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interviste SUBTREES

    IL BLOG DELL'ALLIGATORE

 

Come è nato Polluted Roots?
Be’, innanzitutto partiamo da una premessa: la palude è un ottimo ambiente per noi SUBTREES, e in qualche modo possiamo dire che l’umidità ci appartenga. Questo disco è stato concepito principalmente in un garage in cui il tasso di umidità dell’aria oltrepassava di non poco la soglia benefica per l’essere umano. Sicuro, di questo ne avranno risentito quei girini che sarebbero stati poi i brani del disco.
 
Perché questo titolo? … che vuol dire?
In modo un po’ contorto, nasce da una frase in italiano di Italo Svevo, che per praticità e coerenza abbiamo tradotto in Italiano. In una delle ultime pagine della Coscienza di Zeno, il protagonista del romanzo all’alba della prima guerra mondiale si slancia in una riflessione sull’origine del male e della malattia nel mondo,e ne conclude che la vita è inquinata alle radici. Italo Svevo non avrebbe potuto prevedere che qualcosa, da queste radici inquinate, nasce, come la foresta rigogliosa che sorge oggi sul sito diChernobyle. Polluted Roots è la riflessione di un albero storto, malconcio, che fa i conti con le proprie di radici. Inquinate, sia chiaro.
 
Come è stata la genesi del disco, dall’idea iniziale alla sua realizzazione finale?
Vedere l’album realizzato è un po’ come prendere l’aereo e vedere i vari appezzamenti di terra, le linee sul territorio, che formano un puzzle intricato ma uniforme. Un’unità nella diversità. Se uno è in mezzo a quel campo, l’unica cosa che vede è del grano. Così ogni canzone, nei suoi particolari, è un universo a sé stante. Ognuna di loro è nata da un seme, un riff magari, o una frase, che è sbocciato in qualcosa di più grande, e poi ha teso le proprie radici verso le altre.
 
Qualche episodio che è rimasto nella memoria durante la lavorazione dell’album?
Oh sì, le piadine. La registrazione della sezione ritmica è avvenuta ai Vacuum Studios di Bruno Germano, in campagna appena fuori Bologna, di fianco al carcere dove Annamaria Franzoni del delitto di Cogne scontava la sua pena fino all’anno scorso. Le pause pranzo si sono rivelate il momento più fortuito, scoprendo una delle piadine più buone di Bologna, all’uscita 6 della Tangenziale, se non sbaglio. Saremo sempre grati a Enrico Baraldi degli Ornaments per averci condotto verso tali delizie.
 
Se questo cd fosse un concept-album su cosa sarebbe? … tolgo il fosse?
Ah cavolo, ci siamo bruciati la metafora della veduta aerea nella domanda 3 ma sarebbe più adeguata in questa… Ah ecco: diciamo che ogni pezzo è nato come un’isola, che poi è diventato un arcipelago, un ecosistema in costante correlazione. Okay, forse la metafora della veduta aerea era più bella. Sì, il disco è decisamente un concept album, che bazzica i temi della memoria, del trauma, e come abbiamo detto in precedenza, del fare i conti con le proprie radici. Inquinate, logicamente.
 
C’è qualche pezzo che preferite? Qualche pezzo del quale andate più fieri dell’intero disco? … che vi piace di più fare live?
Oh sì, di gran lunga Conversation #2 (Adam’s Resurrection). Ha tutto ciò che noi amiamo in una canzone: tempo in 5/4, oscurità lirica, muri enormi di chitarre elettriche, ma soprattutto un bridge e assolo squisitamente alla Neil Young.
 
Come è stato produrre Polluted Roots? Chi avete avuto più vicino, dal punto di vista produttivo?
Forse finirà per essere più una recensione culinaria che musicale, forse dovremmo pubblicare un libro gastronomico, “In Cucina con i Subtrees”, perché anche qui c’entra il cibo: la pizzeria “da Luigi” a Crespellano, paesotto tra Bologna e Modena in cui proviamo, per gentile concessione dei nonni del nostro chitarrista. Oltre a loro, ci teniamo a ringraziare nuovamente Enrico Baraldi, che oltre ad averci indirizzato verso la piadina del secolo ha tirato fuori i suoni che sentite nel disco, insieme a Claudio Adamo dei Cani dei Portici, che ne ha curato il master.
 
Copertina rock e nostalgica ... come è nata? Di chi è opera?
La copertina è frutto di una collaborazione con Valentina De Felice, artista, grafico e nostra amica di Bologna, che aveva realizzato per noi l’artwork del nostro primo EP, On a Broken Rope. È fantastico come il suo lavoro si sia sviluppato autonomamente e parallelamente rispetto alle tematiche del disco, finendo per esserne un commento fondamentale. L’unica cosa che abbiamo fatto noi è stata darle nostre vecchie foto diricordi, paesaggi, ritratti o, come nel caso della copertina, una vecchia GoldWing del 1983 che apparteneva al padre del nostro cantante e chitarrista. Del resto le abbiamo dato carta bianca e questo ne è stato il risultato: minimale, efficace e in perfetta linea con l’ambiente dell’album.
 
Come presentate dal vivo il disco?
Il 20 ottobre allo SpazioEco di Casalecchio di Reno abbiamo presentato Polluted Roots, altre date sono in via didefinizione.
 
Altro da dichiarare?
Quarantadue.