Articoli

Interviste IL VUOTO ELETTRICO ("Traum")

Traum è stato accolto molto bene dalla critica, che mi è sembrata unanime nel recensirlo positivamente. Immagino siate soddisfatti dei primi mesi di vita della vostra creatura.
Soddisfazioni? Se paragonati al carico di responsabilità e fatiche che ci siamo sorbiti, direi che siamo ancora distanti dall’ottenere una compensazione… scherzi a parte, siamo contenti di come sia stato accolto Traum. Tutta la carta stampata ha recensito il disco (e questo è già un segnale forte) mentre sono tantissime le webzine che hanno affrontato l’ardua prova di ascoltare il disco pubblicando poi una recensione. Parliamo quindi di una quarantina di pareri più o meno illustri. Solo uno di questi è risultato critico nei confronti di Traum, quindi possiamo dire che sotto questo punto di vista le cose sono andate molto bene, anche sopra le aspettative.

Rispetto al precedente, Virale, stavolta vi siete avvalsi della collaborazione di Iriondo. Come è stato lavorare con un pezzo di storia del rock italiano?
Xabier è una persona molto tranquilla. In studio ha buttato qualche volta “acqua sul fuoco” mentre in altre circostanze al contrario ha alzato il livello di adrenalina spingendoci per esempio a modificare in maniera radicale gli arrangiamenti proprio nel momento stesso in cui stavamo procedendo alle riprese. Ha un approccio istintivo verso la materia musicale, è guidato dall’intuito e dalla spontaneità che derivano dalla sua grande esperienza. Allo stesso modo è in grado di “inquadrare” il progetto come pochi. Capisce chi sei e qual è la tua strada. E ti porta a centrare l’obiettivo nella maniera più lineare possibile, facendoti evitare trabocchetti e strade tortuose.

Il Vuoto Elettrico è un evidente omaggio ai Six Minute War Madness, così come le vostre sonorità affondano le radici negli anni ’90, hardcore, noise, stoner, post-rock…purtroppo a me pare di notare che le nuove leve di ascoltatori non si riconosca più nella rabbia, la potenza, i chitarroni, i concerti dai quali si torna a casa con i lividi (scusate la semplificazione). Ho la percezione che il seguito del rock duro stia invecchiando sempre di più, e che manchi un ricambio generazionale. Da chi è composto il pubblico de Il Vuoto Elettrico? Confermate questa mia paura di una mancanza generale di giovanissimi, oppure (come spero) la smentite? Il pubblico che segue la musica rock è sempre di meno. Chi lo seguiva in questo momento ha moglie e figli e ai concerti non ci va più. Al massimo rimpiange quando ci andava, magari alza il culo dal divano due volte all’anno per qualche reunion nostalgica o per qualche evento celebrativo. Ho l’impressione che questo tipo di pubblico abbia tradito quello che stava alla base del movimento culturale musicale di vent’anni fa. Ha ridotto quel fenomeno – rilevante anche a livello sociale – a semplice “passatempo giovanile dei bei tempi andati”. Mi sento di stendere un velo pietoso su tutto questo. Lo accomuno al percorso dei ventenni di oggi che vanno a vedere il concerto per bersi la birretta, ballare musica di merda e condividere il proprio cervello plastificato. Sono due facce della stessa medaglia… per me non c’è differenza. Anzi, una differenza la trovo: per la prima nutro risentimento, sulla seconda solo un po’ di compassione mista a tenerezza. Detto questo bisogna fare il conto di quelli che rimangono fuori da queste due categorie, per poi accorgersi che alla fine chi rimane è un manipolo di irriducibili, probabilmente un po’ “flippati”.
Ci rivolgiamo a questi, in fondo.

Da un po’ fortunatamente non si sente più portare avanti la teoria che la lingua italiana non sarebbe adatta a una musica massiccia e spigolosa, poiché troppo rotonda. In ogni caso, credo che ascoltando “Corridoio_41” e quelle due sillabe martellanti – scap/pa, scap/pa – anche gli anglofoni più convinti si ricrederebbero. È veramente difficile scrivere testi in italiano per un genere come il vostro? Per noi è sempre stata la cosa più naturale del mondo. Non trovo ci sia altra strada se non esprimersi nella lingua che conosciamo meglio, per esprimere nel migliore dei modi (senza equivoci e ingenuità) i concetti che riteniamo opportuno veicolare. Forse utilizzando l’italiano c’è la necessità di utilizzare dei meccanismi di incastro della metrica un po’ più complessi ma il gioco vale la candela, anche perché si tratta di un processo a volte davvero stimolante. Personalmente utilizzo diverse stesure di un testo: la prima solitamente deriva da un’improvvisazione vocale fatta in sala prove, la seconda è un successivo sviluppo ed è mediata dai concetti che mi interessa portare avanti. La terza è la riproposizione della seconda con degli interventi correttivi proprio in funzione della musicalità degli incastri.

