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press-reviews MIOTIC

 

bandiera_italia THE NEW NOISE

Giunge finalmente al disco d’esordio il trio bolognese, formato nel 2010 da Andrea (già Nero Di Marte), Davide e Nicola con l’obiettivo di dare voce alla passione in comune per il math-rock (Don Caballero in primis). Registrato agli Studio73 di Riccardo Pasini, Antinomia è sperimentazione e continua ricerca, come dimostra la traccia di rottura “Mausoleo Dell’Eterno Distacco”: sette lunghi minuti in cui troneggia un’aura contemplativa quasi à la Om. Negli episodi più tecnici e nervosi, i Miotic inglobano progressive, noise-rock e tanta sperimentazione, che non poche volte ricorda le trame chitarristiche care al maestro Fripp degli ultimi anni coi Crimson. Le parti jazzate ricordano i romani Eskimo Trio (autori dell’ingiustamente dimenticato Tulen Synty) o altre formazioni ancora più “estreme” come gli Zu. La title-track, come un caleidoscopio, avanza lasciando scorgere infinite e piacevoli tonalità, e ci convince sempre più della bellezza di questo piccolo gioiello. Un’eleganza compositiva difficile da trovare di questi tempi. - See more at: http://www.thenewnoise.it/miotic-antinomia/#sthash.e1jZ81LE.dpuf

Giunge finalmente al disco d’esordio il trio bolognese, formato nel 2010 da Andrea (già Nero Di Marte), Davide e Nicola con l’obiettivo di dare voce alla passione in comune per il math-rock (Don Caballero in primis). Registrato agli Studio73 di Riccardo Pasini, Antinomia è sperimentazione e continua ricerca, come dimostra la traccia di rottura “Mausoleo Dell’Eterno Distacco”: sette lunghi minuti in cui troneggia un’aura contemplativa quasi à la Om. Negli episodi più tecnici e nervosi, i Miotic inglobano progressive, noise-rock e tanta sperimentazione, che non poche volte ricorda le trame chitarristiche care al maestro Fripp degli ultimi anni coi Crimson. Le parti jazzate ricordano i romani Eskimo Trio (autori dell’ingiustamente dimenticato Tulen Synty) o altre formazioni ancora più “estreme” come gli Zu. La title-track, come un caleidoscopio, avanza lasciando scorgere infinite e piacevoli tonalità, e ci convince sempre più della bellezza di questo piccolo gioiello. Un’eleganza compositiva difficile da trovare di questi tempi

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bandiera_italia   EXTRA MUSIC MAGAZINE

Partono à la Don Caballero (What Burns Never Returns) e lo fanno molto bene, sono aggressivi ma senza perdere il controllo. Sferrano attacchi dominati dagli intrecci math-rock, responsabile di questi complessi sincopati è la sezione ritmica che gioca un ruolo fondamentale nei vari cambi di tempo. I pattern serrati della batteria (Nicola Benetti) scomodano i re cremisi in alcuni passaggi presenti in Ubique, opener di ”Antinomia”. Loro sono i bolognesi Miotic, band potente dal respiro internazionale, c’è qualcosa nella loro musica che evoca i Red Sparowes. Nella seconda traccia, Teeethcake, il basso traitor di Andrea Burgio sembra arrivare direttamente da una sessione estrema con i Morkobot. E anche quando i toni sono più pacati, The Dog And That Hole che ricorda vagamente Elephant Talk, il pericolo della mazzata sonora è in agguato dietro l’angolo, pronto a spaccare padiglioni auricolari bruciando una buona parte di neuroni. A quota 4 della tracklist la band tira fuori l‘asso dalla manica con Il Mausoleo Dell’Eterno Distacco in cui spuntano un sound progressivo para tooliano nelle trame chitarristiche di Davide Badini, un vero piacere per le orecchie. Questo crogiolo di forme mutanti, ritmi instabili e contorti labirinti è un progetto davvero interessante, anche per gli estimatori di gruppi come Zu e Shellac. Nonostante un uso spietato della tecnica, che dalla sua ha il pregio di non risultare mai fine a se stessa, questo disco è affascinante e scorrevole nonostante le sue complesse sub strutture.

