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press-review "The magical tree & the land of plenty" KIPPLE


ROCKERILLA

Sublimi sensazioni già provate in passato ci rapiscono all'ascolto di questo debutto prodotto dai Kipple, misteriosa entità triangolare nostrana. Un suono lento, compassato,... inquietante, permea le sue otto magnifiche tracce, declinate secondo idiomi alieni oscillanti tra shoegaze, post rock e dream pop. "Baby kisser baby killer" e "Fisting (hornes for heroes)", la diade iniziale, proietta l'ascoltatore in un universo ovattato, ove alla fascinazione futuristica viene unita un'algida visione vintage grazie agli spettrali tocchi di piano. E' un pò come riprovare la meraviglia provata, in passato, durante il primo approccio con la musica dei Sigur Ros : rapimento, stupore, melanconia, sensazione di viaggio mentale. E' un vagabondare psichedelico che, pur rimandando in modo inequivocabile alla magia della band islandese, fa sovvenire alla mente pure le morte stagioni di Verve e Slowdive, con le loro inestimabili gemme ambientali incastonate nel biennio 1991/92. I quasi sette minuti di "Ex boyfriend", che cresce progressivamente grazie ad una elementare operazione di reiterazione, rappresentano il primo climax dell'album : la coda finale coincide con il deliquio dell'anticlimax. "Before heroine", inaugurata da un giro di basso avvillupata ad un sound sintetico e polimeccanico, rappresenta un altro pezzo monstre, da brividi. "The magical tree ..." è uno dei debutti più sorprendenti del 2010.

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ROCKIT

Sensazioni da maltempo infinito, ampiamente predominanti e accompagnate da una sottile presa di coscienza, di quelle che non cambiano la giornata ma ti fanno abbandonare la testa sulla spalla per più di un attimo. Navigare in pieno shoegaze di ovatta, miele ed elettronica pizzicata e oscura, materia nobile e abilmente declinata dai Kipple, nome che omaggia Philip K. Dick e le sue pecore elettriche, nome che definisce sostanze inutili che si moltiplicano mentre si producono deliziose riflessioni di dreampop raffinato e di taglio perfetto, un abbraccio nella neve tra i fiocchi che cadono ancora, lentamente, freddi ma capaci di creare l'ambiente giusto. La meraviglia evocativa di "Ex boyfriend" riempie in breve l'intero panorama di immagini perdute nell'inverno, di stille morbide tra gli effetti di luce, passeggiate notturne sulle nuvole di "On cloud nine", sulle nuvole dove qualcosa è scivolato via, dove "Before heroine" diventa tensione meccanica, dove tutto rimane sospeso perché è ossigeno e pioggia pronta a cadere e talco striato di grigio, senza peso, circolare e sparso come polvere, splendore dolce che si fa spinoso. Tra la migliore inclinazione del sole e il sonno che non arriva mai, tra la morbida visione del mondo dei Cocteau Twins e la malinconica consapevolezza dei Magpie, "The magical tree & the land of plenty" è un risultato prezioso, un sogno soffice e al contempo senza tregua, capace di trasportare chi ascolta nella neve tra i fiocchi di uno scintillante infinito inverno.

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STORIA DELLA MUSICA

Vi è un sottile strato di condensa che ricopre lievemente le otto composizioni del disco d’esordio dei Kipple, band Bolognese dedita agli intrecci armonici del post-rock ed elettronica più rarefatta ed impalpabile. Partendo da una matrice post rock a dilatazione lenta (i Goodspeedyou! Black Emperor si nascondono dietro l’angolo delle fitte trame in riverbero), i tre componenti del gruppo mescolano, con originalità e sapienza ancora da affinare bene nei particolari, il pop denso e stratificato dei Cocteau Twins con l’elettronica lieve ed immaginifica. Il percorso rarefatto di The Magical Tree And The Land Of Plenty si snoda fra i sentieri sfumati dell’inconscio di Baby Kisser Baby Killer, Ex Boyfriend, ed il pop soave di Brandon, plasmando materia informe composta da riverberi trascinanti e voci effettate che sembrano provenire da una dimensione parallela della mente. Spore invisibili che attaccano e cullano i sensi in un caldo abbraccio di shoegaze oscuro e tormentato, dalle inattese aperture pop ellittiche, che viaggiano circolari in un moto uniformemente rallentato di malinconia struggente (il piano sognante di On Cloud Nine). Otto tracce dilatate ed avvolgenti, che segnano le coordinate di un sogno sfocato dai contorni indefiniti, ma di cui si possono distinguere chiaramente i colori e le molteplici sfumature che, con il tempo e l’esperienza, potrebbero diventare magnifici dipinti dai tratti ben definiti e caratteristici. Teniamoli d’occhio, magari accendendo i fari antinebbia.