Rimanendo sui testi, mi colpisce molto l’utilizzo della seconda persona singolare, sia in Virale che in Traum, il frequente riferirsi a un “tu”. In un panorama musicale dominato dall’io, dall’autoreferenzialità, dai sorrisetti compiacenti, voi sembrate parlare in faccia all’ascoltatore. Anzi, gli urlate in faccia. Come a volerlo prendere e tirare dentro alle vostre canzoni, per fargli vivere le atmosfere claustrofobiche e sentire addosso le palpitazioni. O, almeno, su di me avete questo effetto. È ciò che cercate? 
Cerchiamo di ottenere attenzione, se le persone si sentono interrogate è più probabile che siano coinvolte e si interroghino sul significato delle parole che stanno ascoltando. Ci sono anche parecchie domande, interrogativi a cui chiediamo implicitamente di rispondere. Abbiamo la nostra versione dei fatti ma ci interessa che “gli altri” si facciano le giuste domande (a quelle pensiamo noi) ma soprattutto si diano delle risposte (in questo caso è assolutamente indifferente che coincidano con le nostre). Forse siamo troppo cerebrali, anche dal vivo sentiamo di comunicare tanto. Qualcuno ci dice che una parte del pubblico ha un po’ timore di affrontare un’espressione artistica dai toni così “emotivamente intensi”. Mettersi alla prova non è mai facile, siamo d’accordo.

La copertina di Traum ricorda la locandina di un film, un thriller psicologico, una casa nella quale si rimane intrappolati, così come il ritmo ossessivo delle canzoni. È un universo che in qualche modo vi appartiene, quello della letteratura/cinematografia thriller? 
Decisamente. La letteratura Pulp, i libri dei “cannibali” (Ammaniti, Brizzi…), il movimento Avantpop statunitense, Palahniuk, D.F. Wallace, le tele di Dalì, la cinepresa di Martin Scorsese e quella di David Fincher. Le biografie di Renato Vallanzasca e Mario Moretti. Sigmund Freud e la sua “interpretazione dei sogni”. I disturbi di personalità, gli studi di balistica e le tecniche di privazione sensoriale attuate durante gli interrogatori, la strategia della tensione degli anni ’70. Frullate tutto, se vi pare. Magari qualcosa salta fuori…

Una chiusura su Il Vuoto Elettrico dal vivo: cosa dobbiamo aspettarci da Traum portato sul palco?
Maggiore impatto sonoro, maggiore coinvolgimento emotivo. Il disco portato all’eccesso, elevato alla potenza. La simulazione di una seduta psicoanalitica tra noi e il pubblico. Come se ogni concerto fosse l’ultimo prima di smettere per sempre di suonare.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

E’ uscito il 10 marzo Traum, il nuovo disco de Il Vuoto Elettrico, per Dreamingorilla Records / I Dischi del Minollo / La stalla domestica con la produzione artistica di Xabier Iriondo (Afterhours, Todo Modo, Bunuel). Noi abbiamo voluto saperne di più e ci siamo fatti raccontare il progetto direttamente da loro! Leggi la qui sotto l‘intervista!

Traum, a due anni da “Virale”, è il secondo capitolo di una trilogia di concept album sull’uomo visto impietosamente nella sua condizione esistenziale. E se il lavoro precedente era dedicato alla paura, qui ad essere indagato è il rapporto fra il tempo, la vita e la conoscenza di sé stessi, analizzati attraverso il trauma e il sogno (traum in tedesco significa sogno) come chiavi di lettura rispettivamente del passato e del futuro.

La vita viene raffigurata attraverso la potente metafora di una casa dove ogni canzone è una stanza (soggiorno, cucina, bagno, giardino ecc.) e ogni stanza una stagione della vita (l’infanzia, la giovinezza, la maturità, la terza età ecc.). Ad allacciare il tutto un’entrata (la nascita) e un’uscita (la morte) circolarmente connesse fra loro, oltre a un misterioso corridoio da cui fuggire in tutta fretta con il solo obiettivo di entrare nelle singole stanze. Questo corridoio è il tempo presente, quell’unica prospettiva reale su cui si stagliano le porte che sono i luoghi in cui ognuno deve entrare per fare i conti con ciò che dentro viene ospitato.

Ecco che cosa ci ha raccontato i ragazzi de Il Vuoto Elettrico sul loro particolarissimo lavoro dal titolo Traum !

 

Ciao ragazzi, cosa significa Il Vuoto Elettrico?

Il Vuoto Elettrico è il titolo del secondo album dei Six Minute War Madness, gruppo seminale degli anni ’90 nel quale suonavano due membri degli Afterhours, Paolo Cantù e Xabier Iriondo. In cabina di regia c’era Fabio Magistrali, uno degli artefici del suono di “Hai Paura del buio?”. Roba grossa, insomma. Abbiamo scelto questo nome come omaggio a una realtà underground che ha fatto scuola e breccia nelle teste di molti musicisti che si sono lanciati negli anni a seguire in progetti poco convenzionali. Noi tentiamo di fare la nostra parte, epigoni di un certo modo di intendere la musica in questo 2017.

Da dove vi è venuta l’ispirazione per Traum, un album così ricercato concettualmente?

Mi fa piacere che tu abbia notato la ricerca filologica che sta alla base del concept. In Traum la musica interpreta le parole e le parole interpretano la musica… si cercano a vicenda influenzandosi reciprocamente. Non potrebbe esserci altra musica per quelle parole, non potrebbero esistere altre parole per quella musica. Il punto di partenza è stato il primo album, “Virale”, incentrato sulla paura. Questa volta l’idea era quella di spingersi più in là: il progetto era ben chiaro fin dall’inizio e questo è stato un vantaggio enorme rispetto allo sviluppo del primo concept che è nato durante la scrittura dei pezzi. Per questo album è stato diverso, direi che è stato studiato nei dettagli fin dall’inizio, senza tentennamenti o sbandate. A volte capita che qualche pezzo lo si faccia rientrare “a forza” nell’album cambiandone parzialmente il significato per renderlo compatibile con il resto delle canzoni. Qui non è successo e il risultato finale ne ha tratto giovamento dal punto di vista dell’architettura complessiva.