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   GRIND ON THE ROAD

Un caleidoscopio, una serie di scatole cinesi, un cubo di Rubik. Oggetti che mi vengono in mente ascoltando la musica suonata dai Miotic, trio ravennate di estrazione math rock ma non solo. Sono passati quindici anni dalla pubblicazione di ‘Post Rock e Oltre’, retrospettiva a cura di Stefano Isidoro Bianchi e Eddy Cilia sul primo decennio di vita del non-genere per antonomasia, e se le pagine di quel libro si chiudevano con un grosso punto interrogativo – ovvero cosa sarebbe venuto dopo il post rock – di sicuro molte altre son state scritte senza che il grande pubblico e la stampa specializzata prestasse troppa attenzione, e soprattutto senza dare risposte esaurienti al quesito, perché il post rock e molte delle sue varianti, tra cui quella robusta del math rock, hanno continuato ad ardere con più o meno intensità come la brace sotto alle ceneri di un grosso barbecue: se finisce la salsiccia non per forza finisce anche la festa. Ma allora, cosa è capitato nel gap degli anni zero? Fare anche solo una breve retrospettiva dei picchi e degli svarioni di un genere-carrozzone dai colori e dalle forme estremamente mutevoli e mai definiti sarebbe un’impresa folle. Chi ha cercato di seguire gli sfuggenti sviluppi del post rock ha presto capito che per scovare piccoli capolavori, ma anche solo per restare aggiornato, doveva ‘limitarsi’ a rovistare in un vastissimo sottobosco. E proprio dal sottobosco arrivano i Miotic, che – tanto per restare in tema  – come dei tartufi hanno assorbito i sali minerali del suolo arricchito dalle radici e dalla linfa dei maestosi alberi del passato. Sì, perché di arbusti alti oggi non se ne trovano quasi più, e della flora rimanente solo pochi esemplari spuntano come funghi per poi svanire col passare della stagione, mentre la maggior parte nasce-cresce-muore appunto in ambito underground. La musica della band è un condensato di quanto meglio sia uscito finora in ambito math strumentale, e uno dei pregi inconfutabili del disco – che si chiama Antinomia – è che ha i suoni appropriati per esaltarne la classe ma soprattutto la potenza che sprigiona. Parliamoci chiaro, i Miotic non hanno inventato nulla di nuovo: il loro suono è debitore di mille altre band, ma la cosa bella del genere suonato dal trio – qualunque cosa esso sia e in qualsiasi modo lo si voglia chiamare – è che può assorbire in sé infiniti stimoli sonori, amalgamarli ad altri preesistenti e infine rinnovarsi continuamente. Ecco allora un frappè di 36 minuti a base di derive sonore e sornione comuni alla neo-scuola strumentale francese, partendo dagli Chevreuil fino ai più recenti Pneu e Papaye, ma senza trascurare progressivismi d’oltreoceano tra Tera Melos, The Para-medics e The Psychic Paramount e parecchi interventi a gamba tesa in ambito heavy tanto cari agli ultimi Zu. Il disco si apre con “Ubique”, un brano che nella sua interezza glissa da un’intro alla Don Caballero ad intermezzi sincopati per poi tornare sui suoi passi, rendendo praticamente  indefinibile la catalogazione della materia sonora a seguire. Matrici motoristiche emergono dall’inizio del secondo brano “Teethcake”, dove un incedere scoppiettante simil-Zeus! lascia presto il posto a mini-aperture epiche e arpeggi inquietanti, tapping tarantolati ed esplosioni blastate. Lo spettro dei Don Cab di What Burns… e American Don si ri-materializza in maniera ingombrante negli armonici e nelle intrusioni di batteria della seguente “The Dog And The Hole”, traccia che per fortuna si riprende sul finale con un incedere prima latino, poi progressivamente gonfio di dinamiche in crescendo. Echi psych risuonano invece in “Mausoleo dell’Eterno Distacco”, pezzo che dopo la metà rimanda ai Tool di Aenima per il suono del basso e il pattern ritmico. Le restanti tre tracce, “Antinomia”, “Machinery” e “Philip, The Glass Elephant” riprendono in ordine sparso le strutture intricate e le influenze delle precedenti andando a chiudere il disco in complessità e potenza. Nell’insieme è notevole il lavoro del basso e della batteria, che talvolta – includendo anche i riff in tapping del chitarrista – estendono il concetto di sezione ritmica al totale della band. Qualcuno ha detto che il math rock si basa su una certa fisicità ritmica e che i leader delle band sono quasi sempre i batteristi. Non poteva avere più ragione di così. Pensate a Damon ‘Che’ Fitzgerald dei già citati Don Caballero o a Blake Fleming dei Laddio Bolocko e ditemi se non è vero. Questo è anche il caso dei Miotic: i pilastri marmorei dell’edificio che il gruppo costruisce suonando sembrano basarsi contemporaneamente su roccia e sabbia, materiali gentilmente offerti, assemblati e/o triturati dal batterista, e la struttura che ne risulta si erge, oscilla e collassa per poi auto-costruirsi ogni manciata di battute. Un disco che anni fa sarebbe stato recensito a fianco dell’ultimo dei Cheer Accident o dei Gorge Trio, oggi trova principalmente posto negli scaffali o sui computer di sparuti amanti del genere, e si materializza in live che meriterebbero un pubblico più vasto e un palco migliore rispetto a quelli di una sala concerti di periferia o di un centro sociale, senza nulla togliere ad entrambe le categorie portate ad esempio. Antinomia è un ottimo biglietto da visita per affacciarsi sul vastissimo territorio del math-rock, ma la band di Ravenna, per evolvere da spora ipogea in albero e poter ergersi al di sopra degli altri, dovrà forse servirsi di nuove fonti di nutrimento e rendere più personale il proprio suono. Al momento lasciatemi allora valutare i Miotic per quello che sono e quello che fanno: un gruppo dalle eccelse doti tecniche alle prese con un onesto, intricato e poderoso rock strumentale. Sì, perché demonizzare la tendenza dei musicisti post rock ad incasinarsi la vita e ritenerla il peggiore difetto del genere sarebbe un po’ come tagliare baffi e basette a Lemmy Kilmister o togliergli il Rickenbacker: senza non sarebbe più la stessa cosa.

