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press-reviews "Buona Sopravvivenza"

 

bandiera_italia   ROCKIT

La tranquillità impossibile, l’ossidata quiete che non si trova più, persa tra anni e anni di guerre che hanno lasciato soltanto schiere di sconfitti e mercenari allo sbando. Le sensazioni che questo disco produce, la sintesi delle sensazioni, è data inevitabilmente dalla sottrazione emotiva di ogni tipo di conquista, dalla lucida comprensione che l’assenza è il risultato di tutte le battaglie, e alla fine poteva anche andarci peggio. Un montare noise e infiniti tramonti di chitarre distorte dove la voce si inserisce per raccontare, recitare, invocare con la gola e col fiato e i denti, un panorama che ricorda quello visto decadi fa, certi Marlene, certi Massimo Volume, nei novanta di disillusione e rabbia, nei novanta senza idoli e culti ma con la voglia estrema di rompere il silenzio. I testi hanno la cura necessaria, cesellati e vivi tanto che le parole sembrano spuntare tra i suoni come mani che stringono forte per non farti cadere, e le trame si infittiscono di colori scuri, strappati, ingoiati dal buio: e quant’è bella e dolorosa “Un Oceano di Fiati Distrutti”, quanto distante il fiorire amoroso mentre scorre “Trema Carne Mia Debole”, come precipita “Sette Sassi” che pare tu che cammini nella pioggia e non ti volti, mai. “Saziati” ispira ferrea disciplina, accompagnata da una voce femminile che sottolinea e marca, “Come Farvi Lentamente a Pezzi” è la tua presa ruvida e la mia ossuta resa, “Buona Sopravvivenza” chiude strumentale e incita alla distruzione di ciò che è restato, quel quasi niente a cui ti aggrappi inutile. Una prova convincente e un tappeto che copre ogni angolo, che non lascia spazi vuoti o privi di sfumature: è tutto colmo nella sua asciuttezza, tutto vivo nei suoi densi presagi di una fine, totale e limpido nel temporale che ostacola ogni via di fuga. Un buon disco.

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bandiera_italia   ONDA ROCK 

A sei anni dal precedente “Cobardes” tornano gli Zidima, quartetto lombardo di alternative- rock composto da Manuel Cristiano Rastaldi (voce e parole), Roberto Magnaghi (chitarre), Cosimo Porcino (basso) e Francesco Borrelli (batteria). Subito dal primo ascolto risulta preponderante la vicinanza con il sound dei Massimo Volume, quell’astuto mix di dissonanze, post-rock e versi declamati, in grado di far sanguinare qualsiasi cuore. E’ un immersione nel bel mezzo degli anni 90, ma senza derive nostalgiche. Sin dall’iniziale “Un oceano di fiati distrutti” (ma altrettanto in “Trema, carne mia debole” e “Sette sassi”) è evidente la prossimità con la band di Emidio Clementi, fra chitarre dissonanti e versi scagliati con grandissima intensità verso l’ascoltatore, con un flusso emozionale che emerge a fior di pelle. Fra le pieghe del disco emergono chiari riferimenti anche al suono dei Marlene Kuntz (“Inerti, comodi e vermi”, “L’autodistruzione”) destando impressione la grande capacità di replicare atteggiamenti sia musicali che testuali del decennio d’oro del rock indipendente italiano. In “Saziati” l’efficace voce femminile è di Miriam Cossar ed il synth è suonato da Stefano Giovannardi. Le seconde chitarre nella devastante strumentale title track sono di Francesco Borrelli

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bandiera_italia  STORIA DELLA MUSICA

Zi’ Dima è il nome dell’orgoglioso e sfacciato artigiano che aggiusta la giara di don Lolò nell’omonima commedia di Luigi Pirandello, una novella che, nella sua inestricabile circolarità, racchiude tutto l’universo pirandelliano. Quattro (non più) giovani musicisti milanesi hanno eletto Zi’ Dima a nome proprio, regalando nuova vita a uno dei personaggi più divertenti e puntigliosi della letteratura italiana. Il disco che ci propongono è, d’altro canto, in piena sincronia coi tempi che corrono, tanto che il suo titolo è un invito, “Buona sopravvivenza”. Dunque non più «buona vita» – come dicevano gli ottimisti – perché oggi l’esistenza è una parvenza e non rimane che barcamenarsi nella fiera del futile, in questo sfoggio di ovvietà, in così poca e demente umanità. Restare a galla, ecco, questo sarebbe un buon risultato.

Gli ZiDima son formati da Manuel Cristiano Rastaldi alla voce, Roberto Magnaghi alle chitarre, Cosimo Porcino al basso e Francesco Borrelli alla batteria. Tanto vale dirlo subito: se vi piacciono i Massimo Volume vi piacerà anche “Buona sopravvivenza”. Detto questo, cerchiamo di capire quali sono le peculiarità sonore di questo disco bello e adirato. Innanzitutto gli ZiDima percuotono gli strumenti come panni su una tavola per il bucato: il loro sound è percussivo e molto, ma molto, rock. È come se Emidio Clementi scrivesse musica per i Linea 77, ma qui parliamo di una band con un’anima e una personalità molto spiccate, che a stento apprezzerebbe questi giochetti da critico. Dal punto di vista autorale è ancora valido lo slogan ferrettiano del “Produci consuma crepa”, con la differenza che oggi è finito pure quel sarcasmo che lo contraddistingueva per lasciare spazio a uno sconfinato e desolante squallore. Della politica, della civiltà occidentale, dell’uomo. Il brano che a mio avviso racchiude l’intero programma degli ZiDima è “Trema carne mia debole”, una formula che può ampiamente sostituire quella dei CCCP; pure cantano ne “L’autodistruzione”: «Un delirio, / un fastidio, / una vita più tragica». Ditemi voi se questo non è la perfetta convocazione a un harakiri da terzo millennio!

Gli ZiDima puntano il dito, sono rudi come questi anni infami, ruvidi pure nel cantare l’amore allorquando, in “Sette sassi”, urlano: «Avrei dovuto imparare la differenza / tra scoparti forte e scoparti bene». Nel rock degli ZiDima vi sono anche preghiere alla Verdena (“Saziati”), germi di Afterhours (“Come farvi lentamente a pezzi”) e spore di Marlene Kuntz (“Un oceano di fiati distrutti”). Praticamente mandano a puttane il mondo per rabbia, ma non senza riflessione, tant’è che in “Inerti, comodi e vermi” non fanno che attualizzare il motto gramsciano «Odio gli indifferenti». “Buona sopravvivenza” è diventato a questo punto un disco di inni e slogan, senza intenzione alcuna di porsi su un piedistallo. È il rock stesso che obbliga i nostri a diventare pastori d’un gregge di pecoroni, e nella title-track vale fino all’inverosimile l’«Odio i vivi» di Edda.

Sento già i puristi imprecare contro quest’opera: perché proporre un disco che, nelle strutture e nei temi, rincorre i più eloquenti Massimo Volume? Rispondo io. Innanzitutto tracciare una via non significa averne il diritto esclusivo al transito. E poi, dopo aver sentito: «Siamo già sopravvissuti a noi stessi, / ai finali consolatori, / ai morsi dati e presi / per non sentirci innocui», lo capite che gli ZiDima ce l’hanno proprio con chi ha fatto diventare iene anche i pecoroni?