Ci spiegate questo parallelismo tra vita, stagioni e le stanze di una casa?

Molto semplice. Abbiamo voluto immaginare la vita come una casa composta da varie stanze ciascuna delle quali è collegata a un corridoio centrale che simboleggia il tempo presente. Le stanze sono le stagioni della vita, sia del passato che del futuro. Ogni stanza può essere vissuta da chi ascolta come una stagione del passato o del futuro, a seconda dell’età nella quale si trova a vivere. Questo tipo di struttura tiene in considerazione il fatto che “i passi della vita” possono essere sezionati ed esaminati autonomamente e molto spesso si relazionano all’età anagrafica. Così ci sarà il rimpianto degli anni consumati a vivere inutilmente (“Un bagno di vita”, la terza età), la sensazione che l’amore sia giunto al crepuscolo (“Lame in soffitta” l’età di mezzo, i 50 anni) oppure il trauma dell’abbandono subito durante l’infanzia (“Sotto il tavolo in cucina”, l’infanzia). Tutti elementi in grado di porci degli interrogativi necessari per permanere all’interno della “casa”. Prima di prendere l’ultima porta, naturalmente.

Perché una casa, di solito luogo confortante e familiare, e non un’altra struttura o un’altra immagine?

Esattamente perché si tratta di un luogo che conosciamo bene, che rappresenta il qualche modo il concetto di protezione del nostro vivere quotidiano. Solitamente abbiamo un rapporto particolare con la casa dove abitiamo, quando ci trasferiamo impieghiamo molto tempo prima di affezionarci alla nuova abitazione, per sentirla veramente nostra. Dobbiamo personalizzarla, renderla viva e conforme alla nostra immagine. Anche le singole stanze sono percepite e vissute normalmente in maniera differente, abbiamo un rapporto particolare con ciascuna di esse. Vivere in una casa è un po’ come vivere con una persona, proiettiamo su di essa una parte di noi stessi. In definitiva: quale migliore ambientazione per parlare del tempo e della vita?

Traum vuole essere un disco che racconta semplicemente delle sensazioni o che insegna anche qualcosa sulla vita?

Nessuna delle due cose. Vuole essere uno stimolo al pensiero, un pungolo a considerare le cose che viviamo in maniera meno superficiale. Trovo terribile che la vita scorra senza consapevolezza delle cose che ci accadono, a volta sembra che queste siano vissute da noi come “catapultate dal destino” e di conseguenza non ce ne curiamo con il giusto grado di attenzione. Il nostro futuro dipende da come abbiamo vissuto il nostro passato e immaginare il futuro è esercizio necessario per prepararsi a quello che può succedere, senza che gli eventi ci travolgano come un cane in tangenziale. Quindi nessun insegnamento, solo un “alert” sulla necessità di non considerare la nostra vita un semplice incidente di percorso, dove tutto è imprevedibile e imponderabile.

Come componete in genere?

Come un milione di altri gruppi, almeno penso. Ci sono idee personali, giri armonici, riff che vengono proposti in sala prove. Da lì parte la parte più eccitante di tutto il processo, vale a dire il meccanismo di incastri degli arrangiamenti. Molto spesso è questa la parte più delicata, un riff o un giro di chitarra possono avere delle potenzialità ma se non si riesce a “costruire” un pezzo tutto cade nel vuoto. Il testo è qualcosa di diverso, viene incollato in ultima battuta con piccole correzioni di metrica in funzione della struttura della parte musicale. Ormai il meccanismo è collaudato ma ci sono sempre aspetti che non si riesce a tenere sotto controllo durante la composizione, imprevisti e piccoli eventi che a volte sparigliano le carte in tavola. E questo è un vantaggio, un bene.

C’è un brano o una frase a cui siete particolarmente legati? E perché?

Parlando dell’ultimo disco ci piace molto suonare “Un bagno di vita”, è proprio divertente… a tratti liberatorio. L’incedere è molto “tirato”, il basso è sostituito integralmente da bordate di synth e le chitarre sono davvero particolari. Proprio in questo pezzo c’è una frase alla quale sono molto affezionato: “Li riconosci quei momenti perfetti? Oppure li vedi solo quando è il ricordo a mordere ogni istante?”. Queste parole rappresentano la necessità di evitare il rimpianto a tutti i costi, l’assoluta esigenza di capire la bellezza del momento nell’istante preciso in cui questo “esplode”. Se poi si ha la fortuna di vivere “un momento perfetto” e allo stesso modo comprenderlo in quanto tale proprio in quel frangente, allora si può tranquillamente pensare di aver fatto un’esperienza che “vale una vita intera”. Non sono in tanti, purtroppo, ad avere questa fortuna.

Nei prossimi progetti volete tenere sempre questa direzione o state pensando di cambiare qualcosa?