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bandiera_italia   STORIA DELLA MUSICA

Nella musica rock tradizionale viene spesso utilizzata una ritmica di 4/4; il math rock, invece, ricorre ad una ritmica suddivisa asimmetricamente, che varia dai 7/8 agli 11/8, fino ai 13/8. Questa complessità, riconosciuta come “matematica” dai diversi critici musicali ed ascoltatori, può essere influenzata da altri generi, più o meno vicini al rock, come il noise, il post-rock e il mathcore. I bolognesi Miotic, matematici anch’essi, manipolano, fondono e sincopano tutto in “Antinomia” col preciso intento di (con)fondere le proprie esperienze musicali in un solo gesto forgiante. Andrea Burgio al basso, Nicola Benetti alla batteria e Davide Badini alla chitarra elettrica propongono un disco strumentale che, come spesso accade nel genere in questione, se ne infischia della dimensione testuale. Come ben preannunciato dal titolo, questo lavoro rappresenta quel particolare tipo di paradosso che scaturisce dalla compresenza di due affermazioni contraddittorie, con l’evidente differenza che qui si parla di contraddizioni musicali.

Antinomia” consta di sette brani molto omogenei: i primi e gli ultimi tre tutti giocati sulla definizione classica di math-rock. Resta fuori “Mausoleo dell’eterno distacco”, una canzone a se stante – quasi un’operetta post – sublime e decadente, fortemente influenzata dal progressive nelle sue volute manieriste e nei suoi lunghi trabalzamenti di corde. I trentasei minuti di “Antinomia” rappresentano l’entrata in scena di una band interessante, costituita da abili musicisti che hanno voglia di suonare bene, chiassosamente ma ordinatamente, la propria arte; il loro sound causa sfoghi e ribellione, se non addirittura la diminuzione del diametro della pupilla – la miosi, appunto.

A ben vedere non ci sono molte realtà math rock in Italia, eccettuati alcuni pezzi degli Zu. Quel genere risiede altrove, negli States, a Pittsburgh (Don Caballero), a Sacramento (Hella), a Louisville (Slint), a New York (Battles), a Providence (Lightning Bolt) o, al massimo, a El Paso (The Mars Volta). È questo uno dei motivi per cui i Miotic meritano un briciolo di pubblicità: l’assoluta rarità che rappresentano nel panorama musicale italiano. Ci auguriamo che in futuro propongano lavori più stratificati ed eterogenei, così da poter parlare di un solido underground di rock matematico, stavolta senza contraddizioni di sorta.

