio della frenesia odierna, ci fa riflettere su come siamo diventati consumatori, dediti a vivere leggendo un libretto di istruzioni, dimenticando e rinunciando a sognare cose meravigliose. Si canta lo smarrimento di questi anni, la difficoltà del vivere, la sensazione che tutto sia perduto, la società consumista, la rabbia di fronte allo sfacelo. È un disco ironico, realista, cupo, introspettivo. Il tono è apocalittico, spezzato da salti sonori, il furore mitigato dal sarcasmo.

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bandiera_italia  MUSIC MAP

Se vi manca qualche novità dalla scena torinese, quella che nell’immaginario collettivo è fatta di fabbriche e occupazioni, elettronica resistente, noise e protesta, IFasti vi daranno ossigeno. Nati dalle ceneri dei Seminole, hanno pubblicato un album che, in 8 tracce, riassume molti dei concetti fondamentali del pensiero indipendente, che getta un gelido sguardo sulla nostra condizione umana: “Tutorial”. Un tutorial per vivere, perché come dice il pezzo finale “Meritiamo”, rivolgendosi all’ascoltatore: “Hai lasciato che a inventare la tua vita fosse un libretto d'istruzioni”. Un libretto d’istruzioni che consiste nel celebre monologo di ''Trainspotting'': ''scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera eccetera''. La voce che pronuncia i testi–sentenze non è mai accomodante, scaglia le parole come un arco le frecce, e senza ipocrisie. “Ti parlo con sincerità” è la prima cosa che sentiamo, all’inizio del primo brano “L’umanità migliore”. Queste due tracce, di apertura e chiusura, circondano il disco di aspettative e frustrazioni: “In questa società avrai tutti gli onori, avrai tutti i clamori (...) se apri uno studio privato dalle parcelle molto alte, avrai tutta la droga, soprattutto la coca”. Si termina tra gli scaffali del supermercato, con un inseguimento da parte di una signora suadente, con il solo scopo di avere i tuoi bollini della spesa. Dalle aspirazioni al luogo di culto del consumismo. E nel mezzo, tra chitarre noise, sax ruggente e beat elettronici, ci sono stoccate di riflessioni senza sconti. A partire dalla profonda constatazione di “Ionoi”, che (finalmente qualcuno lo fa) sputa sul dannato story-telling dei nostri giorni: “Per essere moderni, attivi ed attraenti, devi raccontare di storie individuali, ironiche, simpatiche, fresche, malinconiche, soprattutto un po' nevrotiche. Io è la parola di questi nostri anni, noi è la parola da non usare mai. Io è lo spettacolo perenne sempre da mostrare, noi ci aggiriamo strani sperando in un conflitto che non arriva mai”. Recuperare la coscienza di un noi, di una umanità coesa, sembra così anacronistica in un mondo di tutorial “per farcela”. Quanti lupi solitari si sentono gli unici in un mondo di ombre! Che poi le ombre sono altri lupi che si sentono gli unici, in un mondo dove tu fai parte delle sue ombre. Altra osservazione acuta è “Lamore”, sulle canzoni d’amore che, per quanto siano numerose, sembrano accontentare sempre uno standard di donna e di uomo: “Mi viene quasi da pensare che abbiamo avuto tutti la stessa fidanzata, lo stesso fidanzato con gli stessi occhi”. “Pietro” è un altro macigno, stavolta un po’ confuso nel mezzo, ma non nella conclusione: è un bambino che fa domande innocenti (e per questo spietate) a una maestra che cerca di aggirare le risposte, conoscendo la realtà adulta. Ma Pietro insiste a toccare dove fa male: “Perché muore la gente in mezzo al mare?”. Alla domanda a cui nessuno vuole rispondere, si aggiunge una consapevolezza: “Lui sa che ha solo questo tempo, anche tu hai solo questo tempo, tutti noi abbiamo solo questo tempo”. La nostra vita è capitata in questo periodo storico, a cui non possiamo sottrarci, dobbiamo farci i conti. Su un ritmo trip hop sui generis, “Bomba” indaga sul terrore dei nostri giorni: “Tutti chiusi in casa, la mancanza di aria toglie anche la parola. Hai dimenticato i fiori e gli aquiloni (…) La paura si trasforma in arroganza”. Profetica questa frase di chiusura, guardando l’imbarazzante spettacolo a Washington che ha aperto questo 2021. L’argomento diventa più preciso in “Tpunto4”, sul “perenne stato di emergenza” in cui siamo costretti a restare, da molto prima della pandemia in realtà. “Buoni anni” indugia invece sull’interiorità, quella corporale, piena di cibo spazzatura, e sull’inazione: “Per quale scopo non metti in mostra un maggiore dinamismo? Invece scansi le avventure, i piatti dell'ultima cena dentro il lavandino ogni merendina, ogni gelato, ogni bevanda è già stata inventata”. In otto veloci pezzi, questo “Tutorial” dovrebbe dare una scossa non indifferente anche ai più indifferenti.