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ROCKAMBULA

Una mattina di metà Ottobre nebbia e pioggia giocano dolcemente con la soffusa luce che invano cerca di uscire, sensazione di chiuso, atmosfere talmente belle da legare perfettamente con il primo lavoro dei Kipple "The Magical tree and the land of plenty". Certo perché in Italia esistono gruppi shoegaze di elevata qualità, i Kipple aprono portali per un mondo immaginario, il surrealismo in maniera spontanea prende forma. Intensi e viscerali come l'autunno, molto rossi, qualcosa lentamente sta cambiando in meglio, la cupezza elettronica dei pezzi inizia a piacermi parecchio, una tela schiaffeggiata con amore. Le immagini iniziano a girare nella testa senza tregua, un disco che proietta immagini a ripetizione, la cura impeccabile del suono materializza oggetti indefiniti e spiaccica l'ascoltatore contro una parete, lo scenario non è mai lo stesso. Un'altra preziosa scoperta de I Dischi del Minollo, una label capace di scovare roba interessante a dispetto dell'indigesta musica che troppo ci circonda. "The Magical tree and the land of plenty" è un disco particolarmente bello che consacra i Kipple come una realtà da guardare con occhi diversi, un album troppo significativo per scivolare senza graffio.

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GOOD TIMES BAD TIMES


Kipple. Siciliani, poi padovani. Ora bolognesi, per attirare più attenzione, come del resto dovrebbero fare tutti (Milano e Bologna capitali italiane della musica senza ombra di dubbio). E' Ottobre ed esce questo "The Magical Tree And The Land of Plenty", un disco del quale non si riesce a dire niente prima di ascoltarlo. Il suo nome non ha nulla a che vedere con i titoli dell canzoni, che seguono tutte piste differenti, nonostante uno scrosciare lontano di rivoli di provocazione, quando si parla di un "baby killer", di "fisting" o di eroina. Ma, direbbero certi, anche questo è rock. Ma quanto i titoli abbiano a che fare con la musica resta in dubbio, e una full immersion lo conferma. Il disco è curato in ogni suo aspetto. Ascoltandolo si può percepire in ogni secondo l'estrema attenzione riposta dalla band nel mettere apposto ogni dettaglio, limando e smussando le imperfezioni, strutturando il tutto nel modo migliore. Un lavoro di assemblaggio che è perfettamente riuscito.  Si dice la band sia influenzata, per il nome, da Philip K. Dick, scrittore chicaghese che già è penetrato nel mondo della musica fungendo da terreno fertile per un album dei Sonic Youth. Che in qualche punto assomigliano anche ai Kipple. Quello che ascoltiamo qui in realtà è un miscuglio più compatto, dove le diverse componenti sono separate da sottilissime linee che intravediamo appena, e questo grazie a una capacità incredibile di composizione dimostrata dalla band. Non serve nessun track-by-track per analizzare l'album, brani come "Ex Boyfriend", "Before Heroine" e "On Cloud Nine", diventano presto un tutt'uno al resto dell'album, per quell'immensa abilità della formazione "ora emiliana" di incastrare ogni tassello perfettamente. C'è shoegaze, noise popolato di strutturalismi post-rock, elettronica, alternative, il bisogno continuo di coinvolgere nuovi elementi che creino contesti totalmente inediti per l'ascoltatore, che in un momento sta passeggiando tra flebili gridolini che arrivano dall'orizzonte, in un ambiente gelido, siberiano, nel momento successivo si trova in un forno, a cuocere a temperature altissime nonostante si trovi nel bel mezzo di un'era glaciale. O in una centrale nucleare appena esplosa. Sensazioni che possono variare in base a chi sta subendo la loro musica ma che proprio per le loro molteplici chiavi di interpretazione rivelano la piacevolezza e la buona riuscita di un disco "strano" ma mai pesante come questo, dove ogni secondo può essere una sorpresa e tutto quello che è stato già ascoltato diventa parte integrante di un percorso che terminerà solo dopo trentotto minuti buoni.  La produzione non sarà certo delle migliori, a livello di suoni e mixaggio, però il concetto arriva dritto come una stilettata in pieno volto. Questa è come una colonna sonora di un film che decidiamo noi, lasciando lavorare l'immaginazione. Le strutture dei brani, mai prevedibili, ci aiutano perfettamente in questo e il risultato finale è, semplicemente, l'obbligo ineluttabile di considerare questa gemma uno dei dischi dell'anno. Con due mesi d'anticipo, come dire, un regalo che non si fa a tutti. Consigliatissimo.