Troppo presto per dirlo. Qualche idea effettivamente frulla nella testa. Il punto di partenza sta nella nuova consapevolezza di suono che ci ha portato Traum, nel modo in cui Xabier ci ha indirizzato in fase di registrazione. L’utilizzo di ritmiche spezzate e un maggiore coinvolgimento del synth potrebbero essere delle strade percorribili, ma quello che importa veramente è trovare un nuovo filone di imprevedibilità che potrebbe rivelarsi determinante per un prossimo – possibile – terzo disco.

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

Iniziamo dal vostro nome: Il Vuoto Elettrico. Che cos’è per voi il vuoto? E’ qualcosa da defibrillare con delle scosse elettriche?
Il nostro nome è un omaggio a uno dei dischi più importanti mai usciti in Italia in ambito indie rock, a nome Six Minute War Madness. Nel gruppo suonava Fabio Magistrali (produttore del nostro primo disco), Xabier Iriondo (produttore del nostro ultimo lavoro) e Paolo Cantù che abbiamo ospitato in un pezzo del primo album. Quindi diciamo che abbiamo in un certo senso pagato un debito di riconoscenza verso un mondo sonoro di cui riconosciamo la grande portata innovativa e artistica. E poi questo nome penso sia in grado di evocare il lavoro che stiamo portando avanti con tanta fatica.
Traum è il vostro secondo disco. E’ un album importante dove è evidente che state facendo un percorso, sia musicale sia umano. Cosa è cambiato rispetto al primo disco, Virale?
Abbiamo avuto un cambio di formazione (Mauro Mazzola è subentrato a Fabio Pedrotti alle chitarre) e questo è stato più che sufficiente per portare una mutazione negli equilibri del gruppo.
Inoltre il lavoro di arrangiamento studiato con Xabier ci ha messo spalle al muro in più di una circostanza. Ci siamo detti: via gli orpelli, via le sensazioni “mediate”, via tutto quello che è inutile all’economia sonora del gruppo. Ma la vera sfida è riuscire a riconoscere davvero ciò che è “inutile”, perché spesso questa cosa sfugge alla vista e alle orecchie di chi ha la mente annebbiata dal troppo coinvolgimento emotivo. Era il nostro caso.

Il titolo del disco è significativo, poiché ha una bivalenza di significato. Nella nostra lingua, infatti, Traum rimanda subito alla parola trauma. In tedesco, invece, significa sogno. C’è un legame fra trauma e sogno?
Assolutamente sì. Tieni presente che i nostri concerti iniziano con una breve introduzione che culmina con una frase declamata prima in tedesco e poi in italiano: “Il sogno è la parte migliore del nostro pensiero”. Penso che il sogno e il trauma siano due vertici di un triangolo equilatero, chiuso dalla parola “Vita”. Freud dice che il trauma più forte che tutti noi abbiamo subito è il momento preciso in cui nostra madre ci ha partorito. E’ quello l’attimo che – per intensità – rappresenta il punto di svolta dell’essere su questa terra. Sognare è dare nuova linfa al concetto di vero e di amore, tenere a distanza di sicurezza i traumi emotivi, grandi e piccoli, che capitano a ripetizione nella vita.
Uno dei pezzi più interessanti e rappresentativi di Traum è Camera di specchi. Ci raccontate la sua storia?
E’ il primo pezzo composto per TRAUM. All’inizio aveva una struttura diversa, con una parte introduttiva troppo pesante e mediata. Poi Xabier ha deciso di farci modificare il riff iniziale facendoci suonare degli accordi atonali ed ha eliminato la parte introduttiva dando maggiore immediatezza e potenza al tutto. Dal punto di vista testuale è la canzone dedicata all’età della maturità, quella dei 40 anni per intenderci. Ogni stanza è una stagione della vita del passato e del futuro. “Camera di Specchi” è il momento nel quale ci si rivolge uno degli interrogativi più importanti, quello sulla percezione dell’evoluzione del tempo.

Ogni brano del disco rappresenta la stanza di una casa. Ciò è rappresentato anche nella (bellissima) copertina, in cui la casa, però, si appoggia sull’acqua. Qual è il suo significato?
Il valore onirico del concept album di TRAUM è molto accentuato. Quella casa non è reale, è solo una sensazione. Come la vita, d’altronde. A volte c’è la sensazione di vederla dal di fuori, come uno spettatore qualsiasi. Quella casa appoggiata sulle acque, contornata da un cielo plumbeo, è minaccia e sollievo nello stesso tempo. Perché i pericoli non sono veramente tali se ci si rende conto che esistono veramente.
A proposito di stanze collegate tra loro, cosa c’è nel corridoio 41?
“Corridoio 41” è il tempo presente, ho scritto il testo quando avevo appena compiuto 41 anni. Il posto dal quale parte l’osservazione della vita nelle sue stagioni del passato e del futuro. Non è possibile sostare per più di un certo lasso di tempo in quel corridoio, bisogna subito abbandonarlo per entrare in una delle stanze della casa. E’ molto pericoloso sostare nel presente ma, in fondo, non c’è altro da fare.
Ma tenere d’occhio il passato e il futuro non è semplice esercizio di stile ma un’esigenza assoluta per comprendere tutto.
Quali sono state le ispirazioni musicali che vi hanno accompagnato durante la fase più creativa della nascita di Traum?
Siamo molto indipendenti dal punto di vista degli ascolti, sinceramente non conosco le abitudini musicali degli altri ragazzi e penso che questo non sia un male, anzi.
Seguire tutti lo stesso percorso di ascolti non è buona cosa per sviluppare un disco. Io stesso non saprei riconoscere quali sono state le influenze, davvero. Dal punto di vista dei testi le influenze sono state più cinematografiche che musicali, una su tutte la prima stagione della serie televisiva True Detective. E poi, devo dire, apprezzo molto il periodo di dominio concettuale di Roger Waters che si è concretizzato del trittico floydiano “Animals-The Wall-The Final Cut”.