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bandiera_italia   INDIE PER CUI

Bruciare le tappe esistenziali per lasciare spazio a pugni nell’aria e scuotimenti verticali in grado di coniugare parlato e beat, parlato e rock in un sodalizio alla Massimo Volume che ingloba Il teatro degli orrori e i CSI diffondendo peripezie in evidenti fondamenti viscerali. Peripezie sovradimensionali che schiaffeggiano con potenza incontrollata un’energia diffusa a parlare di questa società sbagliata. Tutorial è un insieme di pezzi da meditazione suburbana capaci di attraversare in modo ruvido e sporco le strade di questa vita incompresa e mai pienamente raccontata. Un album sincero e oltretutto verboso a parlare di sinteticità nascosta e nel contempo capace nel partecipare ad un qualcosa di più grande e in via di definizione. Stupenda L’umanità migliore ad aprire il cammino. Ionoi, Lamore, Bomba, Meritiamo sono altre visioni di un pensiero condiviso. Un mondo capovolto, ma necessario. Un mondo qui raccontato con la poesia che nella metrica del racconto trova il proprio punto di svolta, il proprio angolo di cielo su cui atterrare.

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bandiera_italia   ROCK TARGATO ITALIA

Tutorial dei torinesi I Fasti si presenta come una vetrina ironica e pungente sulle piccole nevrosi di noi esseri umani del ventunesimo secolo. Otto brani in cui elettronica a bassa fedeltà e suoni distorti accompagnano una serie di riflessioni pungenti e di storie al confine fra il cinico e il surreale scandite da uno spoken word dall’incedere cadenzato che spesso esplode in ritornelli diretti come una filastrocca andando a comporre un quadretto intrigante e graffiante capace di mettere a nudo con le giuste dosi di sarcasmo e lucidità dei bei nervi scoperti della nostra società.