Zi’ Dima è il nome dell’orgoglioso e sfacciato artigiano che aggiusta la giara di don Lolò nell’omonima commedia di Luigi Pirandello, una novella che, nella sua inestricabile circolarità, racchiude tutto l’universo pirandelliano. Quattro (non più) giovani musicisti milanesi hanno eletto Zi’ Dima a nome proprio, regalando nuova vita a uno dei personaggi più divertenti e puntigliosi della letteratura italiana. Il disco che ci propongono è, d’altro canto, in piena sincronia coi tempi che corrono, tanto che il suo titolo è un invito, “Buona sopravvivenza”. Dunque non più «buona vita» – come dicevano gli ottimisti – perché oggi l’esistenza è una parvenza e non rimane che barcamenarsi nella fiera del futile, in questo sfoggio di ovvietà, in così poca e demente umanità. Restare a galla, ecco, questo sarebbe un buon risultato. Gli ZiDima son formati da Manuel Cristiano Rastaldi alla voce, Roberto Magnaghi alle chitarre, Cosimo Porcino al basso e Francesco Borrelli alla batteria. Tanto vale dirlo subito: se vi piacciono i Massimo Volume vi piacerà anche “Buona sopravvivenza”. Detto questo, cerchiamo di capire quali sono le peculiarità sonore di questo disco bello e adirato. Innanzitutto gli ZiDima percuotono gli strumenti come panni su una tavola per il bucato: il loro sound è percussivo e molto, ma molto, rock. È come se Emidio Clementi scrivesse musica per i Linea 77, ma qui parliamo di una band con un’anima e una personalità molto spiccate, che a stento apprezzerebbe questi giochetti da critico. Dal punto di vista autorale è ancora valido lo slogan ferrettiano del “Produci consuma crepa”, con la differenza che oggi è finito pure quel sarcasmo che lo contraddistingueva per lasciare spazio a uno sconfinato e desolante squallore. Della politica, della civiltà occidentale, dell’uomo. Il brano che a mio avviso racchiude l’intero programma degli ZiDima è “Trema carne mia debole”, una formula che può ampiamente sostituire quella dei CCCP; pure cantano ne “L’autodistruzione”: «Un delirio, / un fastidio, / una vita più tragica». Ditemi voi se questo non è la perfetta convocazione a un harakiri da terzo millennio! Gli ZiDima puntano il dito, sono rudi come questi anni infami, ruvidi pure nel cantare l’amore allorquando, in “Sette sassi”, urlano: «Avrei dovuto imparare la differenza / tra scoparti forte e scoparti bene». Nel rock degli ZiDima vi sono anche preghiere alla Verdena (“Saziati”), germi di Afterhours (“Come farvi lentamente a pezzi”) e spore di Marlene Kuntz (“Un oceano di fiati distrutti”). Praticamente mandano a puttane il mondo per rabbia, ma non senza riflessione, tant’è che in “Inerti, comodi e vermi” non fanno che attualizzare il motto gramsciano «Odio gli indifferenti». “Buona sopravvivenza” è diventato a questo punto un disco di inni e slogan, senza intenzione alcuna di porsi su un piedistallo. È il rock stesso che obbliga i nostri a diventare pastori d’un gregge di pecoroni, e nella title-track vale fino all’inverosimile l’«Odio i vivi» di Edda. Sento già i puristi imprecare contro quest’opera: perché proporre un disco che, nelle strutture e nei temi, rincorre i più eloquenti Massimo Volume? Rispondo io. Innanzitutto tracciare una via non significa averne il diritto esclusivo al transito. E poi, dopo aver sentito: «Siamo già sopravvissuti a noi stessi, / ai finali consolatori, / ai morsi dati e presi / per non sentirci innocui», lo capite che gli ZiDima ce l’hanno proprio con chi ha fatto diventare iene anche i pecoroni?

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bandiera_italia  THE NEW NOISE

Altro recupero dal 2015, altro disco perso in una rete sempre troppo affollata e che sarebbe un peccato non menzionare, non tanto perché in grado di stravolgere le sorti di qualche genere, quanto per la sua capacità di traghettare nell’oggi ciò che di buono uscito dalle nostri parti nell’ultima decade dello scorso millennio. Se da una parte Buona Sopravvivenza non può che richiamare alla mente alcuni dei nomi di punta della scena alternative/noise nazionale degli anni Novanta, dall’altra va ad affondare le mani in certo postcore del nuovo millennio che ha transitato per la cosiddetta diy conspiracy e ne ha segnato l’ala più contaminata. Così, tra richiami e giochi di scatole cinesi, gli ZiDima finiscono per costruire una propria strada personale in cui suoni espansi e sferzate di energia si danno il cambio nel fornire la base a un cantato/recitato, mai troppo impostato, che si dimostra la soluzione ottimale per lasciar emergere testi in cui le parole appaiono frutto di una scelta meticolosa e sempre ben ponderata. Proprio la cura per i particolari e l’attenzione riposta nel costruire le proprie traiettorie sonore (vedi ad esempio le infiltrazioni trip-hop di “Saziati”) riescono a fare la differenza con tanti dischi similari e staccano questo Buona Sopravvivenza dalla moltitudine di inconsolabili nostalgici degli anni Novanta, motivo principale di questo ripescaggio fuori tempo massimo. Unica pecca, ereditata dai propri punti di riferimento, è il rischio di tracimare nell’autocompiacimento e nel narcisismo, pericolo per ora scampato dagli ZiDima grazie a un buon equilibrio e a un approccio quasi in punta di piedi nel gestire la propria indole teatrale. Insomma il Nick Cave de noantri per ora è distante, ma non si deve abbassare la guardia.

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bandiera_italia   ROCKAMBULA

I milanesi ZiDima sono un ciclone musicale che ha iniziato a calcare i palchi dalla fine degli anni 90. Dopo una vita passata tra autoproduzioni , i frutti del sacrificio sono stati raccolti nel 2009 col disco Cobardes uscito in occasione del processo d’appello per i fatti violenti della scuola Diaz nel corso del G8 del 2001. Da lì parte l’ascesa. Tappa fondamentale è il 2013 quando incidono “Come Farvi Lentamente A Pezzi”, singolo che accompagna la mostra “Muri Stracciati” di Silvano Belloni al Palazzo del Moro di Mortara e che farà parte delle nove tracce del nuovissimo album Buona Sopravvivenza. Con premesse così altisonanti è quasi d’obbligo attenderci lo scalino successivo per proseguire la scalata. La tesa “Un Oceano Di Fiati Distrutti” ce li fa accostare istantaneamente  ai Ruggine, ai The Death Of Anna Karina, ai Lantern, a quella corrente Post-Hardcore italiana che tanto bene sta facendo da diversi anni a questa parte. Le liriche spesse di tormento e intimistiche ci parlano da uno scenario alienante, dove comanda una tensione priva di ritegno. L’urticante “Inerti, Comodi E Vermi” è veloce come un sorso d’acido. La placida apparenza di “Trema Carne Mia Debole” nasconde in realtà una pantomima il cui punto focale è il conflitto interiore, recitata dall’ugola sibilante di Manuel. Il gioco si ripete e alla verdeniana “L’Autodistruzione” si contrappone la pacatezza di “Sette Sassi”, che si velocizza come una tormenta in mare aperto e lo fa senza avvertire, a pieno regime. Affrontare una tematica come l’amore non è mai una cosa scontata per la band: “Saziati”, che vede tra l’altro la partecipazione di Stefano Giovannardi ai synth e di Miriam Cossar alla voce, incorpora uno zenit fazioso privo di lucentezza dove anche un sentimento positivo si tramuta in un qualcosa di sulfureo. Buona Sopravvivenza mantiene le promesse fatte toccando la sfera personale di ognuno di noi con mani ruvide come carta vetrata. E nonostante questo dà un senso di piacere. A me e a voi che li ascolterete.