Cosa
rappresenta per voi il palcoscenico?
Un momento nel quale tirare fuori tutto, eliminando sovrastrutture mentali, paure, angosce, reticenze. Ci si lascia andare, si prova ad abbandonare per un attimo quello che siamo nella vita quotidiana. I suoi schemi e le sue regole. Si suona forte, d’altronde.

Traum è il secondo disco di una trilogia. Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro? Il terzo disco è già programmato?
Dire che è già programmato mi sembra eccessivo, ma la volontà di continuare il percorso c’è. Subito dopo aver finito di registrare il disco abbiamo avuto una nuova defezione nella line-up del gruppo: da sei mesi abbiamo quindi un nuovo batterista, Luciano Finazzi, che ha un approccio “naturalmente” differente rispetto a Walter: più pesante e ritmico.
Partire da questa novità sarebbe importante, oltre che fare tesoro delle esperienze passate con un produttore come Xabier Iriondo che ha cambiato la percezione della nostra musica. Di certo se ci sarà un terzo lavoro sarà nuovamente un concept album che chiuderà la “trilogia dell’esistenza” come la chiamo io…
Se Traum avesse un colore, quale sarebbe? E perché?
Mi metti in difficoltà. Ci sto pensando ma non mi viene nulla, davvero. Sarà che sono daltonico e ho una percezione diversa del colore rispetto a chi non lo è.
Ah ok… forse ci sono. Te ne dico due: il grigio e il bianco. Grigio perché è il colore del mattone, della realtà. Bianco perché è il colore dell’abbaglio luminoso, quindi del sogno e di tutto ciò che è etereo. Ma vanno combinati insieme, mi raccomando altrimenti il gioco non funziona fino in fondo…

 - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

 

Come è nato il nome “Il Vuoto Elettrico”?
E’ nato partendo dal fatto che volevamo un nome in italiano che in qualche modo avesse una sua storia, non frutto della semplice immaginazione. Prendere a modello il titolo del secondo disco dei Six Minute War Madness (un punto di riferimento assoluto dell’underground italiano di fine anni ’90) è stata una scelta di cuore e un omaggio a una realtà tra le più brillanti (ma purtroppo anche snobbate dal grande pubblico) degli ultimi trent’anni di musica cantata in italiano.

Quali erano le vostre ambizioni quando avete formato la band? Quanto sono cambiati i vostri obiettivi adesso che ‘Traum’ è realtà?
Quando ci siamo formati abbiamo cercato di concentrare tutte le nostre esperienza passate (e spesso fallimentari) in questo progetto dicendo sottovoce: “O adesso o mai più”. Volevamo dire la nostra in un panorama musicale spesso intasato da proposte mediocri che riducono gli spazi e la visibilità di chi - al contrario - ha ambizioni artistiche e non semplicemente di “entertainment” e di soddisfazione personale.

‘Virale’ e ‘Traum’ sono due album sicuramente legati da un filo conduttore ma anche estremamente differenti. Quali sono a vostro parere gli aspetti che li distinguono maggiormente?
Le differenze maggiori sono a mio avviso legate alla struttura dei pezzi, agli arrangiamenti. Sotto questo punto di vista i due dischi sembrano appartenere a due band diverse, visto che in ‘Virale’ c’era molta più linearità sotto questo aspetto (ma anche più manierismo) mentre invece in ‘Traum’ tutto è più immediato e spartano e quindi più crudo e diretto. ‘Traum’ è un disco anche più “veloce” e tende a non cadere negli stereotipi musicali indie che – in qualche circostanza – abbiamo coltivato senza accorgercene nel precedente lavoro.

Il nuovo album è uscito tramite una collaborazione tra etichette. Pensate che questo sia un modo per combattere le difficoltà del mercato attuale?
No, non penso che questa sia la strada giusta. Semplicemente non penso che esista. La produzioni si autosostengono economicamente, i soldi provengono dai lavori “convenzionali” di ciascuno di noi. Suonare è un debito, punto. E’ come andare a sciare la domenica, si spende senza prospettiva di rientro. Si compra l’attrezzatura, l’abbonamento alle piste, si spende per il pranzo e il carburante. Si torna a casa la sera felici (forse). Fare musica è la stessa cosa. Si spende per registrare un disco, per promuoverlo, si spende per comprare gli strumenti musicali. “Invece di comprarmi un paio di sci nuovi all’anno mi compro una chitarra”. E’ come destinare le proprie risorse economiche a X piuttosto che a Y. Non dovrebbe essere così, bisognerebbe avere una “speranza di crescita professionale”. Ma siccome neppure “quelli davvero bravi” riescono a mettere insieme il pranzo con la cena figuriamoci tutti gli altri. Vuoto a perdere, insomma.

