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press-review JENA LU

 

bandiera_italia   BUSCADERO

Jena Lu è il nome del progetta solista di Mirko Lucidoni, cantante e chitarrista della band alternative LaBase ch ho avuto la fortuna di incrociare nei miei ascolti già da qualche anno. In fuga dalla band madre, ma solo momentaneamente, ha deciso di mettere su disco una serie di brani rimasti nel cassetto e scritti in vari momenti della sua vita. Li confeziona con un set prevalentemente acustico, distante dalle asperità elettriche de LaBase, scegliendo una via più intimista e personale. Premetto che non amo per nulla i dischi elettrici ma ... le eccezioni ci sono sempre ed è bello poter mettere tra i propri preferiti anche album di questo genere. Qui dentro ci sono la voglia di far sentire al mondo i propri sentimenti, la propria forza, il proprio credo musicale. Una sincerità che lo porta ad essere giocoforza distante anni luce da quell'indie italiano che fa della banalità la propria bandiera (un nome a caso, ma non tanto, The Giornalisti), scavando invece nel profondo di un cantautorato sofferto e ricco di spunti. "L'esodo" per esempio è costruita in maniera sopraffina ed ha anche poco di acustico in senso stretto, vista l'energica chitarra che Mirko inserisce a piene mani. Poi va anche detto che le sue melodie chitarristiche possono essere sia delicate che piene di forza e lui riesce a modificare a proprio piacimento l'umore dei brani. Confezinato con estrema cura e registrato in maniera impeccabile, con inserti apprezzatissimi del sax che fa capolino qua e là, il disco si rivela una piccola gemma nello scialbo panorama fatta di personaggi plastificati usciti dal talent show del momento. Avercene di personaggi così e visto il livello delle composizioni avrebbe potuto con qualche ruffiano sotterfugio passare direttamente dall'altra parte della barricata ma ha deciso di stare da questa parte, quella giusta.

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bandiera_italia  ONDA ROCK

Il progetto solista Jena Lu nasce dall'idea del cantante e chitarrista di Teramo Mirko Lucidoni dopo aver realizzato di avere un impatto artistico maggiore in modalità acustica. "Le dita nelle costole" è infatti un album estremamente intimo, ma allo stesso tempo dannatamente nichilista, eppure tutt'altro che scarno sul piano produttivo, con una cura maniacale delle basi ritmiche, delle poche note al piano e delle sfumature da contorno. "E fermerai il tuo tempo e niente finirà", canta Lucidoni in "Barad-dûr", ad aprire le danze di quello che si potrebbe definire come un concept sulla sofferenza interiore. "E pensare che ieri volevo farla finita, ma poi ti ho baciata, sei più calda del fuoco. Non mi sazio mai di te, e non so perché non mi sazio di te": è il cuore caldo de "La sera", mentre un crescendo pianistico possiede lemme lemme l'anima afflitta del musicista, con refrain tanto doloroso quanto epico. C'è anche l'amico Edda nell'unico brano non scritto da Lucidoni, "Spaziale", ballad lunare sul tempo e l'amore, con la voce di Lucidoni afflitta e parimenti raggiante. Tra cieli neri e virtù da decantare, il cantautore avanza imperterrito nel proprio amplesso con il dolore e i richiami del cuore. Si susseguono qui e là scomode verità trattate con opportuna semplicità e un'ottima capacità di scrittura, tra melodie a tratti avvolgenti e sentite bordate ("Chiara Ferragni non allatta ma mi allatta, mentre la penso mi disturbo con fatica", da "Tutto è bello"), il tutto sorretto da una verve interpretativa densa di imprecazioni e squarci canori. Un esordio da scoprire.

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bandiera_italia   SHIVER WEBZINE

Un disco maturo, un disco magico, dove la sapienza e la duttilità sono padrone incontrastate. Mirko Lucidoni in arte Jena Lu sforna questo lavoro capendo che la strada giusta, molte volte, non è quella che per prima si è intrapresa. Con l’ esperienza è riuscito a dare vita alle parole. Un lavoro cantautorale, che riporta alla ribalta un lessico importante della storia musicale nazionale, che sta piano piano tornando in auge. Dopo aver militato in una band decisamente più alternative rock, si rende conto che i brani che aveva scritto potevano avere un’altra vita, un’altra anima. Prende forma Le Dita Nelle Costole  un manifesto culturale di momenti e vissuti espressi in musica. De Andrè, Battisti, Rino Gaetano si riscoprono ascoltando questo lavoro. Pochi grattacapi, poche debolezze, solo vita. Mirko Lucidoni riesce a raggiungere vette fantastiche, navigando deciso e sicuro nel paroliere infinto del cantautorato italiano. Jena Lu un nome che va tenuto a mente.