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bandiera_italia   ROCK GARAGE

Il nuovo album degli ZiDima è un lavoro tradizionalmente lacerante, poeticamente energetico e familiarmente spiazzante. Non è un gioco di parole: in poco più di mezz’ora mette in piedi uno spettacolo teatrale profondamente rock, in cui le spoken word si alternano a testi urlanti in classico stile rock/nu metal sotto un profilo compositivo originale ma che allo stesso tempo richiama un certo modo di concepire il rock (rivoluzionario?!) degli anni ’90. In pratica, come avete notato, tutti termini che si contraddicono a vicenda, ma forse è proprio questa l’arma letale del quartetto che piazza delle tracce convincenti, senza strafare eppure mostrando i denti. L’opener ci getta a capofitto nel rock alternativo degli anni ’90 richiamando band come Afterhours e Linea 77 mentre con la successiva Inerti, Comodi E Vermi aleggiano i fantasmi di un Giovanni Lindo Ferretti ispirato nella sua battaglia contro la razza umana (quindi pre-conversione) ma non si stratta del loro tratto distintivo per eccellenza. È nei primi secondi di L’Autodistruzione che sentiamo l’odore delle inebrianti influenze grunge che gli ZiDima hanno per anni assorbito e le chitarre (di quelle più energiche) targate Smasing Pumpkins fanno breccia nei cuori degli appassionati. Ma abbandonate l’idea che non ci sia qualcosa di personale, perché questo lavoro dimostra una personalità e un’attitudine tutt’altro che da band emergente; non ci sono strutture sonore che tengano, né tentativi di suonare come qualcuno, perché gli ZiDima vogliono essere autentici proponendo un rock senza mezze misure e che arriva fin dal primo ascolto. Testi più introspettivi compaiono in Sette Sassi, un brano emotivamente molto forte, in cui la sei corde cede il passo a basso e arrangiamenti collocati per porre enfasi sulle liriche mentre la sezione ritmica, stoppata, irrompe in Saziati, un brano che spacca senza fraintendimenti. L’album si chiude con la titletrack che è un pezzo strumentale (coraggiosa la scelta!) e che esalta l’energia che questa formazione è in grado di offrire: vengono fuori tutte le loro capacità compositive e nonostante i 6 minuti e passa il brano tiene incollata l’attenzione in modo pregevole. Buona Sopravvivenza è un album forte, per chi ha sete di rock ed è un po’ stanco delle band medie che continuano a scimmiottare i grandi nomi del passato. Originali, arroganti, insaziabili gli ZiDima.

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bandiera_italia   ROCK SHOCK

Che gli ZiDima fossero una band con qualche anno alle spalle, si capisce al primo ascolto: quel rock che ha trovato l’apice nei gruppi ‘indie’ anni ’90 e che poi in un certo senso si è perso (in qualcuno di più, in qualcuno di meno) per strada dietro a sperimentazioni avanguardistiche. Si sente che le loro radici affondano in quel sottobosco musical-culturale che ha dato nuova linfa al nostro paese. Solo che loro quel finire di secolo se lo sono portati dietro anche nel nuovo millennio e continuano a percorrere la stessa strada, duri e puri. Cambiano formazione di continuo, pubblicano qualche disco e si dedicano a un’intensa attività live. Buona sopravvivenza è il loro secondo lavoro in studio, un rock grintoso, semplice ma non per questo banale, nel quale trovano spazio le sonorità di un’epoca che non c’è più. Il grunge, il post-rock e una punta di hardcore si fanno strada tra i testi di queste canzoni, intensi e profondi come da un po’ ormai non ci capita di sentire. Il cantato in bilico tra melodia e recitazione, urlato e sapientemente trattenuto, crea attesa ed emozione, accelera e dilata le atmosfere per concedere all’ascoltatore una pausa di riflessione. Sono molti i rimandi a cui è facile accostarli, tutti rigorosamente contestualizzati nell’ultimo decennio del ‘900: c’è la rabbia degli Afterhours (Inerti, comodi e vermi), i testi di matrice CCCP/CSI nelle parole di Ferretti (L’autodistruzione), il cantato à la Emidio Clementi, la voce di Godano e lo stile interpretativo dei Marlene Kuntz (Yogurt). Ma benché siano tutto questo, gli ZiDima sono anche altro, non dei semplici replicanti privi di originalità. Hanno ascoltato, e tanto, e alla fine hanno fatto loro tutte le caratteristiche più interessanti di un’epoca, con quel pizzico di personalità che li fa risultare – fortunatamente! – credibili. Sembra strano ascoltare oggi un album del genere, capace comunque di suonare attuale senza essere necessariamente nostalgico o celebrativo. I milanesi ZiDima hanno dalla loro l’esperienza e la volontà (o forse necessità) di staccarsi dalle tendenze del momento portando avanti un progetto e delle sonorità che in Italia ultimamente si fa fatica a trovare. La loro onestà di intenti conquisterà anche i più giovani.

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bandiera_italia   SHIVER

Quando ho letto che la band che dovevo recensire si chiamava ZiDima non avevo realizzato il suo significato da subito. Poi l’illuminazione: Zì Dima, cavolo, La Giara di Pirandello! Senz’altro il nome (e anche l’artwork se vogliamo dirla tutta) promettono già benissimo. Gli ZiDima sono di Milano ed hanno quel sound tagliente che è un crocevia tra l’alternative rock italiano à la Massimo Volume ed il post-rock/post-metal. Insomma, non si va oltre il 2000 nelle loro sonorità, e per ciò che suonano tutto ciò è ottimo. Buona Sopravvivenza inizia con “Un Oceano Di Fiati Distrutti”, una opening che esplode subito dopo la tranquilla introduzione accentata fortemente dal basso melodioso di Cosimo Porcino, il quale si distinguerà egregiamente per tutto il corso del disco con ottime linee e bei suoni. Ne è un’altra prova il groove della seguente traccia “Inerti, Comodi E Vermi”, la quale strizza molto l’occhio a quell’ormai ventunenne “Catartica” firmato Marlene Kuntz; Trema mia carne debole calma le acque, che si tramutano poi in uno tsunami con “L’Autodistruzione”, la quale ricorda vagamente gli Stone Temple Pilots, e con “Sette Sassi”, la quale contiene sicuramente il più forte slogan dell’intero disco: “Avremmo dovuto imparare la differenza tra suonare forte e suonare bene”. Dopo i due episodi leggermente meno entusiasmanti di “Yogurt” e “Saziati”, l’album chiude con le due mine “Come Farvi Lentamente A Pezzi e Buona Sopravvivenza”, una strumentale dalle sonorità assimilabili ai Tool ed ai God Is An Astronaut. E non è poco. Gli ZiDima si barcamenano nel sottosuolo musicale italiano dal 1999, questo è il loro secondo album, uscito dopo il primo Cobardes. Se si fossero trovati un po’ più a nord dell’Europa probabilmente a quest’ora starebbero ad aprire concerti importanti e a spostare la gente in prima fila con il loro muro di suono.