Pensate di rimanere indipendenti a vita oppure se arrivasse l’offerta giusta…
Questa è una domanda facile-facile. Non bisogna mai rispondere in assenza della situazione concreta alla quale ci si riferisce. Sarebbe grottesco proclamare “indipedenza” quando non c’è altra strada da percorrere. Sarebbe altrettanto inopportuno “sbavare” per un contratto major. Quello che dico è che i musicisti dovrebbero pensare solo a fare musica, il DIY alla lunga è logorante, distrae e riempie la testa di cose assurde di cui i musicisti non si dovrebbero occupare. Pratiche SIAE, bollettini, scegliere il font della grafica del disco, il colore dello sfondo delle foto promozionali e un milione di altre stronzate di cui si farebbe volentieri a meno. Chi dice che “è il bello di tenere tutto sotto controllo” dice una gran cazzata. Se ho scelto di fare rock ‘n roll e non il “grafic designer” piuttosto che “il burocrate” un motivo ci sarà. Spesso a rimetterci sono la musica, la preparazione dei live e i dettagli della produzione. I gruppi non riescono a uscire dall’underground non perché non ci sia qualità, ma perché per guadagnare in visibilità bisogna mettersi part-time con il lavoro (con cui ci si guadagna da vivere) per poter anche solo tentare di fare della musica la propria professione. Il risultato? Gettare la spugna è sempre l’ipotesi più concreta e più comoda per tutti e si finisce per abbracciare questa cosa come una naturale evoluzione della logica dei fatti. Sbagliato.

Quando avete iniziato a comporre i nuovi brani? Quanto tempo avete impiegato a completare il processo?
Abbiamo iniziato subito dopo aver dato alle stampe il precedente album “Virale”. Non abbiamo avuto un attimo di tregua nella preparazione dei pezzi e la stesura si è conclusa praticamente ad aprile/maggio dello scorso anno. Solo il pezzo conclusivo “Out/Door” è frutto di un lavoro successivo a questo periodo ed è terminato con la registrazione in studio “costruendo” le parti su sensazioni di theremin, chitarre molto lineari ma evocative e un basso ipnotico. A completamento abbiamo inserito il trilobit, un prototipo di riverbero a molla filtrato da una serie di effettistica per chitarra. E’ il nostro pezzo sperimentale ed era giusto “costruirlo” in studio piuttosto che in sala prove.

Dove si sono svolte le registrazioni? Avevate degli obiettivi precisi in termini di suoni e produzione?
Abbiamo registrato in provincia di Bergamo al “Dream Studio” di Bonate Sopra, studio di proprietà di Mauro Mazzola, uno dei nostri chitarristi. Detta così potrebbe sembrare che ci siamo presi tutto il tempo necessario per lavorare con calma ma non è stato così. Il grosso del lavoro si è sviluppato in soli due giorni per questioni di impegni di Xabier, ma alla fine non è stato un male: tutte le energie sono state canalizzate in un lasso di tempo molto breve. La prossima volta faremo con più calma, questo è certo. Dal punto di vista sonoro invece è stato tutto demandato alla guida di Xabier: suoni scarni, secchi e poco elaborati in fase di registrazione. Mentre in fase di mixaggio tutto si è fatto per evitare che il disco suonasse come una ripresa dal vivo. Inoltre si è cercato di attualizzare il suono, operazione certo non semplice. In ogni modo sono sempre dell’idea che se un disco deve suonare “live” allora è meglio evitare di registrare un disco. Meglio registrare un concerto vero e proprio.

Come avete conosciuto Xabier Iriondo? Quanto c’è di lui nel nuovo album?
Lo abbiamo contattato tramite il nostro ufficio stampa, poi lo abbiamo incontrato a Milano e gli abbiamo parlato a lungo. La cosa che lo ha convinto a lavorare con noi è stato il progetto complessivo del disco, il concept album. Inoltre ha valutato positivamente il lavoro del precedente disco registrato con Fabio Magistrali, suo compagno di avventura negli A Short Apnea e nei Six Minute War Madness nonché produttore dei primi tre dischi in italiano degli Afterhours. Si è convinto che si poteva lavorare bene e in maniera proficua, dando alle stampe qualcosa di estremamente interessante. Il lavoro si è sviluppato nell’arco di due pre-produzioni durante le quali si è parlato a fondo di arrangiamenti e suoni. Un lavoro preparatorio che è durato quasi sei mesi e che ha portato 'Traum' a diventare un disco a mio avviso profondo, destinato a durare nel tempo di chi lo ascolterà con attenzione. Xabier ci ha dato una nuova consapevolezza, nuove idee e un modo di lavorare differente rispetto a ciò che avevamo fatto in passato.