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bandiera_italia   INDIEPERCUI

Cantautore senza mezze misure che supera qualsivoglia forma di ingabbiamento culturale per creare all’interno del proprio spazio vitale una musica capace di disegnare paesaggi via via sempre più importanti. Il cantautore Jena Lu confeziona un dischetto che porta con sé la bellezza di un suono introspettivo capace di tramutarsi nell’immediato in qualcosa di più sospinto e ammaliante per un lavoro d’insieme che riesce a scavare nelle profondità e riesce ad inglobare speranze e sogni nel futuro. Cresciuto a pane e Nirvana, la dimensione acustica raggiunge l’apice in questo album attraverso un flusso di coscienza che ingloba la velocità dell’aria, la forza delle correnti contrastanti. Pezzi come l’apertura affidata a Barad-dur, L’esodo, La sera, la cover di Edda: Spaziale e la finale La stanza non passano di certo inosservati e sanno trasportare l’ascoltatore all’interno di un mondo dipinto ad arte per l’occasione. Le dita nelle costole è un affondo  a questa quotidianità, è ricerca, ma anche bisogno di fare bene le cose che sembrano in realtà le più semplici e le migliori.

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bandiera_italia   ROCK TARGATO ITALIA

Le canzoni dell’abruzzese Jena Lu e del suo “Le dita nelle costole” sarebbero probabilmente perfette da cantare attorno a un falò in un paesaggio post-atomico o sulla famosa spiaggia deturpata di Vasco Brondi. Canzoni in cui gli arrangiamenti semi-acustici non addolciscono minimamente lo spirito rock dolente dell’autore, reso invece ancora più evidente dalla sua voce aspra e dalla chitarra acustica orgogliosamente grezza spesso in evidenza. Brani crudi che, come suggerisce già il titolo dell’album, puntano dritto al sodo sbattendo in faccia all’ascoltatore i pensieri inquieti dell’artista e la sua poetica disillusa.

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bandiera_italia  MESCALINA

Mirko Lucidoni è nel giro della musica italiana indipendente già da diversi anni. Fondatore nel 2006 della band laBase, debutta nel 2019 con il suo primo lavoro solista. Dieci brani interamente composti dall`artista abruzzese tranne per Spaziale che è opera di Edda. In Le dita nelle costole Lucidoni spoglia la musica che finora aveva proposto con la sua band, gli toglie la parte elettrica e strumentale per avvicinarsi al cantautorato. Brani sì da cantautore ma lontani dallo stilema del genere in Italia, più vicini a tanti artisti esteri nel suoni e nei testi e tutti con una forte connotazione anni `90 ( periodo da cui pesca a piene mani anche laBase). Brani che sono stati composti nel corso degli anni e non hanno mai trovato la pubblicazione e che l`autore ha riscoperto in versione unplugged per questo lavoro. Nonostante i brani vengano da periodi e situazioni differenti, si nota fin dai primi episodi una coerenza compositiva in tutte le parti delle canzoni. I primi due pezzi del disco mettono in scena quello che andremo ad ascoltare. L`iniziale Badar-Dur ha un passo teatrale e a tratti drammatico, mentre Ieri è oggi ha toni meno cupi nella musica ma non nel testo. Testi che parlano di stati d`animo, di sensazioni, la maggior parte delle volte con lo stesso tenore delle musiche che li accompagnano. L`esodo vira lo sguardo verso temi d`attualità ( l`emigrazione) mettendo al centro dell`attenzione una chitarra elettrica che riesce a trasportare il dolore raccontato nella canzone in musica. È tutto bello, il pezzo più lungo del disco nei oltre suoi sei minuti, è tagliente e cinica mentre la conclusiva La stanza risulta il brano più intimo del disco, quasi una ballata rispetto a quanto proposto finora. Le dita nelle costole è un buonissimo esordio solista per Jena Lu. Un disco non per tutti, duro, crudo e sofferto in alcune sue parti, che potrebbe scoraggiare l`ascoltatore meno attento. Che però mette in scena un`artista che si mette a nudo, nei suoi pensieri, problemi, dubbi e insicurezze. Un lavoro che può gettare le basi per un ottimo seguito in futuro.