Nella musica rock tradizionale viene spesso utilizzata una ritmica di 4/4; il math rock, invece, ricorre ad una ritmica suddivisa asimmetricamente, che varia dai 7/8 agli 11/8, fino ai 13/8. Questa complessità, riconosciuta come “matematica” dai diversi critici musicali ed ascoltatori, può essere influenzata da altri generi, più o meno vicini al rock, come il noise, il post-rock e il mathcore. I bolognesi Miotic, matematici anch’essi, manipolano, fondono e sincopano tutto in “Antinomia” col preciso intento di (con)fondere le proprie esperienze musicali in un solo gesto forgiante. Andrea Burgio al basso, Nicola Benetti alla batteria e Davide Badini alla chitarra elettrica propongono un disco strumentale che, come spesso accade nel genere in questione, se ne infischia della dimensione testuale. Come ben preannunciato dal titolo, questo lavoro rappresenta quel particolare tipo di paradosso che scaturisce dalla compresenza di due affermazioni contraddittorie, con l’evidente differenza che qui si parla di contraddizioni musicali. “Antinomia” consta di sette brani molto omogenei: i primi e gli ultimi tre tutti giocati sulla definizione classica di math-rock. Resta fuori “Mausoleo dell’eterno distacco”, una canzone a se stante – quasi un’operetta post – sublime e decadente, fortemente influenzata dal progressive nelle sue volute manieriste e nei suoi lunghi trabalzamenti di corde. I trentasei minuti di “Antinomia” rappresentano l’entrata in scena di una band interessante, costituita da abili musicisti che hanno voglia di suonare bene, chiassosamente ma ordinatamente, la propria arte; il loro sound causa sfoghi e ribellione, se non addirittura la diminuzione del diametro della pupilla – la miosi, appunto. A ben vedere non ci sono molte realtà math rock in Italia, eccettuati alcuni pezzi degli Zu. Quel genere risiede altrove, negli States, a Pittsburgh (Don Caballero), a Sacramento (Hella), a Louisville (Slint), a New York (Battles), a Providence (Lightning Bolt) o, al massimo, a El Paso (The Mars Volta). È questo uno dei motivi per cui i Miotic meritano un briciolo di pubblicità: l’assoluta rarità che rappresentano nel panorama musicale italiano. Ci auguriamo che in futuro propongano lavori più stratificati ed eterogenei, così da poter parlare di un solido underground di rock matematico, stavolta senza contraddizioni di sorta.

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Antinomia” consta di sette brani molto omogenei: i primi e gli ultimi tre tutti giocati sulla definizione classica di math-rock. Resta fuori “Mausoleo dell’eterno distacco”, una canzone a se stante – quasi un’operetta post – sublime e decadente, fortemente influenzata dal progressive nelle sue volute manieriste e nei suoi lunghi trabalzamenti di corde. I trentasei minuti di “Antinomia” rappresentano l’entrata in scena di una band interessante, costituita da abili musicisti che hanno voglia di suonare bene, chiassosamente ma ordinatamente, la propria arte; il loro sound causa sfoghi e ribellione, se non addirittura la diminuzione del diametro della pupilla – la miosi, appunto.

A ben vedere non ci sono molte realtà math rock in Italia, eccettuati alcuni pezzi degli Zu. Quel genere risiede altrove, negli States, a Pittsburgh (Don Caballero), a Sacramento (Hella), a Louisville (Slint), a New York (Battles), a Providence (Lightning Bolt) o, al massimo, a El Paso (The Mars Volta). È questo uno dei motivi per cui i Miotic meritano un briciolo di pubblicità: l’assoluta rarità che rappresentano nel panorama musicale italiano. Ci auguriamo che in futuro propongano lavori più stratificati ed eterogenei, così da poter parlare di un solido underground di rock matematico, stavolta senza contraddizioni di sorta.