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bandiera_italia   NEUTOPIA

La storia dietro iFasti è lunga: nati da una costola dei morenti Seminole, band noise-rock torinese d’attitudine punk, il progetto nasce come spazio di sperimentazione tra spoken word, elettronica e musica suonata: con cinque membri su di un palco, oltre alla voce e all’elettronica, la formazione si completa con chitarra, sax e ben due bassi, ed è in quest’ottica che la loro musica va letta.È musica nata dagli strumenti agiti, dall’atmosfera del live – e nello specifico dei concerti condivisi con altri artisti, in festival e date splittate, una delle radici della componente di metascrittura molto presente nei loro testi – e dalla comunicazione diretta con un pubblico che non è solo con un impianto o gli auricolari, ma è davanti al palco e attorno ad altri. E che, in qualche modo, è in piedi davanti a un impianto e si muove. Tutorial, album uscito a marzo 2020, arriva dopo cinque anni dal precedente Palestre e non aggiunge molto a un discorso già definito e forte come quello de iFasti: una solida struttura musicale che si appoggia sull’elettronica per poter liberare e assieme controllare una palette di suoni strumentali che toccano l’industrial più sperimentale tanto quanto l’indie più pop, il tutto a fornire sostegno e forza ai testi di Rocco Brancucci, alla sua voce stentorea, al suo tono rabbioso e sarcastico con cui consegna con veemenza i testi all’ascoltatore. Un adagio dell’underground ricorda che, in un certo qual modo, la banalità è punk. L’approccio di Brancucci alla spoken word, particolarmente in questo disco ma più estesamente in tutto il suo lavoro nella band, va filtrato anche in quest’ottica: la lucidità con cui approccia temi anche vaghi e scontati come l’amore, la società e i ruoli delle persone è frutto di una disillusione provocatoria che non può non scegliere una scrittura scarna e diretta, al limite della semplificazione o dello slogan, con versi come “Si parla d’amore e ci si nutre d’odio, che strano paradosso”, che se estrapolati dal contesto potrebbero più far pensare a della letteratura-discount alla Fabio Volo che a un progetto di spoken word. Ma è proprio nella prospettiva indicata all’apertura di questo articolo che queste frasi acquisiscono di potenza: la critica alla società, in questo disco, è principalmente critica verso il modo che se stessa ha di raccontarsi, una riappropriazione polemica di questi stessi mezzi per farli risuonare in maniera diversa, in un’ottica in cui proporsi all’ascolto diventa atto politico e performance, pecora nera all’interno della line-up di un evento o di una playlist. Anche per questo, sia nelle strutture musicali che nelle ripartizioni del testo, quest’ultimo lavoro de iFasti presenta molte forme di ibridazione con la forma-canzone più standard, seguendo una via sempre più chiara risalendo lungo la loro discografia: la presenza di ritornelli e cori, di riff e loop facilmente riconoscibili, un approccio alla scrittura che, per quanto narrativo, rispetta una divisione in versi e stanze dalla metrica chiara, tutto ciò viene proposto perché renda l’assimilazione dei concetti più diretta e semplice. Se spesso nei progetti spoken word ci si può immaginare l’ascoltatore fermo nella decodifica del messaggio, immerso in un soundscape in cui la pulsazione ritmica, se c’è, è strumentale alla narrazione e subordinata a essa, al contrario, in un disco come Tutorial, i ritmi incalzanti della società e della sua narrazione sono riproposti con l’intento di far muovere il corpo dell’ascoltatore, in qualche modo di farlo reagire ad essi – rubando spazio di complessità ai testi, forse – ma proponendo un approccio altro e non per questo meno valevole. In un disco come Tutorial, che già dal titolo si propone come chiave di lettura della realtà, è proprio questo approccio critico che diventa protagonista dei brani, più delle storie stesse che, per temi o immagini, potrebbero apparire semplici e scontate. L’operazione è di sottrazione: togliere tutto, fino al banale, per toccare quello che banale non è.

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bandiera_italia   TREMILA BATTUTE

