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press-reviews KING SUFFY GENERATOR

 

 

bandiera_italia   ROCKERILLA

È possibile fare prog oggi in Italia, senza diventare noiosi e senza suonare vetusti come i King Crimson? E’ possibile metterci dentro The piper at the gates of down e continuare ad essere cinici e malinconici? E’ possibile emozionare senza usare una sola voce? E’ possibile metterci dentro anche noise parente di Big Black? E’ possibile che questa lista di domande abbia stancato? I King Suffy Generator sono una delle migliori band italiane, questo disco ne è la conferma, alla quarta prova in studio, la band ha allargato lo spettro sonoro con vibrafono, sax e percussioni, senza mai perdere un certo senso di urgenza. The Fifth State, nelle sue sei composizioni, offre semplicemente la possibilità di viaggiare fra universi paralleli, forse l’unico difetto del disco è che dura troppo poco, ecco, l’ho detto. Ad ogni modo brani come Relieve the burden e Tomorrow shall we see rispondono positivamente alle domande in apertura, anzi, fanno anche meglio, ovvero mostrano esattamente le forze magnetiche che rendono possibili le condizioni di esistenza di questa musica, fra controllo e jam acida, fra rabbia punk ed estasi zen. A parte, a mio avviso, la brevità dell’opera non si può rimproverare la band di molto altro, se non quella di non essere nati nel deserto dell’ Arizona o qualche posto più figo del Piemonte, per attirare più scemi,forse. Disco per viaggi senza spazio e senza tempo.

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bandiera_italia  ROCKIT

Una colonna sonora per l'uomo contemporaneo. Una meditazione strumentale sul passaggio dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo al Quinto Stato. Processo che ha portato l'individuo da essere parte attiva e fondamentale per il cambiamento della società a diventarne invece vittima passiva, svuotato dei suoi aspetti più intimi e umani. I King Suffy Generator armati di chitarre, basso, batteria, sax e synth danno vita ad ambizioni sospese tra progressive, post rock e psichedelia. Il capitolo “The Fifth State”, composto da sei composizioni tutte strumentali si muove attraverso paesaggi crepuscolari introspettivi, l'inquietudine diventa ben presto tormento, angoscia, rabbia, attraverso un turbinio di atmosfere spettrali, la brevissima traccia“Rought Souls” ne è la conferma lampante. La complessità dei pezzi arriva spesso a vette altissime, dando vita a un suono matematico, ma sempre mitigato da bagliori melodici più morbidi, suoni corposi, densi e rigidi sanno sfogarsi all'occorrenza in scenari più malleabili e sinuosi. Questo, infatti, è uno dei punti forza del disco. L'umore generale che si respira è quello di una dolenza scura, ragionata che ha urgenza di liberazione ed espressione. No, non sono ragazzini alle prese con le prime sperimentazioni, si avverte subito, dall'eleganza e dalla grande consapevolezza dei loro mezzi espressivi. Brano migliore del lotto rimane “Relieve The Burden”che riesce a tirare fuori il lato più oscuro e subdolamente ansiogeno dei KSG, attraverso bellissimi vortici sonori, lasciando intravedere l'approccio maggiormente visionario che caratterizza l'economia generale di questo ep. Ecco, l'unica piccola nota di demerito è che si avvertono alcune derive un po' pompose, di marca progressive che appesantiscono alcuni momenti, in modo particolare sul finire delle tracce, creando una certa difficoltà d'attenzione di fondo. Anche se probabilmente c'è da fare un qualche lavoro di limatura e di sottrazione per avere un disco incisivo al punto giusto, senza la troppa freddezza chirurgica e la spigolosità di alcuni frangenti, gli applausi per il gruppo piemontese sono parecchi e convinti.

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bandiera_italia   FREAK OUT MAGAZINE

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo. Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa. Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato. E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock. La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi. Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake. E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül. Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News. Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