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bandiera_italia   ROCK GARAGE

In Italia non ci sono più in cantautori di una volta”. Grazie tante. Quante volte l’abbiamo sentita o letta questa sentenza, che ormai gira nel web assieme ad altre dichiarazioni come “non esistono più le mezze stagioni” o “il nuoto è uno sport completo”? Tante, troppe. Lasciamo stare i mostri sacri che hanno segnato gli anni 60-70, periodi e contesti sociali troppo lontani e soprattutto troppo diversi, e pensiamo ad occuparci dei cantautori attuali, che ci sono, magari navigano nell’oscurità, nel silenzio, alla ricerca della, meritata, o meno, visibilità. Parliamo di Jena Lu, all’anagrafe Mirko Lucidoni, artista abruzzese con un background di tutto rispetto, e che è cresciuto nei 90’s, influenzato particolarmente da Nevermind dei Nirvana. Il Nostro ha recentemente pubblicato, tramite l’etichetta I Dischi Del Minollo il suo disco d’esordio Le Dita Nelle Costole, album di nove brani di puro cantautorato made in Italy. Le nove tracce presenti mettono in risalto, attraverso il binomio voce-chitarra, contornato da una più che buona produzione, il lato più intimo della Jena, e lo fa attraverso un viaggio neanche tanto lungo, con malinconia, talvolta anche con grinta, ma sempre con schiettezza, mantenendo quell’aspetto introspettivo che risulta poi essere il vero punto di forza del disco. I brani sono ovviamente tutti scritti di suo pugno, eccezion fatta per Spaziale, di cui il testo è nientemeno che di Stefano Rampoldi, più conosciuto come Edda (ex-voce dei Ritmo Tribale); questo rafforza ancor di più il suo legame con i 90s e di quanto sia stata fondamentale questa decade per il suo percorso artistico. I cantautori, per ritenersi validi e credibili, devono avere qualcosa da raccontare. Jena Lu fa sicuramente parte di questa categoria. E l’underground, almeno di questo genere, ringrazia sentitamente.

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bandiera_italia  INDIE-ROCCIA

Mirko Lucidoni è un musicista abruzzese: ha fatto parte di varie formazioni, prima di fondare, nel 2006, la sua band, laBase. Alla fine di febbraio è arrivato, invece, questo suo primo lavoro solista con il moniker di Jena Lu: si tratta di canzoni nuove, scritte in diversi momenti della sua vita, e usate per questo progetto più intimista e cantautorale rispetto a ciò che è solitamente abituato a proporre con il suo gruppo principale. Il cantautorato ovviamente non vuol dire solo voce e chitarra, ma i dettagli e gli aggettivi sono ben presenti all’interno di questo debutto sulla lunga distanza di Jena Lu: dal rock deciso di La Bamba, impreziosito dal suono del sax che lo decora nella maniera migliore, all’intensità emotiva di Spaziale (scritto da Edda), semplice, ma piena di sentimenti, passando per la lunga e dolorosa E’ Tutto Bello (ottimi i violini nel finale del brano) e della preziosa opening Barad-Dur con le sue percussioni dal sapore moderno, ogni cosa sembra funzionare per il verso giusto. Un esordio assolutamente sincero e pieno di passione che saprà dare la giusta visibilità al musicista di Teramo