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bandiera_italia  KATHODIK

Se a vedere una vecchia camicia di flanella vi viene la lacrimuccia, perché da quando vi siete sposati vostra moglie ve le ha relegate in garage dopo avervi detto di non essere più dei ragazzini coi capelli lunghi e che gli adulti si devono vestire a modo, allora non dovete più consolarvi ascoltando di nascosto ‘Badmotorfinger’ dei Soundgarden, perché direttamente da quella landa nebbiosa e piena di smog che chiamano Lombardia, arrivano gli Zidima, che non è il nome di un farmaco in compresse ma un personaggio pirandelliano, con il loro nuovo lavoro ‘Buona Sopravvivenza’. Il disco nel suono e nelle liriche è un vero e proprio amarcord degli anni novanta, disincanto, tormento, rabbia, dolore, dissonanze, distorsioni… Insomma, i clichè ci sono tutti. Ed il bello è che tutto funziona alla grande; ad un fugace ascolto potrebbe sembrare una pallida operazione nostalgia, ma più si passa il tempo col disco nello stereo più lo si apprezza, perché i ragazzi sembrano del tutto onesti, mettono semplicemente in scena quello che hanno dentro e lo dicono forte, in maniera sentita, emotiva, e forse il sound grungettone che pervade il disco non poteva che essere una scelta obbligata per questo sentire sensibile e tormentato. Inutile dire che nelle canzoni troviamo facilmente echi nostrani (Massimo Volume, Marlene Kuntz e Afterhours), ma ci sono anche richiami a band d’oltre oceano che degli anni ’90 hanno fatto la storia, come in ‘L’Autodistruzione’, che è un perfetto collage tra Smashing Pumpkins e Stone Temple Pilots. Notevole la traccia di chiusura in stile Tool. Che dire? Viva gli anni ’90 e buon ascolto.

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bandiera_italia  SON OF MARKETING

Le nove tracce ‘percorrono’ una narrativa attraversata da una tensione caratterizzata da un notevole controllo e da una ruviditàche esalta la parola e l’aspetto intimo della composizione. - See more at: http://www.sonofmarketing.it/missing-tracks-zidima-buona-sopravvivenza/#sthash.oUQLLK62.JxX7yl0z.dpuf

Le nove tracce ‘percorrono’ una narrativa attraversata da una tensione caratterizzata da un notevole controllo e da una ruviditàche esalta la parola e l’aspetto intimo della composizione.

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bandiera_italia  MICROCOSMO

Le occasioni cadono ad un ritmo tutto loro, libero da leggi e numeri. Sarebbe facile altrimenti e mica si può pretendere di avere il controllo anche sulla casualità del nostro stupore, o della nostra fine. Che poi si sa, avviene sempre di lunedì. E nell’attesa che arrivi quell’attimo di salvezza, di rivalsa verso il tempo, non si può fare altro che sopravvivere. Allora tanti auguri, sono sempre consolatori in situazioni come qu Insomma, Buona sopravvivenza come direbbero gli ZiDima nel loro ultimo lavoro. Questa volta le voci non provengono da una giara riparata da poco, ma da dodici canzoni di una bellezza rara, un po’ nostalgica. E non ci sono i punti a tenere insieme i cocci, solo parole. Dal primo ascolto si intuisce che si ha di fronte un album in grado di rapire nell’immediato. La band dal nome pirandelliano propone un noise/post-rock maturo, che non si incontra così facilmente. Le sonorità sono vissute al punto che riuscirebbero a parlare da sole, anche senza la componente lirica. Il mood del lavoro viene trasmesso attraverso le note e grazie a ciò il tutto assume un taglio particolare, profondo. A completare il quadro vi sono i testi, intrisi di una poetica devastante. Le immagini evocate sono intense, palpabili e dotate di una forza spiazzante, in grado di far vibrare dentro. La voce si esprime in quei versi che raccontano di lacrime, di carne e di morsi. Ogni canzone è come una stagione d’autunno, sempre in una caduta malinconica ed inevitabile. Ogni canzone è un punto di sutura per quella giara, anche mentre rotola via. Se vivere sembra difficile in certe situazioni, tanto vale provare a sopravvivere con tutti i mezzi concessi. Ne parlavo giusto l’altra sera con un mio amico. In fondo, cosa vuoi che sia un uragano negli occhi?

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bandiera_italia   SUFFISSO CORE

In rete leggo accesi paragoni con Massimo Volume e Marlene Kuntz e mi chiedo come si possa sempre e soltanto finire per catalogare una giovane band prima ancora di ascoltarla a fondo o vederla dal vivo. Gli autori di ‘Cobardes ‘ si sono presi cinque anni per riaffacciarsi sul mercato, hanno acquisito le dovute esperienze e cercato di compiere progressi sia in fase di songwriting che di produzione. Direi che ci sono pienamente riusciti. ‘Buona Sopravvivenza’ si rivela innanzitutto un disco originale, fin dalla copertina fumettata, e anche se contiene parecchi retaggi degli anni novanta sa ritagliarsi uno spazio speciale nella scena alternativa italiana. ‘Un Oceano Di Fiati Distrutti’ inaugura una scaletta che non presenta cali di tensione evidenti e puo’ vantare almeno tre pezzi di grande impatto come ‘Inerti, Comodi E Vermi’, ‘Sette Sassi’ e ‘Come Farvi Lentamente A Pezzi’. ‘Saziati’ vede invece la presenza di Stefano Giovannardi al synth e Miriam Cossar alla voce e, insieme a ‘L'autodistruzione’, serve a variare un po’ il contenuto generale. “Avremmo dovuto imparare la differenza tra suonare forte e suonare bene” affermano gli ZiDima. Per il sottoscritto sono eccellenti in entrambi gli aspetti.

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bandiera_italia   HARDSOUNDS

I Zidima sono un combo milanese che esiste, tra ozio, astio (come piace dire a loro) e cambi di line up da oltre tre lustri, e del quale molti di voi non avranno mai sentito parlare (questo non depone a vostro favore, come non depone a favore del sottoscritto non averli conosciuti prima), fautori di una manciata di produzioni di noise rock di grande impatto e del tutto italiano che vede i Marlene Kuntz del periodo ‘Catartica’ – ‘Il Vile’ come fonte di ispirazione sia musicale che dei testi. Testi duri, diretti, che impressionano e calamitano per eloquio e veemenza; si conficcano nella corteccia cerebrale e ci si ritrova a canticchiarli continuamente (‘avremmo dovuto imparare la differenza tra suonare forte e suonare bene – avrei dovuto imparare la differenza tra scoparti forte e scoparti bene’, da “Sette Sassi” – ‘Saziati, vedrai che domani anche noi troveremo la nostra occasione per sbranarci amore’ da “Saziati”). Chitarre che partono placide al limite del post rock “Un Oceano di Fiati Distrutti” e “Trema Mia Carne Debole” ci mettono poco ad innervosirsi, tra dissonanze e distorsioni perfettamente supportate da una sezione ritmica dirompente che picchia sempre più quando le liriche denunciano i fatti con un enfasi tale da amplificarne il messaggio. Sonorità già sentite ma quando veicolate con tale enfasi e trasporto non stancano mai. - See more at: http://www.hardsounds.it/recensiones/11349#sthash.A0i5QjqX.dpuf