Provate a recensire ‘Lame In Soffitta’ e ‘Il Giardino Dei Segreti’ per i nostri lettori…
“Lame In Soffitta” parte inveendo contro un amore distrutto ma subito dopo si trasforma in una forma di autoaccusa per tutto ciò che è successo, pur mantenendo una sensazione di arringa ben precisa. E’ il brano più pop-oriented a livello di sonorità (qualcuno dice addirittura pseudo-ballabile) ma ha un arrangiamento tra i meno lineari in assoluto, quasi a contrasto con la facilità di ascolto. Ci trovo qualcosa di soffocante non solo nel testo, anche nelle chitarre. “Il Giardino Dei Segreti” è il secondo pezzo che parla d’amore. E’ in qualche modo collegato a “Lame In Soffitta”... Lì dentro c’è il disperato ed estremo tentativo di rimettere una relazione sui binari giusti, c’è la consapevolezza che il tempo ha minato le certezze e si sono fatti avanti i “rigori dell’amore”. Musicalmente è composto da tre fasi: una estremamente veloce e ritmica, una seconda quasi sospesa nel vuoto e una terza perfino liberatoria, ad indicare la via d’uscita. Dal punto di vista vocale è parecchio impegnativa, con degli incastri metrici non sempre automatici ma che sono indispensabili alla narrazione della vicenda.

Quali sono gli altri passaggi chiave dell’album?
‘In/Door’ e ‘Out/Door’ (il pezzo di apertura e di chiusura del disco) sono determinanti per la comprensione complessiva del disco. Musicalmente sono i pezzi più obliqui del disco, anomali per le sonorità. ‘In/Door’ è inquieta e nel passaggio finale rende l’idea di una persona che nasce, come se uscisse da un tunnel di dolore. ‘Out/door’ è la dipartita del corpo, la morte è simboleggiata da una tensione musicale perenne e da una simbologia molto accentuata. Una volta terminato il pezzo finale c’è una specie di “chiusura del cerchio” che dovrebbe riportare l’ascoltatore a ripartire da capo con ‘In/Door’.

Ci sono delle band in particolare con cui avete legato in questi anni oppure che ritenete davvero valide?
Moltissime. Con alcune di queste abbiamo suonato solo una volta ma c’è stima reciproca, anche a distanza. Con altre abbiamo rapporti più stretti e abbiamo suonato in più di un’occasione insieme. Faccio qualche nome: i milanesi ZiDima (capaci di gettare il cuore sul palco in tutte le occasioni), i bresciani Il Sistema di Mel (in costante crescita dal punto di vista artistico), i vicentini Vaio Aspis (divertenti, coinvolgenti, sempre pronti a suonare a tutto volume), i ferraresi Devocka (tra i migliori in assoluto in Italia nel loro ambito) e i veneziani Trompe Le Monde (giovani ma con un talento assoluto nel loro personale modo di intendere il math rock)

Chi si è occupato dell’artwork? Ha un significato specifico?
La copertina è stata scelta tra migliaia di fotografie e quindi acquistata. Ci è sembrata perfetta per legare il tema del disco alle sue sonorità oniriche e disturbanti. L’artwork è stato curato da me e da un amico fidato (Giuliano Soliman), mentre le foto del booklet sono di un fotografo molto in gamba (Emanuele Biava) che ci ha seguito fino a Torino, dove abbiamo realizzato una sessione fotografica all’interno di una casa molto particolare, pregna di storia e riferimenti architettonici. Ciascuno di noi è fotografato separatamente in una stanza che – a sua volta – rappresenta una stagione della vita legata al passato e al futuro. Il collegamento visivo è quindi immediato e diretto, volevamo che tutto fosse connesso.

Quali sono i vostri piani dal vivo per i prossimi mesi? Finora qual è stato il vostro migliore concerto?
Abbiamo tre/quattro mesi densi di concerti, poi ci aspetta l’estate dove speriamo di fare qualche Festival di una certa importanza. Suonare dal vivo è importante per noi e fortunatamente abbiamo una buona continuità. Mi ricordo di un concerto in particolare, di supporto agli A Toys Orchestra dove siamo andati particolarmente bene e dove alla fine ho gettato in aria persino le scarpe. Ma possiamo fare ancora di meglio…

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – -

MOVIDA



- – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - – - 

Traum è il secondo album della band bergamasco-bresciana de Il Vuoto Elettrico, composta da Paolo Topa, Davide Armanini, Giuseppe Ventagliò, Mauro Mazzola e Luciano Finazzi. Un concept album sulla vita, “su cosa siamo stati, cosa siamo e come saremo” , prodotto da Xabier Iriondo, storico chitarrista degli Afterhours. Abbiamo rivolto qualche domanda a Paolo, autore dei testi e cantante del gruppo.

Niente è come sembra è una delle prime battute di In Door, e viene da pensare lo stesso ascoltando il vostro nuovo album. Traum è sogno e trauma, è poesia e claustrofobia. Ci sono degli aspetti non immediati del vostro lavoro che volete raccontarci?

Dal punto di vista musicale ma anche e soprattutto testuale “Traum” è frutto di enormi sforzi. Considero l’intero disco come la simulazione di una seduta psicoanalitica, dove il passato e il futuro vengono “letti” con la prospettiva e lo sguardo del presente. C’è una sottile forma di distacco in quello che raccontiamo, una sorta di tendenza alla disillusione per le cose che sono accadute e che potranno accadere nel corso di qualsiasi esistenza, non solo della nostra.

Dopotutto sembra tutto un gioco, qui dentro. La vita guardata e osservata da una posizione “differente” è un esercizio che tutti noi potremmo e dovremmo compiere almeno ogni tanto, interpretando gli eventi che ci accadono come se questi si distaccassero dal nostro vissuto e non ci appartenessero.
Questo esercizio ci porterebbe a scoprire “cose” di noi stessi che forse non sapevamo di conoscere. Ma attenzione, fatto questo sforzo dovremo scendere a patti con questa nuova consapevolezza. La parte più difficile, senza dubbio.