bandiera_italiaMAGMUSIC

È vero, c’è math-rock e math-rock. Ma ogni tanto la voglia di rimanere fedele a certi stilemi deve cedere il passo alla voglia di trovare quante più ramificazioni possibili ad un genere simile. Nel caso dei Miotic, ascoltare “Antinomia” significa portare a compimento questo obiettivo, là dove il punto di riferimento principale risponde al nome di Don Caballero, come si evince tanto nel drumming di Nicola Benetti, che caratterizza l’iniziale Ubique, quanto soprattutto nel sapiente uso del basso da parte di Andrea Burgio, già nei Nero di Marte, il cui passaggio da una linea aggressiva, come nell’elettrica, sfrenata ed aliena Teethcake, al sapore funk della title track, fino al leggero retrogusto jazzy di Machinery. Punti cardine che riescono nel loro intento anche quando si tratta di cimentarsi in composizioni dallo stile maggiormente progressive, come nel caso dell’ossessiva The Dog and the Hole, dove gioca un ruolo da non poco conto anche il lavoro alla chitarra di Davide Badini, o una Philip, the Glass Elephant claustrofobica, metallica, quasi il risultato di una jam session turbinosa che vede mescolarsi in un vortice tutte le influenze del trio, come se a suonare fossero degli Zu sotto stupefacenti. A fare da caso a sé è invece Mausoleo dell’eterno distacco, dove alle tecniche adoperate si sostituisce un mood mistico contornato da riff di memoria tooliana, nell’arco di quasi otto minuti. Una parentesi hard-rock che contribuisce a fare di “Antinomia” un egregissimo esordio, dove viene meno ogni rischio di fare eccessivamente il verso allo stereotipo di turno.

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bandiera_italia  DAGHEISHA

Un esordio davvero interessante quello dei bolognesi che propongono un math rock strumentale dotato di assoluta personalità. I più avvezzi al genere noteranno citazioni di Don Caballero, Lightning Bolt e Naked City durante la scaletta ma il contributo di ognuno dei tre musicisti, peraltro provenienti da esperienze sonore differenti, rende singolare e distintiva anche la più trascurabile della sfumature. Si parte con 'Ubique' e 'Teethcake' che sono forse i pezzi più diretti e meno claustrofobici del lotto e servono all'ascoltatore per acclimatarsi con i passaggi ossessivi e avanguardistici che seguiranno. Al basso troviamo Andrea Burgio dei Nero Di Marte ed è quasi sempre lui a lanciare le sincopate cavalcate neoprog che rendono imperdibili 'The Dog And The Hole', 'Antinomia' e 'Philip, The Glass Elephant'. In questi episodi troverete lampi di genio difficili da riscontrare nel nostro panorama e, nonostante la difficile lettura di un impianto privato del ludico apporto della voce, le possibilità che i Miotic ottengano riscontro, soprattutto all'estero, sono elevate. Le registrazioni si sono svolte presso gli Studio 73 di Riccardo Pasini che ha saputo esaltare, dall'alto della sua esperienza, il grado di sperimentazione delle atmosfere proposte. Il muro del 'Mausoleo Dell'Eterno Distacco' improvvisamente crolla. E' a pezzi. La musica rimane..

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bandiera_italia   METAL ITALIA

Interessante questo progetto math-rock autoprodotto concepito da Andrea Burgio dei Nero di Marte al basso, Nicola Benetti alla batteria e “Bob” Badini alla chitarra. Parliamo di un math-rock strumentale imprevedibile e contorto che poggia le proprie fondamenta su solidissime basi prog e improvvisazionali e che trova la proria luce guida stilistica in band come gli Zu, i Craw, gli Shellac, gli Slint, i Tortoise, gli Uzeda, i Fantomas, i Mr. Bungle, i Secret Chiefs 3, e i Don Caballero. Le forti inclinazioni metalliche e avantagarde della band inoltre rimandano direttamente a tutto quel pianeta neoprog metallico ideato a New York City da gente come Colin Marston, Andrew Hock e Kevin Huffangel (Dysrythmia, Behold The Arctopus, Krallice, Castevet, eccetera) nonché in maniera lampante a tutta la scuola Touch and Go di inizio anni Novanta (Jesus Lizard, Big Black, Die Kreuzen, eccetera). La musica dei Miotic è essenzialmente composta da sincopatissime e isteriche cavalcate di neoprog metallico dalla fortissime inclinazioni “math”, in cui controtempi, ritmiche dispari, composizione ipnotica e circolare svettano sopra una rocciosissima massicciata noise rock e sludge. Quando le cose diventano più ariose, aperte e lineari, la band si mostra anche capace di sviluppare interessantissime soluzioni prog rock dal taglio più fiero e tradizionale andando a citare direttamente band come Russian Circles e Long Distance Calling e, perché no, anche affermatissime realtà del pianeta “post” come Pelican e Red Sparowes e anche oltre, andando a parare persino nei pressi di meastri senza tempo della composizione free-form applicata al metal come Kayo Dot e Mare. Insomma, se siete fan della tecnica fine a se stessa, ma somministrata con stile e personalità, nonché di tutto ciò che è assimilabile al pianeta “math-metal” (primi Dillinger, Psyopus, Meshuggah e compagnia) questo album fa decisamente al caso vostro, non solo perché mostra la tecnica fuori dal comune dei personaggi coinvolti in maniera esaltante ed esemplare (in certi passaggi viene proprio da chiedersi “ma come c***o fanno?”), ma perché il lavoro ha anche una propria profondità concettuale e una fierezza formale che lo rende un affare ben più affascinante di una pura messa in mostra di tecnicismi sterili e incolori. Insomma, se amate il talento smisurato e la padronanza fuori dal comune dello strumento musicale ma odiate la sterilità e freddezza di generi spesso inespressivi come il djent, allora questo disco è decisamente pane per i vostri denti.