I Zidima sono un combo milanese che esiste, tra ozio, astio (come piace dire a loro) e cambi di line up da oltre tre lustri, e del quale molti di voi non avranno mai sentito parlare (questo non depone a vostro favore, come non depone a favore del sottoscritto non averli conosciuti prima), fautori di una manciata di produzioni di noise rock di grande impatto e del tutto italiano che vede i Marlene Kuntz del periodo ‘Catartica’ – ‘Il Vile’ come fonte di ispirazione sia musicale che dei testi. Testi duri, diretti, che impressionano e calamitano per eloquio e veemenza; si conficcano nella corteccia cerebrale e ci si ritrova a canticchiarli continuamente (‘avremmo dovuto imparare la differenza tra suonare forte e suonare bene – avrei dovuto imparare la differenza tra scoparti forte e scoparti bene’, da “Sette Sassi” – ‘Saziati, vedrai che domani anche noi troveremo la nostra occasione per sbranarci amore’ da “Saziati”). Chitarre che partono placide al limite del post rock “Un Oceano di Fiati Distrutti” e “Trema Mia Carne Debole” ci mettono poco ad innervosirsi, tra dissonanze e distorsioni perfettamente supportate da una sezione ritmica dirompente che picchia sempre più quando le liriche denunciano i fatti con un enfasi tale da amplificarne il messaggio. Sonorità già sentite ma quando veicolate con tale enfasi e trasporto non stancano mai

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bandiera_italia  MUSIC ON TNT

Dopo una vita artistica in stop and go, acuti espressivi e arguzie sonore, tornano i Zidima, talentuoso quartetto alternativo dalle strutture sonore distorte e scomode, interposte tra impronte ferrittiane e andamenti Marlene. Il disco, sostenuto da Nelmionome dischi, Dischi del Minollo e Rumore in cantina Records, sembra voler dare voce a strutture espressive vive e al contempo anomale, in grado di regalare una nuova espressività ai venti perduti di un'arte priva di inutili compromessi, mostrandosi limpida nel suo non voler apparire differente da come si presenta. Il passo iniziatico del disco (Un oceano di fiati distrutti)si articola come un lieve e sollevato polverio underground, caratterizzato da un ridondante e minimale incipit, trampolino di lancio distorto al servizio di un'anima non troppo discosta dalle spigolosità di Cristiano Godano. Il brano, infatti, sembra dare uno sguardo al miglior alternative italiano anni ‘90, in cui proprio i Marlene di Katartica rappresentavano un apice espressivo posto tra l’arte visionaria e ritmiche noise, qui riprese dai Zidima con ottimi risultati. L'anima cupa dell’ensemble si riscopre tra le impostazioni post-punk di Inerti, comodi e vermi, in cui Cosimo Porcino e Francesco Borrelli definiscono il battente pattern emotivo che si sbriciola con l'osservativa Trema carne mia debole. L'impostazione in spoken word si apre ad echi e riverberi intrecciati a trame d’angoscia descrittive ed animosità decadentista, mentre il sound si semplifica poi nell’incisiva Autodistruzione. Dal magma abbagliante, si giunge ad aperture easy e groove taglienti, che si confermano tra le pieghe di Sette sassi prima e Come farvi lentamente a pezzi dopo. Se poi Yogurt non trova la propria quadratura, la band si ritrova velocemente tra il calore della bass line di Saziati, esposizione diluita di un post rock carico di cromatismi noise, che porta la band vicino all’esteso mondo degli Explosions In The Sky. Un disco, dunque che avete il dovere morale di ascoltare, soprattutto se riuscirete ad uscire da inevitabili parallelismi stilistici, perché gli Zidima riescono a raccontare con stile e qualità un mondo vero e privo di filtri.

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bandiera_italia   IMPATTO SONORO

Se ascoltiamo Buona sopravvivenza senza saperne nulla, possiamo pensare che si tratti di un disco, ingiustamente sconosciuto, che è uscito una ventina d’anni fa. Siamo nel pieno degli anni novanta, quando si fanno i conti con il cosiddetto grunge che si è spento, con le evoluzioni del noise e dell’hardcore, con l’affermarsi del post-rock. Gli ZiDima sono tutto questo, lo sono da oltre quindici anni, ma è solamente oggi che forse hanno trovato la definitiva quadratura del cerchio. Un oceano di fiati distrutti apre l’album e segna quella che è l’aspetto più riuscito di questo lavoro: testi ricercati e importanti, figli di una rielaborata eredità ferrettiana, tempi dilatati ed esplosioni al momento giusto, con una perfetta alternanza forte-piano. Qualcosa dei primi Marlene, e molto dei Fluxus, soprattutto nel cantato. I brani più riusciti sono quelli nei quali gli ZiDima riescono ad avere più spazio per mostrare la propria impronta – Un oceano di fiati distrutti, come detto, ma anche Trema carne mia debole e Sette sassi– con un’abile gestione della tensione, modulando dilatazioni e fragori, melodia e scariche elettriche, sussurri e urla. Funziona anche il cantato/recitato un po’ à la Clementi di Come farvi lentamente a pezzi; funziona, a mo’ di stacco, la scelta una voce femminile in Saziati; ed è un giusto epilogo un brano totalmente strumentale come la titletrack (richiami ai Mogwai più inquieti). A convincere un po’ meno sono i brani più compressi, più brevi e con meno spazio per far emergere la propria cifra. A volte viene in soccorso l’efficacia dei testi (Inerti, comodi e vermi), mentre L’autodistruzione suona un po’ debole, troppo connotata: scivola via senza lasciare il segno. Buona sopravvivenza suona familiare, senza essere già sentito, ha il coraggio di porsi fuori dalle mode del momento (nel bene e nel male) e di farsi carico in chiave del tutto personale un passato vissuto, metabolizzato e reinterpretato.

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bandiera_italia  EXTRA MUSIC MAGAZINE

”Buona Sopravvivenza”, titolo drammatico e suggestivo. È degli ZiDima, trio che sfrutta un sound duro (Inetti, Comodi Vermi) a cui si applicano il canto in stile Emidio Clementi (Un Oceano Di Fiati Distrutti) per approdare a ballate dal crescendo pirotecnico.
Gli ZiDima s(u)on(an)o anni novanta sfruttando svisate noise e atteggiamento post hardcore. I testi sono ricercati e pungenti, vicini al modus operandi folle e visionario che fu di Giovanni Lindo Ferretti. Allo stesso modo dell’universo, la band si espande e contrae dilatandosi al suo interno attraverso esplosioni e rallentamenti. La lezione è quella dei Fluxus, Sette Sassi, e dei Marlene in Trema Carne Mia Debole.
Abili strateghi della tensione, gestiscono con estrema cura e padronanza dei mezzi il limite massimo della dilatazione senza cadere nella ridondanza. Sono capaci di azionare le ghiandole secernenti adrenalina mentre producono fragori che fanno sussultare. Forse in alcuni passaggi possono perdere un po’ di terreno. L’Autodistruzione non è del tutto a fuoco, attacca senza ferire, ma recuperano velocemente la giusta via. Il canto alterna voce maschile e femminile (Saziati) e repentini cambi di mood da brividi su per la schiena.
“Buona Sopravvivenza” è come una persona che non ricordi ma sai di conoscere, ti sembra familiare, ti fidi a istinto. L’aspetto burbero, il modo di porsi deciso ma non minaccioso, la capacità di calarsi nuovamente in un genere musicale non più in voga, e infine il sound roccioso sono le carte per un poker vincente.
Rischiano e vincono portando a casa un risultato ampiamente positivo, ben al di sopra delle più rosee aspettative. - See more at: http://www.xtm.it/DettaglioMusicAffairs.aspx?ID=16696#sthash.aGK2xY9p.dpuf