iFasti sono una band torinese in giro da molti anni, e con alle spalle progetti fra i più disparati. Hanno realizzato tre album e due Ep di cui uno, Morula, registrato in una sola notte e contenente tre canzoni, quattro racconti e molte immagini. Hanno sonorizzato due libri, promosso una compilation, Un disco grezzo, un disco che ci impegna, nata con l’intento di prendere posizione su temi sociali come l’uso di psicofarmaci sui bambini e la discriminazione subita dagli immigrati (in tempi non sospetti, era il 2009). Dal vivo alternano live elettrici ad altri più sperimentali, da sonorizzazioni di libri e film a reading. Io tutto questo me lo sono perso, perché iFasti li conosco solo da poco più di una settimana grazie all’ascolto continuo dell’ultimo album Tutorial. Mi sono avvicinato a questo disco leggendo una recensione su Impatto sonoro, incuriosito dal paragone con Il teatro degli orrori. La voce di Rocco Brancucci in effetti ha molte affinità con quella di Pierpaolo Capovilla, così come i testi, ma la musica qui è più affine, se vogliamo continuare a fare esempi, a degli Offlaga Disco Pax con più ritmo nelle vene. Fare nomi di altri non vuole essere sminuente, perché per fortuna iFasti hanno una loro personalità ben definita. In Tutorial viene indagata la nostra realtà quotidiana, in maniera addirittura profetica visto che nel singolo Bomba Rocco dice “ci hanno convinti ad aver paura, tutti chiusi in casa”. Viene analizzato il nostro modo di comunicare, dall’individualismo imperante persino nel modo di raccontare le storie (Ionoi) a quello che rende banale e simile ogni canzone d’amore (Lamore), un “linguaggio che diventa sempre più americano” come dicono in Buoni anni. Finisce sotto esame il nostro modo di isolarci, ignorando ciò che ci accade intorno per un falso senso di sicurezza che rende amorfa la nostra vita (“Mentre beato fischiettavi contento/ scegliendo e baciando la tua latitanza dall’impegno/ non ti sei neanche accorto del numero chiuso nelle scuole/ del numero chiuso nelle feste/ ogni cosa è chiusa/ e ogni casa è chiusa”, Tpunto4), dove al massimo possiamo fantasticare sulla donna che ci mette gli occhi addosso al supermercato solo per scoprire che puntava ai nostri bollini della spesa (Meritiamo). È quasi paradossale che in tanta amarezza, velata comunque di un’ironia che ci ammanta sempre, il messaggio iniziale sia che per L’umanità migliore “è una questione di minuti e poi ritornerà”, ma in fondo il discorso è circolare: le ultime parole dell’album, dedicate a “un avveduto consumatore”, gli ricordano che merita ancora una vita “assolutamente pazza e meravigliosa”. Tanta mole di contenuto viene veicolata musicalmente in modi diversi ma complementari. L’armamentario tecnico della band (due bassi, due computer, una chitarra e un sax) porta ad un approccio elettronico in brani come Tpunto4, dove si flirta con la house, e in Buoni anni e Pietro, dove invece i toni sono più minimali e cupi (ed è un peccato che in quest’ultima lo sfogo distorsivo tanto atteso non giunga mai). Bomba è il brano più “indie” e debole del lotto, arpeggio continuo in sottofondo ed esplosione contenuta nel finale a cui il sax riesce a donare un’anima più profonda. La palma di brano migliore va sicuramente a Lamore: sbarazzina senza essere stupida, la canzone ha un ribaltone a metà brano che ci proietta in un’atmosfera da discoteca ma con qualcosa di malinconico nella melodia, perfetta espressione sonora del concetto “si parla d’amore e ci si nutre d’odio, che strano paradosso” che Rocco continua a recitare come un mantra. In generale c’è un equilibrio fra gli elementi che si apprezza sempre più col procedere degli ascolti, dato che la prima cosa che spicca è la voce: dategli tempo e fiducia insomma, non ve ne pentirete.

