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press-review SUBTREES

 

bandiera_italia   ROCKIT

"La vita attuale è inquinata alle radici": intorno a questa massima di Italo Svevo ruota il disco d'esordio dei bolognesi SUBTREES, intitolato appunto "Polluted Roots". Il lavoro è composto da otto tracce che risentono visibilmente non solo del caro e vecchio grunge ma di tutti gli anni '90 in generale. Quindi chitarre distorte a manetta, voce oscura e graffiante, atmosfere taglienti e testi con un preciso marchio di fabbrica. In "Everything Beautiful, Nothing Hurt" viene fuori tutto l'amore per le sonorità dei Soundgarden, con la voce e le chitarre a dettare legge nel brano, proprio come si faceva una volta senza troppi fronzoli; "Conversation #1 (Hero's Death)" e la successiva "Conversation #2 (Adam's Resurrection)" sono pezzi potentissimi in cui le distorsioni si aprono all'ascoltatore con tutta la loro anima grunge. Più morbido e psichedelico l'approccio di "Reflections", mentre è ai limiti del capolavoro sonoro la marcia slow di "Motorbike", sicuramente il pezzo più emotivamente coinvolgente del disco. "Polluted Roots" è un disco sporco, marcio, in linea con le sonorità che hanno fatto scuola negli anni d'oro di un genere che ha forgiato generazioni. Allo stesso tempo è un lavoro studiato in ogni minimo particolare, con un' attitudine invidiabile e assolutamente fuori moda in questi anni dove chitarre e distorsioni sembrano una specie in via d'estinzione.

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bandiera_italia  MUSIC MAP

opo l’EP “On a broken rope”, i Subtrees debuttano con l’album “Polluted Roots”, che in sette canzoni delinea il proprio stile. Il suono del grunge anni ’90 si sente nitidamente in ogni dove, però i brani sono strutturati in maniera dilatata, tale da raggiungere una sorta di “grunge psichedelico”, affine alle fusioni fatte all’epoca dagli Smashing Pumpkins, che tra i nomi d’oro dell’epoca erano i più distanti dalla scena di Seattle (non solo geograficamente), ma che ci si sono trovati accostati, coerenti con lo spirito del tempo. L’Lp è aperto da “Syngamy”, strumentale trascinante; poi “Everything’s beautiful, nothing hurts”, pezzo dal titolo decisamente sarcastico, presenta la voce sofferta e graffiante. Lungi dall’essere semplici brani on/off, quelli tipici dei classici gruppetti locali, qui ci sono parti diversificate, come una zona di soli arpeggi di chitarra e ride di batteria, che rende un’atmosfera sospesa e d’attesa. Il tutto poi è un concept album, le prime quattro canzoni sono un unico flusso senza stacchi. “Conversation #1 (Hero’s death)” costruisce il riff su un 6/8+7/8, e un gioco simile c’è anche in “Reflection” (7/4+6/4). In “Conversation #2 (Adam’s resurrection)” le chitarre dosano sapientemente il tremolo e la distorsione: distorto è anche il basso, in chiave lo-fi, e la voce qui è particolarmente rabbiosa. Ma è l’andante e doloroso “Motorbyke” che raggiunge il picco drammatico, mentre “Jungle Overexposure” sottolinea la propria lentezza, il proprio essere decadente, specie nella lunga coda finale. Ci sono poche parole da dire, c’è solo da emozionarsi per questo disco, che porta ai nostri giorni l’umore degli anni ’90, aggiornato con sprazzi di post-rock anni ’00, in maniera autentica e credibile.

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bandiera_italia   ROCKAMBULA

La vita attuale è inquinata alle radici. Partono dalle parole di Italo Svevo i quattro ragazzi bolognesi per dare un’immagine di quello che poi troveremo nelle sette tracce: e già dall’opening “Syngamy” possiamo farci un’idea più precisa delle intenzioni dei Subtrees, band con soli quattro anni di vita. Polluted Roots è un concept album sul tema della memoria e del trauma, una sorta di risposta a situazioni negative che con lo scorrere del tempo si avvia verso una luminosa soluzione. Il sound grezzo dei Subtrees è scelta dettata dalla voglia di creare un suono che non si sarebbe discostato eccessivamente dal contesto live mentre, da un punto di vista stilistico, le radici (stavolta non inquinate) affondano nei Novanta, nei Polvo, nei Soundgarden e in gran parte delle varianti del Rock di quel decennio per arrivare alle strumentali Sludge d’inizio millennio. Polluted Roots si tende a insegnare il valore della libertà intesa non come risposta alle catene imposte dalla società, quanto piuttosto alle auto prigionie create dalla nostra mente a proposito di situazioni sgradevoli e scioccanti. La libertà come un fuoco che cova sotto la paglia, pronto a infiammare la nostra anima.