”Buona Sopravvivenza”, titolo drammatico e suggestivo. È degli ZiDima, trio che sfrutta un sound duro (Inetti, Comodi Vermi) a cui si applicano il canto in stile Emidio Clementi (Un Oceano Di Fiati Distrutti) per approdare a ballate dal crescendo pirotecnico.  Gli ZiDima s(u)on(an)o anni novanta sfruttando svisate noise e atteggiamento post hardcore. I testi sono ricercati e pungenti, vicini al modus operandi folle e visionario che fu di Giovanni Lindo Ferretti. Allo stesso modo dell’universo, la band si espande e contrae dilatandosi al suo interno attraverso esplosioni e rallentamenti. La lezione è quella dei Fluxus, Sette Sassi, e dei Marlene in Trema Carne Mia Debole. Abili strateghi della tensione, gestiscono con estrema cura e padronanza dei mezzi il limite massimo della dilatazione senza cadere nella ridondanza. Sono capaci di azionare le ghiandole secernenti adrenalina mentre producono fragori che fanno sussultare. Forse in alcuni passaggi possono perdere un po’ di terreno. L’Autodistruzione non è del tutto a fuoco, attacca senza ferire, ma recuperano velocemente la giusta via. Il canto alterna voce maschile e femminile (Saziati) e repentini cambi di mood da brividi su per la schiena. “Buona Sopravvivenza” è come una persona che non ricordi ma sai di conoscere, ti sembra familiare, ti fidi a istinto. L’aspetto burbero, il modo di porsi deciso ma non minaccioso, la capacità di calarsi nuovamente in un genere musicale non più in voga, e infine il sound roccioso sono le carte per un poker vincente. Rischiano e vincono portando a casa un risultato ampiamente positivo, ben al di sopra delle più rosee aspettative.

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bandiera_italia  MUSIQUE BUFFET

Inevitabilmente ci sentiamo parte dei versi taglienti di Manuel Cristiano Rastaldi che nel nuovo lavoro "Buona sopravvivenza" canta la vita con il suo carico di volgarità. Le 9 tracce degli ZiDima, che prendono il nome da un personaggio pirandelliano intrappolatosi da solo dentro una giara, se da una parte ricordano musicalmente i primi Marlene Kuntz e si collocano in un filone post-hardcore con le chitarre distorte e i bassi pieni, dall’altra hanno una poetica tutta personale che sa descrivere l’interiorità dell’essere più con disillusione che rabbia ma sempre in modo raffinato. Dalla prima “Un oceano di fiati distrutti” all’ottava traccia “Come farvi lentamente a pezzi” si susseguono distensioni ed esplosioni, mentre la conclusiva title track strumentale “Buona sopravvivenza” tira le somme dell’album senza bisogno di parole perché a volte seguire l’istinto vale più dello scrivere una canzone.

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bandiera_italia   FRASTUONI

Trascorsi quasi cinque anni dal precedente lavoro in studio Cobardes, i lombardi Zidima (Roberto Magnaghi alla chitarra, Manuel Cristiano Rastaldi al microfino, Cosimo Porcino al basso e Francesco Borrelli alla batteria) ritornano sulle scene dell’underground italiano con i nove brani che compongono Buona Sopravvivenza, un lavoro dalla forte personalità. Stampato ad aprile in vinile in sole 300 copie ed in CD in sole 100 copie, il nuovo disco, anticipato tempo addietro dal singolo Come Farvi Lentamente A Pezzi, è una miscela esplosiva di buon rock per niente scontato e di versatile qualità compositiva. Tutti i brani sono carichi di un’adrenalina nervosa, affascinante e compulsiva, un muro di suoni energico, forte ed evocativo, unione di un rock affiatato figlio degli anni ’90, ma proposto con una personalità spigliata, sensibile ed attuale. L’impatto iniziale è molto forte, con Un Oceano Di Fiati Distrutti, non da meno la graffiante Inerti, Comodi E Vermi (un’assalto alla sporca e parassita classe politica italiana?) che martella non poco i nostri timpani. Trema Carne Mia Debole, ondeggia sinuosa tra alti e bassi mettendo in evidenza le doti vocali di Manuel e di tutta la band. Decisamente affascinati da tutto il rock americano degli anni ’90, uniscono con maestria gli strumenti creando un sound potente e viscerale, come nella veloce L’Autodistruzione, o nella raffinata e senza peli sulla lingua Sette Sassi. È la volta di Yogurt, a parer mio una delle composizioni più intriganti dell’intero album, un ritmo spezzato e un cantato sincopato superlativi ci scuotono irreversibilmente, “Mi attacco ha tutto ciò che ho …” canta ipnotico e noise il Rastaldi mentre la band sul finale spara gli ultimi proiettili dagli strumenti come un assalto frontale al nemico. La voce di Miriam Cossar e i synths di Giovannardi aprono Saziati, e come Ustmamò in vapori alcolici e tribalismi Marlene, i Zidima ci regalano una delle tracce più coinvolgenti. Chiudono impazzite Come Farvi Veramente A Pezzi, 4 minuti e 18 secondi al fulmicotone con testo schiacciacervello e l’emblematica strumentale Buona Sopravvivenza, visionaria, amara e “punk”, le quali terminano un lavoro pregevole, ispirato e ben suonato, unione sincera di un rock senza incertezze, figlio diretto di un suono che ha i suoi maestri, oltre che in alcune band d’oltreoceano come già detto, in artisi italiani come Massimo Volume, Fluxus e Marlene Kuntz. Ma i Zidima non sono secondi a nessuno, perchè non giocano a suonare, ma lo fanno davvero, e, con questo lavoro (e con i testi, mai lasciati al caso, che affondano le radici in una scrittura di protesta mai scontata o in un esistenzialismo metropolitano che solo una città come Milano e la sua fottuta provincia può generare) sembrano ancora più ispirati rispetto ai lavori precedenti. L’irruente genuinità del loro suono è la loro più sincera bandiera. Sensibilmente nervosi … “Il cuore mio che non dimentica …”

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bandiera_italia   ROCKLINE

Sono band come i milanesi ZiDima (personaggio pirandelliano) a farci riflettere su vecchie questioni sempre più spesso accantonate nel dibattito musicale contemporaneo. Siamo nel 2015 e la rabbia in musica ha trovato nuove strade rispetto all'era alternativa o anche a quella punk-hardcore. Forse non c'è neanche più la voglia di raccontarla. Il che non implica che non ci sia sempre – anzi, forse oggi più che mai - l'esigenza di farlo. Non è gente di primo pelo ZiDima, e questo si sente subito. Essi provengono proprio dal momento d'oro del rock alternativo italiano, fase che ha dato tanto ma che sembra definitivamente tramontata se pensiamo all'offerta musicale contemporanea made in Italy. Certo, esistono ancora band come Massimo Volume e Marlene Kuntz, ma essi stessi sono i primi ad essere naturalmente cambiati. ZiDima porta lo scettro e le ferite di quella scena e la loro sincerità è percepibile. Il cantato con il sangue agli occhi che rimanda a Emidio Clementi o al megafono dei CSI è puro, le analogie sono frutto di un sentimento spontaneo che impedisce pensieri maliziosi di emulazione. Ma l'operazione interessante a mio avviso è relativa al suono. Forse neanche allora è stato così potente e brillante. Grazie post-hardcore. E grazie ZiDima se riuscirete a traghettare come già state facendo quelle istanze nel nostro tempo post-hardcore (vedi Marnero). Però dovete lasciar perdere quei testi che quando non sono inutilmente ermetici e senza poesia sembrano esprimere quella visione dicotomica basata sul 'noi e gli altri', come se esistessero ancora i buoni da un lato e i cattivi dall'altro. Questo poteva andar bene allora, la militanza di certo hardcore ce l'ha insegnato, ma oggi le cose sono molto più sottili e confuse, forse un linguaggio diverso sarebbe più efficace a raggiungere le coscienze.