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bandiera_italia DAILY STORM

A prescindere dalle attitudini e le sensibilità personali di ciascuno, il “potere motore” della musica è una sensazione interiorizzata in tutti. E non solo nella sfera più esteriore di ballo, coreografica, ma anche nella capacità metafisica di dare movimento a un’immagine, arricchendola di nuove prospettive. Non sono storie nuove quelle dei live painters o dei sonorizzatori di opere d’arte. Collegare discipline differenti, come in questo caso la pittura trasposta in musica, può essere un’operazione che, se mal riuscita, può puzzare di pretenzioso, ma in caso contrario dona una luce diversa, senza dubbio interessante, sia alle note sia alla tela. I King Suffy Generator si cimentano in questa prova, dopo aver pubblicato un EP e due album. Il titolo di quest’ultimo lavoro, The Fifth State, è esplicitamente ispirato ai lavori del pittore Giorgio Da Valeggia, la cui opera “Il Quinto Stato” è raffigurata nella copertina. Il nome e il soggetto del dipinto non a caso richiamano il ben più celebre Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Ma se quest’ultimo raffigurava il proletariato ormai conscio del suo peso all’interno della società, quello del Da Valeggia esprime una condizione postuma, distopica: l’uomo non è più un motore capace di cambiare la società, ne è soltanto una vittima inerme, «svuotato dei suoi aspetti più umani, ma sempre impegnato a ricercare se stesso e il suo posto nel mondo». La raffigurazione degli uomini del Quinto Stato non può essere più emblematica. Strutture scarnificate, private della forma stessa e ridotte a qualche linea tremula, e a qualche straccio posato addosso nelle figure dei tre personaggi in primo piano (in parallelo con il Quarto Stato), le cui facce smorte ed ectoplasmatiche sembrano comunque voler urlare e rivendicare una propria ragion d’essere. The Fifth State è espressamente un concept EP, in cui i King Suffy Generator sono andati ben oltre il raccontare una semplice storia, hanno dato voce (paradossalmente, l’album è completamente privo di tracce vocali) a una condizione che si ripropone sempre più pesantemente nell’uomo di oggi. I titoli delle sei tracce sono molto esplicativi del percorso, anzi dividono nettamente l’album in due parti distinte: la prima fino al climax di sopraffazione, mentre dalla quarta traccia in poi si odono echi di speranza e di sguardi verso il futuro. Ma più dei titoli, è proprio il sound che dà un colore netto e definito ai momenti del disco. Armati di chitarre, sintetizzatori, fiati e una sezione ritmica fenomenale, i cinque sfilano dai loro amplificatori un post-rock unito ad attimi di psichedelia visionaria di pregevole fattura, unita a momenti prog tuttavia privi di quella seriosità che farebbe storcere il naso a chi non vuole un ascolto troppo poco immediato. L’apertura di Derailed Dreams trasmette già un’ansia di fondo, un desiderio di fuga dall’appiattimento, cosa che viene ripetuta egregiamente in Short-term Vision fino all’intermezzo chiave dell’album, Rough Souls, dove un assolo tombale di sintetizzatori sancisce il fondo toccato dall’individuo, mentre Relieve the Burden (pezzo migliore del disco) inaugura la scalata verso la riappropriazione di sé, su un filo di chitarre acide e martellanti e uno scioglimento quasi celestiale tra pianoforte ed eco di gabbiani. We used to talk about emancipation riprende vagamente i fraseggi della seconda traccia, quasi a far da monito, mentre Tomorrow shall we see attacca con riverberi à la Pink Floyd per poi scivolare su un letto scorrevole dei soliti sintetizzatori. Un album pieno di idee e spunti molto più che interessanti, che sebbene manchi in alcuni momenti della giusta incisività e presenti dei passaggi musicali un po’ forzati, testimonia un buon livello di qualità raggiunto dalla formazione verbanese. Disponibile qua e là su Internet, è comunque consigliabile ascoltarlo e conservarlo su supporto fisico. Una piacevole chicca da rispolverare all’occorrenza in futuro.

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bandiera_italia   KD COBAIN

Terzo disco per la band piemontese, attiva dal 2005. “The Fifth State”, la cui bellissima copertina è opera dell'artista Giorgio Da Valeggia, è un disco, come i precedenti, interamente strumentale: costruzioni prog, atmosfere post rock e meditazioni psichedeliche si uniscono per creare un tutt'uno che è più della somma delle singole parti: un sound denso, stratificato, coinvolgente.  Basta ascoltare  l'opener “ Derailed Dreams”, brano che si apre con delle visioni vagamenti acquatiche, che lasciano il posto a chitarre post rock più pensose che ruggenti. “Short-Term Vision” è un brano complesso che alterna tempi dispari ad elucubrazione spacey passando per improvvise esplosioni: un brano per il quale ci vuole una grande testa per concepirne soltanto l'idea. Una menzione la merita anche la breve “Rough Souls”, un minuto e diciassette secondi appena, inquietanti, cosmici: i Tangerine Dream sotto acido. “The Fifth State” è semplicemente un album spettacolare, dotato di un oscuro e irresistibile magnetismo.