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bandiera_italia   MUSIC MAP

Mirko Lucidoni è leader della band alt rock laBase dove, su un sound affine a quello degli Afterhours, canta con un approccio al vetriolo: astioso e corrosivo. Ora ha composto delle nuove canzoni, che decide di rendere in acustico. Per far questo, nasce il suo progetto parallelo Jena Lu, e con questo nome esce l’album “Le dita nelle costole”. Così possiamo sentire che, sotto la corazza da duro, si nasconde un cuore… ancora più duro. Benché si affrontino aspetti dell’interiorità, con una certa umana agitazione, lo sguardo resta lucido ed analitico. Forse in acustico (semi acustico, per la precisione) l’esito vocale è più efficace, poiché meno nascosto dalla distorsione accesa in maniera importante. La prima delle nove sberle si chiama “Barad-dur”, come la Torre dell’oscuro Sire Sauron nella terra di Mordor (secondo la Tolkienpedia). Mirko irride (o si auto irride) mentre l’interlocutore contempla le proprie macchie, che anche se cancellate restano nella coscienza. Macchie, come “sublimazioni su stagni d’argento”, che per orgoglio vengono anche difese, fino ad isolarsi nella propria convinzione: “E compiutamente difenderai le posizioni conquistate, ti sosterrai, ti consumerai chiuso nella tua personale torre di Barad-dur, osservando tutto quello che forse sarai”. Si affronta ancora l’oscurità in “Ieri e oggi”: “Come ieri, oggi il male ho, come oggi spesso il male sono”. Si può avvertire sullo sfondo un riferimento all’attuale incapacità di dialogo, tra persone chiuse in manichee convinzioni, pure su temi delicati: “Comandi, conclusioni, forzature, e la slealtà diffusa a cui appartieni; il pozzo che ho scavato non disseta, me l'hanno avvelenato proprio ieri”. Da questo buio mentale vien voglia di scappare, e questo si racconta con “L’esodo”, dove il senso dello spazio è dilatato: “Roma è così vicina, uno sguardo al Gran Sasso e alla neve (…) L'Australia sarà lontana, per me un po' troppo vicina, ma su Marte da solo forse mi annoierò (…) non so se vorrei mai tornare da te, da te terra mia, terra purtroppo senza più poesia”. Questo brano, per quanto amaro, si affranca un po’ dalla rabbia generale, e la chitarra elettrica qui compare in maniera non pungente, ma più avvolgente ed ipnotica. Ancora un suono lisergico per “La bamba”, dove la voce diventa beffarda e nasale, quasi rievocando l’indimenticato spirito di Jannacci: “Tutti gli amici fanno segni strani, come quel codice con l'indice, che sembra grattare sul tavolino ed il sorriso sul volto si stampa (…) bamba tu bamba tu bamba, tu trita la bamba”. La chitarra psichedelica viene raggiunta da un saxofono, in un clima divertito. Con “La sera” si torna seri. Si osserva il cielo, guardando oltre ciò che si vede, e questo aiuta ad evitare di fare la grande cazzata: “Io cammino e osservo la sera, ponendo lo sguardo tra stelle fisse ed astri orbitanti (…) il tempo, curvandosi attorno a noi su nuovi bellissimi mondi, ci trascinerà. E pensare che ieri volevo farla finita”. Pur salvi dal suicidio, ad occhi aperti il senso d’oppressione resta: “Una distesa senza un orizzonte, un fronte stretto dove nulla passa”. Così recita “Chiudendo gli occhi”, dove la difesa dall’angoscia è alcolica: “Calma apparente, con un cuscino che ti sta vicino, un'altra gioia da soffocare senza ripensamenti, un altro po' di vodka, e la notte passerà”. Accordi dolci introducono “Spaziale”, dove Mirko affronta la noia di una relazione consolidata, dove sembrano esauriti gli argomenti. Interessanti, sotto al lamento cantato, le progressioni armoniche. E ancora una volta, la dimensione onirica rende migliore il grigiore della realtà: “Quando mi addormento divento spaziale, vado a stabilire un rapporto un po' celestiale, astronave pronta a partire”. Ma con “E’ tutto bello” si raggiunge l’apice dell’acidità e del nervosismo di Lucidoni, che sembra voglia essere fastidioso a tutti i costi, aumentando l’aggressività a mano a mano che il pezzo prosegue, fino alla bestemmia esplicita, ed alla presa in giro verso l’influencer più nota d’Italia: “Chiara Ferragni non allatta ma mi allatta, mentre la penso mi disturbo con fatica”. Tutta questa deformazione vocale è spiegata nella frase ritornello: “La verità è che tu non sei mai completamente convinto nel dissentire”. Con l’ultimo pezzo, “La stanza” (che non è quella dei Negramaro), improvvisamente la voce si pulisce, e canta il desiderio di luce, dopo tutte queste parole nere, anche se il sarcasmo non si smorza fino alla fine. Si esprime quindi la volontà, in Jena Lu, di sentirsi voci fuori dal coro, dissenzienti e radicali, fino a far male, esattamente come le dita nelle costole.