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bandiera_italia   IN YOUR EYES 'ZINE

A cinque anni da “Cobardes”, i lombardi Zidima (Roberto Magnaghi, Manuel Cristiano Rastaldi, Cosimo Porcino, Francesco Borrelli) ritornano con i nove brani di Buona Sopravvivenza. Il nuovo disco, anticipato nel 2013 dal singolo “Come Farvi Lentamente A Pezzi”, riprende il discorso da dove era stato lasciato, proseguendo il suo scuro viaggio nel mondo dell’alternative rock. Il timido partire di Un Oceano Di Fiati Distrutti, sommergendo, poi, con i muri di chitarra e voce che la caratterizzano, tiene con il fiato sospeso con il suo sofferto dannarsi, mentre la rabbia incalzante di Inerti, Comodi E Vermi, si contrappone all’intensa forza evocativa (sostenuta da costanti arpeggi di chitarra) della crescente ed ineluttabile Trema Carne Mia Debole. Le chitarre ariose e asfissianti (allo stesso tempo) della ruvida L’Autodistruzione, aprono al morbido basso di Sette Sassi (infranto dall’esplodere finale) e al torbido malessere di Yogurt. Saziati, infine, sprofondando nelle viscere dell’oscurità, tra synth (Stefano Giovannardi) e un inatteso cantato femminile (Miriam Cossar), lascia che a chiudere siano l’energia rancorosa (ma, in fin dei conti, ottimista) di Come Farvi Lentamente A Pezzi e lo sfrecciare determinato della graffiante e inarrestabile Buona Sopravvivenza. Il nuovo lavoro degli Zidima non lascia spazio a difetti o cadute di tono. La qualità presentata non è la stessa del precedente disco, per il semplice fatto che è maggiore. I nove pezzi proposti, infatti, affondando chiaramente le radici nell’alternative rock di metà anni ’90 (i primi a venire in mente sono sicuramente i Massimo Volume) riescono, comunque, a ritagliarsi una propria personalità grazie alla cura per i suoni e alla profondità dei testi, mai lasciati al caso o superficiali. Se La Nevicata Dell’85 ha riletto il passato concentrandosi maggiormente sulla componente post rock, gli Zidima lo hanno fatto guardando più alla componente rock. Se vi erano piaciuti i primi, troverete di assoluto valore anche loro.

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bandiera_italia  TUTTI PAZZI

Questo disco è un vero macigno, un muro di suono post rock / noise cantato ma sinceramente fanculo alle etichette, questa è musica come deve essere, potente, suggestiva, delirante.. suonata con la passione, con la voglia di vomitare note creando un senso, dando un significato alla nostra mera esistenza. Dal vivo portatevi i tappi per le orecchie perchè sono in grado di farvele sanguinare. Grandi !!!

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bandiera_italia   AVISON MAGAZINE

Buona Sopravvivenza è l’augurio in chiave post rock milanese che ci fanno gli ZiDima. Ce lo trasmettono in maniera progressiva: passando da un inizio lento e martellante, una voce profonda che scandisce il parlato, con un sottile richiamo ai Massimo Volume, descrivendo un mondo che esplode di nichilismo che non è altro che “Un oceano di fiati distrutti” , pieno di Inerti, comodi e vermi, seguite all’improvviso dalle urla de L’autodistruzione che rompono la rassegnazione come un pugno dritto sullo stomaco. Il nome ZiDima deriva da un personaggio pirandelliano, che rimane chiuso dentro una giara e l’unico modo che ha per uscire dalla prigione di terracotta è di romperla. È spingersi verso la verità, fuggire non per scappare, ma per liberarsi. La mia attenzione è caduta in modo particolar modo in Sette sassi, composta da immagini crude, contenute in una melodia sempre più in crescendo. Sicuramente un buon disco, anche se non troppo originale: si trovano troppi richiami derivativi.

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bandiera_italia   MUSIC HITS

“Buona Sopravvivenza” oltre ad essere un caustico augurio, che di questi tempi sembra essere molto attuale, è il nome del nuovo album degli ZiDima, storica band milanese che da oltre 15 anni racchiude nel suo essere tutto quello che gli anni 90 e il grunge hanno trasmesso, tramite la loro naturale evoluzione, all’hardcore e i suoi sottogeneri sotto molti aspetti. Già perché gli ZiDima sono un gruppo che ha nel suo dna oltre alle peculiarità dei suoni legati al noise e al postrock, dei testi duri, riflessivi e ponderati che si sposano ad un cantato intenso ma pulito ispirato a linee di Ferrettiana natura e che in questo album mostrano tutto ciò che è in loro possesso, mediante suoni distorti e taglienti uniti ad atmosfere postrock e a stacchi ben strutturati e ripartenze sorprendenti che creano differenza di ambientazioni tra le differenti tracce mantenendo però un filologico che si alterna in modo quasi perfetto, merito di un cantato che varia dall’urlato al modulato passando per il recitato quasi fosse un reading, accompagnato da suoni elettrici e spinti che non disdegnano l’intreccio tra melodia e effetti dissonanti.

“Buona sopravvivenza riguarda tutti noi. 

E’ uno sguardo critico, attraverso la più spietata e necessaria delle accuse, perché rivolta a noi stessi.
E’ la volontà di capire che cosa abbiamo fatto e che cosa abbiamo lasciato fare.
E’ un’ostinata ricerca della verità dei fatti, senza i filtri dell’autocompiacimento.
Senza sconti, soprattutto verso le nostre persone e le nostre vite.
Buona sopravvivenza è un augurio amaro che invita a fermarsi, a tradirsi, e ad abbandonarsi”.

Un disco di tutto rispetto che da la sensazione di ripercorrere strade conosciute ma senza ricalcarle producendo  qualcosa quindi di scontato e da classificare come banale. Da ascoltare in solitaria nella tranquillità della propria stanza visto che il suono di questo album potrebbe portarci ad essere come ZiDima, che dentro la Giara era come un gatto inferocito. (Cit).