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bandiera_italia   MUSIC MAG

A distanza di cinque anni dal loro precedente album ritornano sulla scena musicale IFASTI con “Tutorial”, otto tracce con un imprinting decisamente elettronico. Bassi, computer, chitarre elettriche ed una voce ci accompagnano in un viaggio psichedelico con testi non sempre chiarissimi ma da un beat così incalzante che ti concentri su quello mettendo quasi da parte le parole. Parole sarcastiche che dipingono scene di vita quotidiana. Si parla d’amore e ci si nutre d’odio, che strano paradosso” per citare una delle frasi chiave di questo album. Sì perché sono proprio delle frasi, delle “bombe” che loro lanciano a restarti impresse e a rendere questo disco assolutamente riconoscibile e dargli identità. Ed ecco che in “L’umanità migliore” si parla con sincerità “ogni volta che hai messi in atto un’azione solidale, il sospetto si è infiltrato…”, come a sottolineare che non sempre si prende per disinteressato un gesto, un’azione. In “Ionoi” il cui focus è un invito a non criticare l’utilizzo di cose materiali come ad esempio i social, se poi non riusciamo a farne a meno in primis noi. Il ritmo qui è meno incalzante rispetto alla prima traccia. L’amore” è il brano con riff – tormentone “abbiamo avuto tutti lo stesso fidanzato, la stessa fidanzata con gli stessi occhi..”. Sicuramente tra i brani che ha una certa vena ironica anche. L’ironia lascia spazio a temi seri con “Pietro”: un bambino che si pone domande importanti sul perché accadono determinate cose senza avere risposta alcuna. Si procede con “Bomba”, capitalismo e quotidianità di una famiglia comune. Anche in questa canzone c’è un ritmo meno incalzante come la precedente “IONOI”. “Buoni anni” segue la scia di Bomba nella sua richiesta di sincerità. Noia e paura è invece l’elemento cardine di “TPunto4” che ci sorprende con un piacevolissimo sax. L’album si chiude con “Meritiamo” che vale un ascolto per l’ironia con cui si fa riferimento alle situazioni più “normali” come il chiedere i bollini della spesa. Ma meritiamo “una vita ancora una vita assolutamente pazza e meravigliosa”. È molto particolare questo lavoro de IFASTI, un album che vi invito ad ascoltare e che vi ritroverete a canticchiare senza rendervene conto. Potere della musica.

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bandiera_italia  ROCK GARAGE

Ho sempre amato la provincia in tutte le sue forme, soprattutto nella sua vita notturna quando la poca luce sa come alterarle quelle forme. Ho sempre pensato che l’energia arrivi sempre dai sobborghi e dalle periferie ed oggi che, almeno in letteratura e tra i ben pensanti, si fa un ritorno alle origini, suona sempre bene al mio cuore un disco che alla periferia (o provincia, ma non è questo il caso) deve molto. Tutorial è il nuovo lavoro dei reazionari sociali iFasti, emancipati fino al punto di concepire con equilibrio l’incontro tra un suono digitale dalle trame acide e psichedeliche, e una voce analogica di resistenza sociale, quasi da centro sociale, quasi da “Consorzio Indipendente”. E se i rimandi al CSI o CCCP (fedelmente legati alla linea originale) o – quando i suoni si fanno più strutturati e gutturali – ai più semplici TdO, è anche vero che il post-punk digitale degli iFasti sinceramente non ha troppi debiti da pagare a spasso per il mondo…certamente non hanno scoperto nuove frontiere ma sinceramente nessuno voleva aspettarsi questo e nessuno è stato illuso da false promesse. Che poi questa musica, libera, istintiva, priva di cliché e forme ruffiane, ha finalmente l’unico scopo di parlare al suo pubblico e la voce saggia di Rocco Brancucci sa benissimo come fare.Tutorial è una distesa acida e monotona di sequenza digitali, di chitarre punk, di una melma di magma che vuole fondere le infrastrutture del perbenismo e, per edulcorare un trancio di lirica tratta da Pietro, probabilmente a forza di spinte ci lascino passare, forse a forza di spinte ci ascolteranno, qualcuno si sveglierà, qualcuno la smetterò di fare affari in centro. Non ascolto Tutorial per cercare la melodie (che tra l’altro raramente fanno capolino dentro queste scritture), ascolto Tutorial per cercare aria buona di libertà, di espressione, di verità. Abbiamo bisogno di dischi come questo dove la parola torna ad avere un ruolo sociale e, per niente paghi di questo, i nostri torinesi (di periferia, li voglio collocare io), hanno buon gusto nelle soluzioni di arrangiamento, tra amplificatori e programmazioni. Tra l’altro nel video di Lamore ho intravisto una bellissima Vocal Bass della Korg che mi rimanda a periodi di indefessa proliferazione avanguardista. E non lo potevo dire in altro modo se non con queste parole. In questo momento storico in cui siamo tutti rimbecilliti da un pop farlocco, in cui osanniamo burattini fatti diventare televisivi per comodità, in cui siamo vittime di una mercificazione che ha intaccato anche la libertà dei social network, in un periodo in cui siamo tutti schiavi della bellezza, dischi come questo servono perché, sfamando la bellezza notturna di una periferia dal futuro post-apocalittico, si innaffia anche la coscienza civica, magari passando dalle orecchie con testi diretti, semplice e per niente obesi di chissà quale ricerca poetica. Ecco, forse avrei preferito un impegno maggiore sotto questo punto di vista e non perché sento la mancanza di allegorie o di chissà cosa, ma perché forse la parola poteva essere ancora più ficcante, pungente, demolente. Altro punto dolente per me? Lo stilema del mix di voce è sì fin troppo in linea con quella di Capovilla, magari ecco, anche in questa direzione avrei cercato una maggiore personalità. Ma in fondo siamo tutti figli di qualcuno e ben vengano famiglie simili. Potevamo esser figli di Elettra Lamborghini che, tette e milioni a parte (e rispetto che sempre si deve alle persone), denota quanto basso sia divenuto il livello della musica ufficialmente riconosciuta tale. Dunque ascolto Tutorial e non venitemi a fare paranoie sulla storia della musica pop. Credo che un disco come Tutorial rappresenti un alto significato di musica pop.