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bandiera_italia   VIRGOLETTE BLOG

Il suo è un cantautorato rock che nelle nove canzoni del disco, descrive diversi stati d’animo, che vanno dal dolore, allo sdegno, alla dolcezza. Si tratta di un lavoro intimo e duro, che dimostra però il talento del suo autore.

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bandiera_italia   TUTTO ROCK

Mirko Lucidoni, nome all’anagrafe di Jena Lu, cantautore “sui generis” uscito alcune settimane fa con il suo primo disco solista (out il ventidue Febbraio u.s. per i Dischi del Minollo) ci ha convinto. “Le dita nelle costole”, questo il titolo del suo ultimo lavoro, ci è parso opera personale e profonda; nove tracce per circa, complessivamente, quaranta minuti di bei suoni, l’album sembra voler rappresentare una momentanea digressione rispetto alle ordinarie rockeggianti consuetudini condivise da Lucidoni con gli altri componenti di laBase, gruppo che il nostro ha fondato nel 2006 e che si muove all’interno dell’universo indie del nostro  paese facendo tesoro di influenze variegate come Nirvana, Bob Dylan, David Crosby, Joy Division, Neil Young,  Sonic Youth. L’impresa solista di JenaLu, peraltro, si sviluppa all’interno di atmosfere acustiche cupe, sofferte, underground, arricchite da ritmi creati con un apparato eterodosso di percussioni improvvisate e, qua e la, dall’elettronica. La voce e soprattutto i suoni gutturali del cantante abruzzese, poi, contribuiscono ulteriormente al raggiungimento di un risultato complessivo originale e accattivante. Canzoni come “Spaziale”, “La Bamba”, “E’ tutto bello” (forse il punto piu’ alto di tutto il disco, una canzone perfetta), “La stanza” rappresentano l’indice di una raggiunta maturità artistica (testi e musiche, peraltro, sono attribuibili al solo Lucidoni con l’unica eccezione di “Spaziale”, brano composto da Stefano Rampoldi). Apprezzabile il lavoro di supervisione artistica e quello profuso per la definizione degli arrangiamenti: la direzione di marcia imposta da Lucidoni e Davide Grotta, a nostro avviso, ha portato a risultati egregi in termini di unicità e di gradevolezza dei risultati. Intimi, spesso poetici e riferiti a fasi diverse della esistenza dell’autore, i testi delle diverse songs. Da ascoltare.

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bandiera_italia   MAGAZZINI INESISTENTI

Mirko Lucidoni è un abruzzese di Teramo che dopo aver militato in ambito rock in diverse band ha deciso di dare una svolta alla sua carriera, ha adottato il nome d’arte Jena Lu, scegliendo la dimensione acustica. Per il suo disco di debutto “Le dita nelle costole”, uscito a febbraio per i Dischi del Minollo. Già il titolo ci dice che l’album ha ben poco di consolatorio, anzi si nutre di aspetti perfino urticanti, fastidiosi, come appunto la sensazione evocata dal titolo. Per questo suo disco di debutto da solista, a quaranta anni già passati, ha deciso di mettere insieme una raccolta di brani ancora inediti, ma scritti nel corso di oltre vent’anni di impegno nel mondo della musica. Siamo nell’ambito di un cantautorato in buona parte intimista e introspettivo, ma spicca subito come elemento di forza dell’album la cura degli arrangiamenti di ispirazione decisamente indie rock, dalle atmosfere rarefatte di Barad Dur che richiamano quelli di band come gli Ofeliadorme, a quelli della più energetica La Bamba, a quelli più decisamente folk, basati su chitarra acustica e pianoforte, di Spaziale, unico brano non composto da Mirko Lucidoni , ma da Stefano “Edda” Rampoldi. In quest’ultimo brano, a giudizio di chi scrive, Jena Lu offre anche la più convincente prova come cantante, duttile nel dare la giusta intonazione e il timbro adatto al dolore espresso nelle parole. Sulla voce infatti ci permettiamo di avanzare qualche perplessità, con però un’altra eccezione nella sarcastica e rabbiosa E’ tutto bello, sei minuti di sferzante e violenta indignazione contro una realtà che non si può accettare, il canto volutamente sgradevole e urlato è accompagnato da un drumming duro e pesante che ne accentua il tono scontroso. Il resto oscilla fra brani più intimisti e sofferti come la conclusiva La stanza o a brani come L’esodo, nervosi ed elettrici, che ci parlano di lontananze ed emigrazione. “Le dita nelle costole” è un album sincero e interessante che potrebbe riuscire a farsi apprezzare dagli appassionati dell’indie di casa nostra, anche se, come spesso in casi come questo, non è facile riuscire a distinguersi dai tanti prodotti similari che sommergono il mercato.