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ROCKLINE

The Magical Tree And The Land Of Plenty rappresenta l’esordio discografico del progetto Kipple, terzetto carico di ispirazione Shoegaze, che ha trovato nella città di Bologna la culla della propria attività artistica. Originario della Sicilia ma formatosi a Padova nel 2008, il gruppo fonda il proprio sound sulla destrutturazione dei brani proposti, poiché in un’opera di studio come The Magical Tree And The Land Of Plenty regnano il cromatismo limpido e l’atmosfera suadente tipici dei lavori più sperimentali. Profondamente plasmati nel timbro sia dalla tradizione Shoegaze/Post-Rock degli anni Novanta, sia dalle realtà contemporanee più delicate (Sigur Ròs e tinte di elettronica nordica), i Kipple non rinunciano a conferire però un tratto malinconico alle proprie composizioni, trasmettendo un’aura di perdita e di decadenza all’intero album: a testimonianza di questo lato cupo non intervengono solo i chiaroscuri strumentali tessuti dalla band, ma anche la scelta di titoli intrisi di amarezza e l’inserimento della inusuale dedica “Kipple wish to collectively thank the following broken and unbroken hearts…”. Contemporaneamente la fotografia violacea ritratta in copertina sembra condurre in una dimensione spettrale, dove si perde la sensibilità della classica struttura di canzone, per dare spazio a intensi dialoghi tra etereo e cacofonico. Sarebbe riduttivo soffermarsi ad analizzare le singole tracce di un prodotto discografico che deve essere ascoltato nella sua interezza, perché quella dei Kipple viene mostrata come una musica d’atmosfera, perfetto sottofondo per un intervallo meditativo. Ad emergere dall’architettura sonora costruita sono gli aloni elettronici degli effetti e le melodie dimenticate delle chitarre, arricchiti dal ruolo fondamentale ricoperto dalle sezioni vocali: i toni cristallini avanzati dai Kipple si perdono nello spazio e nel tempo, contribuendo alla discreta riuscita di un full-length abbastanza estraneo alla scuola indipendente italiana. Di certo non mancano i momenti di più difficile ascolto, derivati dalla monotonia che circonda alcuni episodi e che non permette loro di elevarsi ad una qualità superiore; è tuttavia dai punti di forza esplicati con The Magical Tree And The Land Of Plenty che i Kipple dovranno ripartire, simboleggiati dall’estrema cura prestata alla resa sonora e dal concetto avanguardistico di canzone. Un plauso va dunque non solo ai Kipple, ma anche all’etichetta I Dischi Del Minollo, che da anni riesce a scoprire formazioni di ottimo calibro del panorama underground italiano più sperimentale; ci si auspica pertanto che la band padovana possa riconfermarsi in futuro con capitoli di studio sempre più convincenti e interessanti, che portino il sound della Penisola a esplorare lidi ancora poco solcati dalle altre realtà nazionali, a cavallo tra Shoegaze e una sensibilità comune a pochi progetti attuali.

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SALAD DAYS MAGAZINE

E’ facile affermare che i Kipple non sembrano un combo italiano (originari della Sicilia, si sono trasferiti prima a Padova e poi a Bologna), quanto piuttosto nordeuropeo. Il loro mood post-rock/shoegaze è di palese matrice nordica, dilatato all’inverosimile e meditativo, illuminato dall’elettronica catarifrangente in un’elegante tunica sintetica. Lo spunto fantascientifico di Philip K. Dick sottolinea il carattere sperimentale del progetto, che oscilla, la maggior parte dei momenti, tra dream-pop e ambient, indeciso sulla direzione precisa da intraprendere. Di idee ce ne sono, e anche molte, in questo esordio, e se non fosse per la messa in scena fin troppo monocorde, si potrebbe parlare di vera e propria sorpresa della scena nostrana. Certo, non è banale ascoltare l’intero disco tutto d’un fiato, soprattutto se non si è appassionati delle atmosfere rarefatte, e forse non si riescono neanche a cogliere tutte le sfumature che il terzetto tricolore dissemina nelle otto tracce dell’album, se non attraverso ripetuti ascolti. Quello che colpisce, e che deve aver colpito anche i lungimiranti amici de I Dischi Del Minollo, sono le indubbie doti di scrittura che nel futuro possono essere sfruttate ancora di più.