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bandiera_italia  TRAKS

Suoni cupi, molto elettrici e ambigui quelli de L’umanità migliore, che introduce alla recitazione acida e amara, che sarà il fil rouge del disco, impegnato a mostrare contromodelli di vita possibili. “Io è la parola di questi nostri anni/noi è la parola da non usare mai”: punta dritto sull’egocentrismo dei nostri tempi Ionoi, che descrive nel dettaglio le qualità che servono per emergere nel marasma mediatico, con chitarre che incalzano alle spalle. “Noi/ci aggiriamo strani/sperando in un conflitto/che non arriva mai”. Poteva mancare un’analisi de Lamore? Oggettivamente no, ma qui si va oltre: condita da clap, schitarrate e qualche tendenza electro (qui e là sembra la sonorizzazione di una canzone di Vasco) questa è una disanima di come si legge, si scrive e si canta dell’amore. Cioè tutti nello stesso modo, come se ci fosse una via unica al sentimento. Pietro è immersa in atmosfere molto più dure e crude, parla di squali e di lupi, ma soprattutto di arrivismo e anche immigrazione. Ci sono anche i fiati in Bomba, che parla di gente chiusa in casa (ma dai) ma più che altro per cause nucleari. Il problema fondamentale comunque qui è la comunicazione, intesa in svariati sensi e comunque sempre con isteria. C’è una forte malinconia che nasce da Buoni anni, più soffusa dei brani precedenti ma non per questo meno tagliente e capace di ferire. “Ogni cose è chiusa/ogni casa è chiusa”: Tpunto4 si veste di rabbia, per descrivere una società che si arriccia su se stessa, poco prima del disastro.C’è un problema di bollini della spesa all’interno di Meritiamo, che tratta del consumismo entrando in tunnel electro. Difficile non vedere il filo diretto che parte da Capovilla, Massimo Volume e compagnia e arriva a I Fasti, ma è giusto sottolinearlo non soltanto perché ci si ritrova il recitato, ma soprattutto per la cura e la crudezza di testi e pensieri. Dal punto di vista musicale, la band fa un notevole lavoro per assorbire e restituire input, elettrici, elettronici, contemporanei e per lo più rabbiosi, adatti a un’epoca disconnessa o troppo connessa.