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bandiera_italia   CASA SUONATORI INDIPENDENTI

Se pensate che il cantautorato italiano sia rappresentato dalla torta ormai divorata dell’indie capitanato da Calcutta, Gazzelle, Tommaso Paradiso & Co.  potete benissimo chiudere la recensione, cambiare canale, disconnettervi ed andare via per sempre da queste pagine (scherziamo, vi amiamo pure a voi). Jena Lu rappresenta l’altra faccia della medaglia del cantautorato moderno, quella vissuta, “sporca”, schiacciata nel più infimo underground e che si coltiva e cresce con la propria forza, senza spinta di major, talent show e tutte le schifezze possibili ed immaginabili. Il suo disco d’esordio “Le dita nelle costole” rappresenta alla perfezione il concetto che Mirko Lucidoni in arte Jena Lu vuole trasmettere. Una verità spiattellata cruda e fredda come la vendetta, su un piatto non del tutto dorato, una realtà, quella del cantautore che non ha fronzoli, non si piega e nemmeno si spezza, rimane lì, disarmante ogni volta che si preme play ed ogni volta che si inserisce o si toglie il disco dal lettore della propria auto. Il sound si fonda sul concetto di chitarra e voce, l’energia invece è tanta, robusta e piena di spunti per tutti coloro che vorrebbero ancora prendere in mano una chitarra e farsi sanguinare le dita. Jena Lu può non piacere a tutti, può essere prevalentemente scomodo per molti ma di certo tiene viva la speranza di quel cantautorato genuino che deve ancora proseguire per la sua strada, senza inciampare su sè stesso. L’ascolto è consigliato e la traccia che ad un primo ascolto si aggiudica il titolo di best track dell’album è “L’Esodo”.

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bandiera_italia   IL MEGAFONO

Erano gli anni ‘90 quando Mirko, giovane abruzzese, rimane folgorato sulla via di…Nevermind, lo storico album dei Nirvana. Da quel momento, nasce la passione per la musica e, soprattutto, per il rock in tutte le sue forme. Dopo anni passati a suonare in giro e dopo aver formato laBase, sua attuale band, quel ragazzo, cantautore e chitarrista, oggi si appresta a debuttare da solista, con il nome di Jena Lu. Un progetto iniziato nel 2017, in un momento di pausa dell’attività del gruppo. Mirko, alias Jena Lu, capisce che è tempo di dedicarsi ad alcuni suoi brani, convinto che fossero più adatti a un arrangiamento più introspettivo, meno da band. Così, dopo averci lavorato con passione, insieme al polistrumentista Davide Grotta, sta per pubblicare l’album “Le dita nelle costole”, che uscirà il 22 febbraio per l’etichetta i Dischi del Minollo. Nove tracce molto intense, intime, coinvolgenti, con un sound essenzialmente rock. Già dalla prima traccia, Barad dûr, dalla linea tipicamente alternative rock, spicca la qualità degli arrangiamenti, così come si fa notare la voce profonda e rabbiosa di Mirko. Un brano che ci è piaciuto molto e che, per certi aspetti, ricorda gli Afterhours degli inizi, oltre a contenere richiami alla migliore tradizione internazionale del genere. Jena Lu convince perché mostra la maturità di chi sa come confezionare un pezzo senza farsi condizionare da ciò che potrebbe risultare già sentito. Riesce a mettere la sua identità, sia nell’arrangiamento sia nei contenuti, lasciando trasparire l’introspezione dalla quale emerge questa sua musica. I riff e le intro di chitarra, la linea melodica alla quale si aggiungono talvolta le percussioni, i cori e i suoni magnetici del theremin: tutto è perfettamente amalgamato alla sua voce e all’atmosfera che ha scelto di conferire al disco. Un’atmosfera spezzata solo con il brano La Bamba, una canzone corale e più nevrotica, che si trova a metà dell’album, come se ne rappresentasse un intervallo. Una menzione speciale la merita È tutto bello, composizione rock dove la voce e la chitarra di Jena Lu sono un connubio avvincente, al punto che quando finisce viene subito voglia di riascoltarla. Se non fosse che subito dopo parte La stanza, brano di chiusura del disco, che è una ballata altrettanto bella, malinconica ed emozionante. “Le dita nelle costole”, dunque, è un canto molto personale, intimo, è la voce dell’anima, il suono delle dita di un artista maturo che sa farsi sentire con il suo graffio rock e la sua sensibilità. Non conosciamo i suoi progetti futuri, ma possiamo dire che Jena Lu ha fatto bene a mettere in piedi questo progetto solista e a cantare le sue canzoni e le sue emozioni con un sound più introspettivo, modellato secondo le sue forme emotive.