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STEREO INVADERS

Il Kipple non è altro che un soggetto di un lavoro di Philip K. Dick, scrittore di racconti di fantascienza. In tal senso allora vogliamo sviluppare una storia, che parte proprio dai suoni eterei e sognanti del Project in analisi. Tecnicamente, lo definiamo Shoegaze, per descriverlo invece, dobbiamo per forza viaggiare un po’ con il cuore e la mente. Tutto fluisce dolcemente, amore che si mescola a malinconia, sentimento che si rinnova in continuazione. La metafora che leggiamo nelle affermazioni di Philip K. Dick, e che i Kipple a nostro modesto parere riprendono, è la capacità di cogliere da cose semplici e scontate qualcosa di speciale e prezioso. Figura retorica questa che riprendiamo anche con il sentimento e il gesto quotidiano, e che fluisce via, ingiustamente a volte, senza porre la giusta attenzione. “The Magical Tree And The Land Of Plenty” è un lavoro così delicato da necessitare molti e ripetuti ascolti,per poterne cogliere la più intima essenza. Disco per nulla scontato, soprattutto quando le chitarre (decisamente Pink Floydiane) volteggiano su se stesse con echi fatti di elettronica ed Ambient. Full-lenght per appassionati del genere, e per chi, anche se neofita dello Shoegaze, vuole viaggiare con l’anima e la mente.

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THE BREAKFAST JUMPERS

Band di origini siciliane che si forma a Padova e che attualmente ha scelto Bologna come sfondo del proprio percorso artistico. “The Magical Tree and the Land of Plenty” è il primo lavoro dei Kipple e ci si sente proprio cullati, sotto quest'albero magico, grazie ad otto tracce dilatate ed avvolgenti, che segnano le coordinate di un sogno sfocato dai contorni indefiniti, ma di cui si possono distinguere chiaramente i colori e le molteplici sfumature. Le influenze oscillano tra shoegaze, post-rock, noise ed elettronica nordica in un disco estremamente curato in ogni dettaglio. Per usare le parole di Margherita di Fiore: "tra la morbida visione del mondo dei Cocteau Twins e la malinconica consapevolezza dei Magpie, quest'album è un risultato prezioso, un sogno soffice e al contempo senza tregua, capace di trasportare chi ascolta nella neve tra i fiocchi di uno scintillante infinito inverno"; a dispetto dei titoli dei brani, che sembrerebbero invece riportarci ad atmosfere più rock. Iniziate subito il vostro viaggio.

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ROCK IMPRESSION

Dalla Sicilia al Veneto a Bologna, c’è un percorso musicale intenso dietro al progetto Kipple, che giunge al debutto discografico su etichetta Dischi del Minollo, una label che si è dimostrata abile nel scovare e sostenere progetti musicali di valore. Di certo anche questa volta il nome proposto non è di quelli che passano inosservati.
Questo album colpisce fin dal primo ascolto per i suoni morbidi, melliflui, stranianti, dilatati che si respirano, un mix di shoegaze, noise ed elettronica, con un attitudine post rock che domina sul tutto, la sperimentazione porta a scelte non sempre facili da leggere con un primo ascolto. Musica molto malinconica, quasi lamentosa dove la struttura canzone si perde in favore di una unità espressiva esistenziale. I suoni sono intimi, non ci sono melodie facilmente riconoscibili, anche le ritmiche non accompagnano con lucidità l’ascoltatore, le atmosfere sono spesso dark, in un continuo rimando a memorie perdute, a ricordi dimenticati. Sarebbe riduttivo analizzare i singoli brani, perché durante l’ascolto si ha sempre l’impressione di trovarsi di fronte ad un lavoro molto omogeneo. Alcuni momenti del disco risultano più ostici di altri e qualche volta fa capolino anche la noia, soprattutto nella seconda parte del disco, ma questo non toglie al lavoro un certo fascino elegante.
Non è facile confrontarsi con la musica dei Kipple, ma di certo non è musica che lascia indifferenti.

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