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bandiera_italia   MUSIC.IT

Parole come proiettili che arrivano dritti allo stomaco; una realtà dal volto coperto che nasconde mostruose verità. A cinque anni di distanza dall’ultimo disco “Palestre” esce “Tutorial”, il nuovo album del gruppo iFasti. Una cosciente presa di distanza, effetto straniamento: questo sembra essere l’obiettivo della band torinese. Un rock che trasporta in un’ipnosi musicale oscura, si vola col pensiero, si viaggia con la mente, per rimanere con i piedi ben saldi sulla terra. Trame sonore e minuziosi arrangiamenti dal linguaggio quotidiano; con velato sarcasmo, lucidità e rabbia la band mette in luce i lati più grotteschi del mondo di oggi. Ipnotiche distorsioni e grintosi beat elettronici: esiste veramente un’umanità migliore? Secondo gli iFasti non è ancora completamente distrutta, anzi «è una questione di minuti e ritornerà», come cantano nel brano che apre l’album “L’umanità migliore”. In una vita in cui è vietato parlare, la band con parole scomode, irriverenti, pone attenzione ai paradossi ricorrenti nella società. Forse, un’umanità migliore veramente esiste ed è negli occhi di un bambino come “Pietro” il quale comincia a sollevare qualche dubbio su quello che gli raccontano i genitori o i maestri e si pone delle domande: se tutto è così giusto «perché muore la gente in mezzo al mare?». Gli iFasti sono una sostanziosa band formata da Rocco Brancucci (voce), Roberto Bagaini (basso, computer), Federico Bosi (basso, computer), Andrea Granato (chitarra) ed Eros Giuggia (sax, chitarra). Con “Tutorial” squarciano il velo e fanno vedere il mondo da un loro punto di vista: uno spaccato di umanità, dalla quale è sempre più difficile salvarsi. «Si parla d’amore e ci si nutre d’odio, che strano paradosso». L’amore, ancora una volta, sembra essere l’unica salvezza nella nostra società; ed è proprio per questo che tutti ne parlano e che nelle canzoni è sempre presente. Ironizzando, infatti, gli iFasti cantano «Abbiamo avuto tutti la stessa fidanzata o lo stesso fidanzato con gli stessi occhi?» nel brano “Lamore”. Il perenne stato di emergenza viene messo in risalto nel brano “Tpunto4”: «Ogni cosa è chiusa ed ogni casa è chiusa», dove all’elettronica si fonde un inebriante e viscerale sax. Tutto è già stato inventato e noi tutti abbiamo solo questo tempo che spendiamo tra noia e dolore tra guerre e paure. «Ci hanno convinti ad aver paura» e «la paura si trasforma in arroganza», gli iFasti accendono i riflettori su una realtà difficile da accettare ed impossibile da vedere; con “Tutorial” fanno esplodere come una “Bomba” il disagio e gridano il bisogno di verità e sincerità: «Parlami d’amore e di cose vere». L’album si chiude con un sottile spiraglio di luce: tutto quello che stiamo vivendo è veramente ciò che ci “Meritiamo”? Non per forza, non ancora, perché «meriti ancora una vita assolutamente pazza e meravigliosa». Nello stordimento di una vita senza senso, “Tutorial” è un modo per resistere agli sbandamenti esistenziali dell’umanità.