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bandiera_italia  MUSIC.IT

Un titolo asciutto quanto forte, “Le Dita Nelle Costole”. E in copertina invece la foto di un bambino. Sembra un richiamo, forse un omaggio, a “Nevermind” dei Nirvana, album che ha iniziato la formazione di Jena Lu, all’anagrafe Mirko Lucidoni, classe ’75. Cantante e chitarrista della band laBase, scrive testi e compone musica da ormai qualche anno. Ma è solo recentemente che è nata l’esigenza di portare avanti un progetto solista in grado di rispecchiare maggiormente la sua indole rock e i le sue esigenze intimiste. Da qui allora nasce “Le Dita Nelle Costole”. E forse quel bambino in copertina rappresenta semmai un’identità messa a nudo che saluta definitivamente l’innocenza e la spensieratezza dell’infanzia. Quello di Jena Lu è infatti un esordio atipico, un percorso a ritroso. Non ci troviamo di fronte a un giovane cantautore in cerca del proprio posto nel mondo, né di un artista che decide di buttarsi nella mischia e tastare il terreno della discografia per vedere quale sia la via più comoda da prendere. Jena Lu è semmai un cantautore maturo che sa cosa fare e sa come farlo. La maturità artistica de “Le Dita Nelle Costole” è avvertibile negli arrangiamenti dal sapore puramente rock che si coniugano benissimo con il profilo cantautorale dei testi di Jena Lu. L’album d’esordio di Lucidoni infatti prende vita proprio da quelle canzoni inedite e mai pubblicate della band laBase, ma che l’autore sentiva il forte bisogno di condividere. Da qui entra in scena il produttore Davide Grotta, con il quale Jena Luha lavorato per costruire solidi arrangiamenti a partire dai brani fatti di sole chitarra e voce. Il risultato sono nove brani che non potranno far storcere il naso al pubblico del rock alternativo italiano vecchia scuola. Fin dalla prima traccia “Barad Dur” si respirano le atmosfere graffianti e gli spunti metaforici che fanno saltare alla mente i primi Afterhours come anche gli Zen Circus. “Ieri è Oggi” si regge invece su una voce più melodica ma dal tono comunque acceso, raccontando di un male esistenziale che dura nel tempo. Esce dagli schemi a metà album “La Bamba”, canzone più eclettica, dove i cori si uniscono perfettamente a una maggiore ricchezza di strumentazione. Si passa a “La Sera”, canzone che si regge sulla dicotomia tra toni aspri della voce e la presenza del pianoforte. Mentre “È Tutto Bello”, preferisce un accompagnamento più massiccio della chitarra elettrica. A chiudere l’album, “La Stanza”, una ballata malinconica che saluta l’ascoltatore senza però rinunciare all’acutezza delle canzoni precedenti. “Le Dita Nelle Costole” si presenta allora come un viaggio assolutamente personale e intimo. Un manifesto definitivo di Jena Lu come artista, che non rinuncia a un’anima rock, graffiante e diretta, ma anzi la elegge a tratto identitario.