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bandiera_italia  IL BLOG DELL'ALLIGATORE

Buon esordio di questa giovane band di Bologna che cita Italo Svevo e il grunge, tra le cose migliori del '900 (anche per questo mi piacciono molto).Lo fanno con questo Pollutted Roots album dal passo felpato e i giusti umori. Senza strafare, il disco sale che è una gioya, da Syngamy, brano autunnale, perfetto per le piogge e l'atmosfera brumosa di oggi, fin su al liberatorio finale di Jungle/Overexposure, che ci fa sperare nell'arrivo dell'estate, dopo tutto. Tutto quello che c'è nel mezzo, tipo Motorbike, forse la mia preferita perché semplice e diretto rock elettrico e psichdelico Neil Young/Crazy Horse-style.Non male, per gli stessi motivi, Conversation #2 profondamente grunge. Non male anche Everything's Beautiful, Notfhing Hurt, ritmico e ciondolante grunge ... che mi fa tornare giovane quando ascoltavo gli amati Screaming Tress (ma non c'è la voce di Mark Lanegan sarebbe stato troppo, ovvio, quella è unica).Ma tutto Pollutted Roots è da ascoltare. Per fare i conti con le nostre radici inquinate che affondano nel secolo breve, maledettamente affascinante.

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bandiera_italia   THE PIT OF THE DAMNED

Una Bologna violenta, inquinata fino alle radici esistenziali, un mostro che si aggira tra i portici alla ricerca di vittime per vomitargli addosso il mal di vivere. i Subtrees sono quattro sopravvissuti all'olocausto musicale degli anni '90 si ritrovano a condividere una sala prove nel sottosuolo bolognese, mescolando la loro rabbia in un mix di grunge e noise rock struggente e diretto. Sette sono i brani contenuti in 'Polluted Roots' atti a colpire chi ascolta attraverso i suoni ruvidi e spontanei di "Syngamy", perfetta intro che ipnotizza inizialmente con la ripetitività dei riff di chitarra che crescono fino all'esplosione distorta e all'urlo rauco che travolgono l'ascoltatore. Nel crescendo dell'album si passa a "Everything's Beautiful Nothing Hurt", una ballata scanzonata che s'insinua nei nostri neuroni che scaricano scosse ritmiche ai muscoli delle gambe e delle braccia per farci vacillare in una danza scomposta. Nota di merito per la perfetta scelta dei suoni che rappresentano un inno al grunge di Seattle con qualche sfumatura alternative, per non parlare poi del timbro vocale del vocalist che, nonostante la giovane età, risulta roco e avvolgente quanto basta. Un dono di natura probabilmente aiutato da centinaia di bionde e litri di nocino. Finito il warm up, il quartetto bolognese ingrana la quarta e ci allieta con brani più graffianti e carichi, come "Conversation #1" e "Conversation #2", una doppietta che alza il tiro, allontanando i nostri dagli arrangiamenti simil-pop dei primi brani ed iniziando la discesa nelle oscure profondità dell'io interiore. Il gioco si fa interessante, i riff di chitarra sono aspri, decomposti e ricostruiti in una forma noise, che insieme alla sezione ritmica nervosa ed irrequieta, accompagna la deflagrazione sonora. Gli stop & go tornano sempre utili per spezzare la frenesia ed inserire passaggi simil doom che distendono i nervi e preparano all'attacco successivo. Immancabile l'assolo struggente e sporco che avvinghia come una lingua di fuoco e ci incatena ancora di più ai voleri dei Subtrees. Affrontiamo "Motorbike", presunto tributo all'art cover che raffigura una vecchia Honda Goldwing degli anni '80, un cosiddetto cancello per la pesantezza, ma dal fascino indiscutibile come il brano che rappresenta. In bilico tra il grunge alla Alice in Chains ed il desert rock più mistico, la traccia inizia lieve e dissonante come un motore non perfettamente carburato e pian piano si scalda fino ad assumere la sua forma struggente. Le progressioni allungano il malessere e, ormai riversi a bocconi, arriviamo alla tanto agognata parola fine. Un progetto fuori dal tempo, che guarda indietro per trovare la propria identità e dare risposta alle domande di un'esistenza corrotta da chi è venuto prima di noi. Eredità pesante o no, il rischio di rimanere vittime è alto, troppo.

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bandiera_italia   NONSENSE MAG

Climbing up from oblivion…

Secondo Italo Svevo “la vita attuale è inquinata alle radici”. Ma che cosa nasce da queste radici inquinate? Il debutto dei SUBTREES, “Polluted Roots”, fa di questa premessa una sfida. Il disco è un concept che ruota intorno al tema della memoria e del trauma, scritto in risposta a situazioni turbolente.

… toxic waste radiating dread…

Sette istantanee sovraesposte compongono il continuum del disco, dalla nascita nebbiosa (Syngamy) fino alla coda di esplosione luminosa che lo chiude (Jungle/Overexposure). Sia nel suono che nelle intenzioni, le tracce che compongono Polluted Roots manifestano un’urgenza espressiva: l’attitudine no frills si traduce in una produzione grezza e più vicina possibile alla situazione live.

all over my head…

Le radici musicali del disco sono varie e si intrecciano fra di loro. Di certo, gli anni ’90 hanno lasciato il segno: all’interno troviamo dialoghi di chitarre dissonanti alla Unwound e Polvo (Reflections) e un’impostazione musicale e tematica vicina al grunge più oscuro e psichedelico degli Screaming Trees e dei Soundgarden (Everything’s Beautiful, Nothing Hurt). Nelle cavalcate elettriche di Conversation #2 e nello slowcore laconico di Motorbike, vero fulcro emotivo del disco, non manca una certa affinità con il Neil Young della ditch trilogy e dei suoi Crazy Horse. Ma i SUBTREES hanno assorbito anche la lezione del post-rock anni ’00, dal quale prendono le atmosfere dilatate (Syngamy), e dello sludge più ambient alla ISIS e Neurosis (Conversation #1).

…are these polluted roots we carry on our backs.