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bandiera_italia   TO CRASH 

Anticipato dal singolo Pietro il prossimo 13 marzo uscirà TUTORIAL, il nuovo album della band torinese i Fasti che ritorna dopo 5 anni dal suo ultimo album PALESTRE. Tutorial riconferma la caratteristica carica incisiva e diretta de i Fasti ed il loro alienante timbro post-rock elettronico pur lasciando spazio anche a toni e sound un po’ più aperti e distesi in tracce come IONOI e L’AMORE. Tutti i brani dell’album differiscono fra di loro in quanto a struttura ed evoluzione strumentale ma il fil rouge che li lega tutti è il volerci spingere a guardare oltre l’illusione e le consuete futilità messe paradossalmente in primo piano. Tutorial può essere una sorta di specchio del mondo moderno che mette in musica tante piccole-grandi verità senza giri di parole accomodanti e in questo ci riesce soprattutto grazie a quel parlato non cantato e pacatamente urlato che assieme alla tensione della musicalità contribuisce a conferire ancora più impatto alle parole, lasciando la sensazione di essere in una bolla surreale del cantautorato sperimentale. Non potrà non scapparvi un amaro sorriso mentre ascolterete la parte iniziale di MERITIAMO, la traccia finale del disco che chiude lanciando una diretta esortazione alla presa di coscienza individuale e collettiva. Senz’altro è un disco interessante da ascoltare con curiosa attenzione e sempre estremamente attuale (vedi l’esplosiva BOMBA “La paura si trasforma in arroganza / ci hanno convinti ad aver paura / tutti chiusi in casa”). Esiste un TUTORIAL che ci aiuti ad essere felici? Chi può dirlo, magari ascoltando le parole de i Fasti può sorgere un dubbio anche a voi, proprio come è sorto a Pietro…

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bandiera_italia  FOTOGRAFIE ROCK

Il disco esce a cinque anni di distanza dal precedente Palestre, ma la band è tutt’altro che arrugginita, come dimostra la opener L’Umanità Migliore, traccia dalle sfumature industrial che lascia nell’ascoltatore una patina di introspezione e riflessione, al pari della successiva Ionoi, che tuttavia si contraddistingue dalla precedente per le atmosfere speranzose, che vanno a creare un piacevole bilanciamento con le altrettanto impegnate lyric e un beat che difficilmente stancherà le orecchie di chi ascolta. Su Lamore, invece, la band torna a spingere, presentandoci una traccia potente e godibile al tempo stesso, forse per il maggior spazio lasciato al reparto di chitarre, che proseguono sulla vena di serenità lasciata dal brano precedente con riff freschi ma mai banali. L’unico neo di questa meravigliosa traccia è forse il beat, che non rende la giusta dinamica a un pezzo che su quest’ultima meriterebbe un’attenzione decisamente maggiore. Con Pietro la band torna su suoni cupi e quasi claustrofobici, ma senza perdere di vista i fil rouge dei precedenti lavori, risultando un piacevole episodio che porta una ventata d’aria fresca all’interno della tracklist; quarta posizione azzeccata senza ombra di dubbio. Le chitarre tornano poi a fare da protagoniste su Bomba, con un’intersezione di riff proiettati in una realtà più che mai riflessiva che elevano questo brano a uno degli episodi migliori di questo LP. Menzione d’onore merita il solo di sax, che impreziosisce ulteriormente un lavoro che già non aveva bisogno di altri spunti per essere considerato un centro pieno messo a segno dalla band torinese. Buoni Anni vede invece tornare alla ribalta le sonorità più elettroniche, quasi a fungere da breve pausa riflessiva per prepararci all’epilogo affidato a Tpunto4 e Meritiamo, due brani che sintetizzano al massimo le influenze elettroniche del gruppo, unite ad un egregio lavoro chitarristico, con i quali i IFasti mostrano tutta la loro esperienza e tutto il loro potenziale. Ma quindi, possiamo dire che la band è riuscita nell’intento di dare alla luce un capolavoro? La risposta appare difficile, ma ciò che il gruppo potrebbe adottare è senz’altro un approccio meno impegnato ai testi, che a volte si riducono ad essere niente di più che un semplice esercizio di stile, mentre sul lato meramente strumentale difficilmente si troveranno punti deboli: la band ha gusto ed esperienza, tutte le carte in regola per poter uscire dall’underground e puntare più in alto. 

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bandiera_italia   RISERVA INDIE

"Tutorial" è pervaso dalla cupa realtà distopica dei nostri tempi, con sonorità e testi che ricordano a tratti Disciplinatha, Teatro degli Orrori e Offlaga Disco Pax.

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

http://www.kingsuffygenerator.com
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