L’immagine che avete scelto per la copertina è un edificio sospeso nell’acqua e consumato dal tempo, con tante finestre ma nessuna porta visibile. Ogni canzone una stanza, ogni stanza una stagione della vita. Forse è questo uno degli aspetti più “feroci” del vostro lavoro…

Quella casa, in fondo, non è altro che una trappola. Non ne ha le sembianze ma lo è senza dubbio. Il corridoio che la percorrere tagliandola in due (Corridoio_41) è il tempo presente, nel quale è impossibile sostare e dal quale è necessario fuggire, entrando nelle stanze del passato e del futuro della propria vita. Solo all’interno di queste è possibile  valutare con adeguato distacco quello che ci è accaduto e quello che presumiamo ci aspetti nel tempo che verrà. La parola “feroce” che utilizzi è piuttosto azzeccata, mentre sintetizzerei l’intera essenza delle liriche con due frasi, l’una riguardante il passato (“Li riconosci quei momenti perfetti? Oppure li vedi solo quando è il ricordo a mordere ogni istante?”) e una riguardante il futuro (“Ora ti guardi dal di fuori spettatore di un corpo, imbrigliato nella scena. Ma ora quella porta apre un sipario, un retropalco si dice”). Il succo sta tutto lì.

La collaborazione con Xabier Iriondo ha contribuito a rendere Traum un disco pieno di energia e di tensione. Avete in programma diverse serate in cui porterete in giro la vostra musica, ma dal vivo cosa dobbiamo aspettarci?

Musicalmente parlando il disco è un concentrato di tensioni elettriche, arrangiamenti a mio avviso audaci e soluzioni inesplorate. Parecchi gruppi hanno solo voglia di realizzare musica capace di  “acchiappare” l’ascoltatore al primo ascolto, aggredendo e alimentando in questo caso il mercato musicale del “mordi&fuggi”. Con Il Vuoto Elettrico occorre pazienza e ascolti reiterati, su questo non c’è dubbio. Procedere con “voce e batteria” per un paio di minuti non è una soluzione comoda, per esempio. Così come non lo è rifiutarsi di inserire la classica “ballatona indie” alla traccia n. 4 per arruffianarsi l’ennesimo ascoltatore distratto di Spotify. Dal vivo sarà la stessa cosa. Non aspettatevi che qualcuno dica “Ehi, perché non vi avvicinate un po’ di più al palco?” oppure “Su dai, alzate le mani…”. Sarà più facile – al contrario – che qualcuno senta il bisogno di porre una distanza tra sé e il gruppo e fare un passo indietro. Ma in fondo è quello che vogliamo.

Il Vuoto Elettrico: i ragionamenti esistenziali di “True Detective”

Ho visto le foto della lavorazione del vostro nuovo video “Un bagno di vita”, che avete definito di ispirazione Trainspotting. Quali altri film, libri, autori vi hanno ispirato durante la creazione di Traum?

No, in realtà “Trainspotting” è un termine che mi è venuto in mente guardando la tipologia di “bagno” nel quale mi sono immerso per alcune riprese (una vecchia vasca da bagno riempita di sabbia bagnata, piastrelle distrutte e tazza del cesso… ehm inquietante…). Se dovessi definire il video lo definirei invece post-industriale in quanto girato in una vecchia (ed enorme) acciaieria abbandonata. Per quanto riguarda le ispirazioni cinefilo/letterarie direi che “Shutter Island” di Scorsese, “The Game” di Fincher e “The Experiment” di Hirschbiegel sono i tre film sui quali si può puntare a colpo sicuro. Ma la serie televisiva che ha posto le basi di molti ragionamenti esistenziali è stata la prima stagione di “True Detective”: la citazione “Perché il tempo è un cerchio piatto” riportata in “Camera di specchi” proviene da lì ed è una delle chiavi interpretative dell’interno lavoro.

Paolo Topa, il Vuoto Elettrico

Siete oggettivamente una proposta musicale un po’ “diversa” rispetto all’attuale scena indipendente nostrana. Ci sono artisti emergenti che stimate e ascoltate, oltre ai grandi riferimenti del passato che si intuiscono ascoltando le vostre canzoni?

Ovviamente posso parlare per me stesso e restringo quello che ti dirò alle produzioni uscite negli ultimi sei mesi: Umberto Maria Giardini (e prima Moltheni) è un artista che apprezzo moltissimo, capace di distillare sentimento come nessun altro, oltre che di tenere sempre e comunque la “barra dritta”. E poi Le Luci della Centrale Elettrica con il nuovo disco si dimostra, nonostante tutto, di una caratura superiore per inventiva e capacità di toccare le corde giuste.

Infine lasciami segnalare il reading di Emanuel Carnevali portato in scena e su disco dalla coppia Clementi-Nuccini con “Notturno Americano”: un lavoro davvero importante ed evocativo.

Tra i cosiddetti “gruppi emergenti” voglio citare i bergamaschi Moostroo e i fiorentini  NoN capaci entrambi di un secondo album sorprendente per la qualità della scrittura. E contro ogni pronostico dichiaro ufficialmente che Il Teatro degli Orrori non è per nulla nel novero dei miei gruppi preferiti, anche se tutti fino a a oggi lo avranno pensato…