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bandiera_italia    AUDIOFOLLIA

I Miotic sono una band bolognese nata nel 2010 dall’incontro di Davide Badini(chitarra),Andrea Burgio(basso) e Nicola Benetti(batteria),tutti provenienti da esperienze musicali diverse:dopo un iniziale EP,il gruppo dà alle stampe il primo cd a lunga durata,interamente autoprodotto(come il vecchio lavoro).  La musica proposta dai Miotic potremmo definirla come un”post rock”(o math rock che dir si voglia)evoluto,completamente strumentale e dai risvolti progressivi,che alterna momenti complessi ad altri più sperimentali e atmosferici.  Questo appare evidente sin dalla prima traccia,”Antinomia”che mescola una chitarra carica d’inquietudine ad una ritmica variegata e complessa,il tutto “spezzato”da vari(ed inusuali)cambi di tempo;è una sorta di visione moderna e personale di certo progressive rock,talvolta perfino onirica(in cui la band da ampio sfoggio delle sue abilità tecnica)e con qualche sprazzo”schizoide”improvviso(geniali i blast beat della batteria sul tappeto sonoro”ricercato”).  “Teethcake”è un brano ancora più oscuro,che ci riporta alla mente le atmosfere care ai Don Caballero(e ai Tool più elaborati),ma ovviamente è solo un breve gioco di rimandi;dopo alcune sferraglianti archietture ritmiche,è la volta di passaggi più psichedelici e notturni,prima di tornare su segmenti tesi e nervosi,tra free form e lampi che miscelano math-rock precisissimo e noise rock convulso. “The dog and the hole”sembra voler destrutturare inizialmente ritmi sudamericani,per via della sua curiosa andatura;poi il brano prende una piega più sperimentale,ma sempre originalissima, giocata su ritmiche nervosissime.  “Mausoleo dell’eterno distacco”è la traccia più lunga del disco(più di 7 minuti)ed è una visione onirica,psichedelica,ipnotica;la chitarra disegna scenari visionari(così come il basso,di pari passo),ed anche le percussioni di sfondo suggeriscono un climax orientaleggiante,caleidoscopico. Con la title-track si torna su un mood più sperimentale e tortuoso,coi suoi ritmi tellurici ed i riff sghembi ma perfettamente calcolati ed”incastrati”in un gioco di cesellamento che rasenta la perfezione;anche “Machinery”presenta sonorità distorte e qualche tratto aggressivo,in un’alternanza dinamica tra stop and go complessi e momenti più atmosferici(ma non meno inquieti). “Philip,the glass elephant”è l’abrasivo e sperimentale finale,dall’atmosfera lavica e violenta,ma sempre ben articolata e strutturata in maniera complessa(ma mai fine a sé stessa,ed anche questa è una caratteristica del gruppo:anche nelle partiture più difficili,riescono ad essere scorrevoli):una degna chiusura per un album unico nel suo genere,ottimamente suonato e composto. Miotic:un nome da tenere d’occhio,quindi,per gli amanti delle sonorità più complesse,ma anche per i fan della sperimentazione,che amano il progressive”meno allineato” e non convenzionale;qui c’è davvero tanta carne al fuoco,e l’originalità della band fa il resto(non solo quindi ottima abilità tecnica,ma la capacità di creare scenari sonori sempre imprevedibili e sempre all’insegna della creatività inusuale). Dategli una chance,ne vale assolutamente la pena.

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

http://www.kingsuffygenerator.com
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