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bandiera_italia   ALLTERNATIVE.IT

le distorsioni ci piacciono e questo lavoro fa a gara con diverse realtà straniere (in primis gli Stati Uniti) dove il suddetto genere post/progressive è molto più apprezzato rispetto al nostro paese. C’è molto in questo album e già nella prima traccia “Un Oceano” veniamo trascinati e sballottati da una forte tempesta o meglio, come un “uragano negli occhi”! Spiccano anche “Inerti, comodi e vermi” (movimentata)|”Sette sassi”, riflessiva… (“Avrei dovuto imparare la differenza… tra scoparti forte e scoparti bene”) | “Come farvi lentamente a pezzi”, “Saziati”, che vede la partecipazione di Stefano Giovannardi (synt e loops) e Miriam Cossar (voce) di The Psychophonic Nurse. Infine, la mia preferita, “Buona sopravvivenza”, dove la tecnica la fa da padrona…

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bandiera_italia   TRAKS

Ci sono band che si aggirano, a volte anche per anni, sulla soglia della prima fila, senza la fortuna o la voglia di trovare la maniglia per aprire la porta giusta. Sembra essere il caso degli ZiDima (nome preso dalla “Giara” di Pirandello) che da anni pubblicano, fanno concerti e cambiano formazione, ma non sembrano aver ottenuto ancora l’attenzione che meriterebbero. Così ecco Buona sopravvivenza, secondo album uscito nei formati cd / vinile / digitale, prodotto da Marco Antoci D’Agostino e ZiDima, con il sostegno delle etichette Nelmionome dischi, I dischi del Minollo, Rumori in Cantina records. Le prime note di Un oceano di fiati distrutti sembrano poco rassicuranti, e infatti in breve si giunge a una prima esplosione (non sarà l’ultima): il passo sembra già quello di una band in costante rapporto con il rock indipendente italiano degli anni Novanta, della zona che va dai Marlene Kuntz ai CSI. Non si sta più tranquilli con la molto martellata Inerti, comodi e vermi, canzone che si basa su un riff di buona consistenza e sulla forza di invettive contro una società diciamo non proprio soddisfacente, portate senza risparmiare colpi. Trema carne mia debole preferisce rallentare i ritmi, in modo da far emergere ancora di più la capacità di scrittura dei testi e le qualità del cantato, e inoltre a lasciare spazio a un impatto maggiore quando arriva il tempo di alzare il volume. Ancora anni Novanta, ma su lati più internazionali, per L’autodistruzione, che tra sonorità che fanno pensare al grunge e a ispirazioni punk, ma non solo. Si passa poi a Sette Sassi, giocata su alternanze di luce e di buio, e su improvvisi aumenti di intensità sonora. Yogurt si nutre di ulteriori metafore elettriche, mentre con Saziati ci si aggira in ambienti oscuri, sul limitare del gotico/horror, con gli interventi di Stefano Giovannardi (synth e loops) e di Miriam Cossar (voce di The Psychophonic Nurse). Come farvi lentamente a pezzi prosegue sull’ondata omicida del brano precedente, con un cantato acido che alterna pause più serene (in cui però declama il non proprio sereno titolo). Si chiude con Buona sopravvivenza, la title track, che si apre con una notevole enfasi sul drumming, per un finale di disco particolarmente tempestoso. Presto per dire se gli ZiDima riusciranno a girare la maniglia e a passare al livello successivo: certo lo meriterebbero. Perché il disco è convincente, scritto con intelligenza e originalità, suonato con la giusta convinzione. Ci si potrebbe ricavare qualcosa di più che una semplice buona sopravvivenza.

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bandiera_italia   ROCKON

E’ proprio vero che sbirciando con gli orecchi fuori dalle mode, si intercettano diamantini underground tra il geniaccio e strati di poetiche oscure, un mondo “a parte” che se non fa mega ascolto perlomeno fa mega-massa elettrica in grado di dilatare certe coscienze fuse o peggio liquefatte. Tra i pochi il magnifico intreccio sonoro imbastito dai milanesi ZiDima, Buona sopravvivenza, una delirante e ossessionata alternanza di noise, proclami assoluti, chitarre siderurgiche e post-rock che nella gittata di nove tracce innescano un insieme di atmosfere tessute col filo di acciaio inossidabile. Essenze di smerigliamenti Kuntziani La distruzione, virulenze de Il Santo Niente Sette sassi, Fluxus d’antan Yogurt si rincorrono dentro questa granitica sensibilità che il quartetto milanese evolve, tensiona, distorce in una esecuzione in cortocircuito spiazzante, che avvolge come una costante spira, una “isterectomia splendida” che schizza bui, neri, foschie e anime spezzate o da spezzare. Testi profondi, che scavano dentro l’uomo e fuori dell’umanità, amori e rapporti in decadenza massima corredano il bailamme sonico dell’intero registrato, senza mai tralasciare il fascino infido e minaccioso che la band trasmette attraverso dettagli personali, come le tempie impazzite di Inerti, comodi vermi, i distorsori malsani che vivono in Come farvi letteralmente a pezzi o nel caos stratificato e ansioso diffuso dalla titletrack. Disco “improvviso” dunque vero e destinato ad insegnare a molti.

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E’ proprio vero che sbirciando con gli orecchi fuori dalle mode, si intercettano diamantini underground tra il geniaccio e strati di poetiche oscure, un mondo “a parte” che se non fa mega ascolto perlomeno fa mega-massa elettrica in grado di dilatare certe coscienze fuse o peggio liquefatte. Tra i pochi il magnifico intreccio sonoro imbastito dai milanesi ZiDima, Buona sopravvivenza, una delirante e ossessionata alternanza di noise, proclami assoluti, chitarre siderurgiche e post-rock che nella gittata di nove tracce innescano un insieme di atmosfere tessute col filo di acciaio inossidabile. Essenze di smerigliamenti Kuntziani La distruzione, virulenze de Il Santo Niente Sette sassi, Fluxus d’antan Yogurt si rincorrono dentro questa granitica sensibilità che il quartetto milanese evolve, tensiona, distorce in una esecuzione in cortocircuito spiazzante, che avvolge come una costante spira, una “isterectomia splendida” che schizza bui, neri, foschie e anime spezzate o da spezzare. Testi profondi, che scavano dentro l’uomo e fuori dell’umanità, amori e rapporti in decadenza massima corredano il bailamme sonico dell’intero registrato, senza mai tralasciare il fascino infido e minaccioso che la band trasmette attraverso dettagli personali, come le tempie impazzite di Inerti, comodi vermi, i distorsori malsani che vivono in Come farvi letteralmente a pezzi o nel caos stratificato e ansioso diffuso dalla titletrack. Disco “improvviso” dunque vero e destinato ad insegnare a molti.


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bandiera_italia   DISTOPIC

Come suonerebbero, oggi, i Massimo Volume degli Anni Novanta? E come suonerebbero i Massimo Volume se fossero mischiati alla crudeltà stilistica di un Cristiano Godano oppure a una certa new wave? ZiDima prova a fornire una risposta. “Buona sopravvivenza” è un album che guarda al passato con profondissimo rispetto e fa poco o nulla per nascondere i miti scelti. Con queste premesse, ci sentiamo di dire che è un compact che o vi piacerà subito, già dai primi 30 secondi, oppure non vi conquisterà alla distanza, perché mette le carte in tavola subito, non nasconde nulla e il ponte che getta verso i Massimo Volume (ad esempio) è piuttosto evidente. Insomma, se avete nostalgia di un’epoca (i mai celebrati abbastanza Anni Novanta), allora siete nel posto giusto. Mettetevi comodi e alzate a palla il volume. Il nostro giudizio? A noi il disco piace, non è originalissimo, ma ci piace. Forse perché ha un suono sfacciatamente derivativo (meglio ammettere d’essere che fingere di essere), o forse perché siamo degli inguaribili nostalgici. I pezzi migliori? “Sette Sassi” e “Saziati”. L’album è stato prodotto col sostegno di NelMioNome Dischi, I Dischi del Minollo e Rumori in Cantina Records.


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L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

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