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bandiera_italia   TRAKS

Citazioni tolkeniane spuntano mentre un certo malumore grava su Barad Dur, traccia d'apertura, piuttosto drammatica nel mood e nel cantato. Un drumming molto vivo e inquieto opera all'interno di Chiudendo gli occhi, sincopata e dura. Storia di un male che si prolunga, ecco poi Ieri è oggi, con una chitarra insinuante. Un ritmo regolare contraddistingue la partenza e l'emigrazione raccontata ne L'Esodo, elettrica e molto sofferta. La Bamba non è una cover di Ritchie Valens, ma è anzi un pezzo con qualche risonanza e con racconti di tempi da riempire in qualche modo. Luci più basse e toni più contenuti quelli de La Sera, che persegue toni narrativi anche aspri nonostante la dolcezza di fondo del pianoforte. Più distillato il dolore di Spaziale, che parte con voce e chitarra acustica ma presto si appoggia anche sul piano, per rafforzare il dramma intimo del brano. Chitarra classica anche in E' tutto bello, lunga, avvelenata e vibrante di qualcosa di simile allo sdegno. Si chiude con La Stanza, per un'uscita morbida e intima dal disco. Le sofferenze sono un ingrediente piuttosto condiviso nelle canzoni di questo album di Jena Lu, che racconta storie recenti e lontane ma con una coerenza narrativa e sonora piuttosto granitica.

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bandiera_italia   CORNER MUSIC 'ZINE

Mirko Lucidoni in arte Jena Lu pubblica il suo album d’esordio “Le dita nelle costole” ed affonda le sue dita artistiche nelle costole e timpani dei suoi ascoltatori, senza provocare dolori o spasmi, semplicemente, irrompe nelle quotidianità con violenza per poterti dire: “Ci sono pure io tra tutte le schifezze che ascolti con la differenza che io dico le cose come stanno veramente”. Quello che trapela subito dal sound del disco è una direzione molto ben precisa, chitarra suonata con forza e gran capacità ed arrangiamenti minimali si ma al punto giusto nel momento giusto. Il singolo l’Esodo è un ottimo biglietto da visita che rappresenta sia le capacità vocali dell’artista che la caparbietà di un lavoro che di certo non passerà inosservato agli addetti ai lavori. Molto bella la cover di Edda, Spaziale, interpretata nella maniera più fedele possibile all’originale ma con un tocco in più che è difficile da descrivere, una firma, un tono di voce, un qualcosa che cambia del tutto l’atmosfera del brano e la sua intimità. In poche parole l’album di Jena Lu può piacere o non piacere, di certo però, arriva al punto, senza preoccuparsi più di tanto, ed una volta che arriva il punto, non si può fare altro che staccare la spina da tutto ed ascoltare “Le dita nelle costole”.

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bandiera_italia   MUSIC MAG

“Le dita nelle costole” è il titolo dell’album di Jena Lu (al secolo Mirko Lucidoni), cantautore di Teramo quarantaquattrenne con alle spalle un percorso musicale avviato nella seconda metà degli anni ’90.Questo album dovrebbe essere una sorta di progetto-sintesi della sua maturità artistica, ma sin dal primo brano, la sensazione è quella di trovarci al cospetto di un lavoro forse troppo atteso e, alla fine, rimasto al palo. Non convince la voce di Mirko, troppo influenzata dalla dilagante moda delle vocali vomitate che, alla fine, generano una sorta di omologazione vocale che impoverisce tutti. Non convincono le canzoni che via via ascolto, sempre sperando di individuare uno slancio, un bel giro di note, un colpo d’ala che non arriva. Non convincono gli arrangiamenti, che dopo un po’ di brani risultano piatti, privi di una ricerca strumentale adeguata, senza individualità di rilievo. Spesso lascia perplessi la linea melodica, con una metrica non sempre fluidissima o, come nel caso di “Chiudendo gli occhi”, ripetitiva nella prima strofa sino all’ossessione. E, infine, appaiono estremamente fragili i testi, che raccontano poco. Ed anche un brano come “La stanza” che chiude l’album, introdotto da un interessante “giro” di chitarra, nel momento un cui parte il cantato diventa uno strillo ciò che invece andava sussurrato. Si può apertamente parlare di un lavoro poco riuscito, con la consapevolezza (lo suggerisco anche a Mirko) che nel variegato e confuso mondo della critica musicale, nulla può esclude che altri possano invece riscontrare in questo lavoro aspetti di positività. Personalmente, sia pure con rammarico, ma con la sincerità che mi sono sempre imposto facendo questo mestiere, non posso che dare una valutazione decisamente insufficiente all’intero progetto. Comprendo bene quanto un cantautore cerchi di mettere nelle sue canzoni i propri stati d’animo e non è in questo caso la sensibilità di Jena Lu ad essere messa in discussione, ma è la qualità musicale dell’insieme.