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bandiera_italia  MOGIO MUSICA

La musica strumentale se ben fatta è forse uno dei generi più piacevoli all’ascolto, senza essere distratti dalle parole o dalla melodia della voce si ha il tempo necessario per godersi la bellezza degli strumenti puri. Solo note, solo suono. A questo proposito siamo lieti di parlarvi del disco dei King Suffy Generator, giunti al loro quarto lavoro discografico con l’album The Fifth State, pubblicato per l’etichetta indipendente I Dischi Del Minollo. Le 6 tracce di The Fifth State sono crude e senza virtuosismi, dinamiche e arrabbiate. L’originalità e la maturità dei suoni sono notevoli, e rendono l’ascolto potente ma sopratutto coinvolgente. Niente male per i King Suffy Generator, all’attivo dal 2005 e con le idee chiare sulla direzione musicale da prendere. Il disco di apre con Derailed Dreams, forse il brano più bello del disco anche per quanto riguarda la cura dei suoni. delle ottime distorsioni a tirare su la dinamica. Il secondo brano Short Term Vision inizia con un sintetizzatore un po’ alla Bluvertigo, per poi prendere una direzione estremamente ritmica. A noi ricordano un po’ i Toe, ma questa è un’altra storia. Rough Souls ci concede una pausa con un minuto abbondante di solo sintetizzatore, accompagnandoci alla quarta traccia,  Relieve The Burden: via col riffone e con le ottime distorsioni a dare la dinamica arrabbiata. We Used To Talk About Emancipation e Tomorrow Shall We See  sono gli altri due pezzi-bomba del disco, per concludere un ascolto che nel complesso risulta omogeneo ma ricco di varietà. In ogni caso sui King Suffy Generator c’è poco da dire sui  e molto da ascoltare. The Fifth State merita di essere ascoltato, riascoltato e, se volete, anche comprato.

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bandiera_italia   INTERSTELLA MAGAZINE

Quando la pittura ispira la musica è inevitabile trovarsi davanti a qualcosa di maestoso.  Il connubio generato da queste due forme d’arte indipendenti è il risultato di secoli d’approssimazione l’una all’altra, sin dai tempi mitici in cui gli artisti potevano essere straordinariamente poliedrici. I King Suffy Generator fanno propria questa preziosa lezione e trovano una musa inesauribile nelle opere di Giorgio Da Valeggia. Un progetto arrivato al terzo full e che sembra pronto al grande salto. Partendo da una premessa quantomai nobile sviluppano la loro proposta artistica attraverso le strade sconfinate del post rock, fermandosi, di tanto in tanto, a contemplare il panorama psichedelico del secolo passato, che tanto ha saputo dare alla storia dell’uomo. La complessità delle linee melodiche riesce a colorare  The fifth State che però ha il difetto di specchiarsi troppo. Una sorta di narcisismo inconscio fa capolino nei punti più deboli di una produzione comunque carica di personalità. Non mancano le idee a questi ragazzi piemontesi. Forse ne hanno fin troppe. Gli arrangiamenti non hanno sbavature, la pulizia sonora è invidiabile. Un disco che scorre lasciandoti qualcosa di importante. Non manca però quel retrogusto amaro, quella sensazione che ti lascia in quel limbo devastante dove la domanda “Manca qualcosa?” regna incontrastata.  La realtà è che non ci può essere nulla di più in The fifth State. Questa considerazione personale parte da un pensiero sostanzialmente basilare: forse in questo disco, ci sono fin troppe cose. A tratti si ha la sensazione che la proposta cerchi di compiacere se stessa con una serie di passaggi a vuoto, perdendo di vista gli intenti comunicativi. A parte questo The fifth State viaggia in prima classe sul treno del post rock italiano. Un album pensato, scritto e realizzato con una precisione assolutamente chirurgica. Un disco che non può che essere un piccolo successo personale per i King Suffy Generator. Consigliato? Manco a dirlo

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bandiera_italia    AUDIO FOLLIA

I King Suffy Generator sono un quartetto strumentale che arriva oggi al terzo lavoro a lunga durata (quarto se si conta anche il primo EP del 2007),questo “The Fifth state”,un album liberamente ispirato alle opere del pittore/scultore Giorgio Da Valeggia. La musica dei KSG è un post rock strumentale di grande fascino, dalle tinte psichedeliche e velatamente progessive e dai tratti talvolta sognanti ed onirici;andiamo a scoprirla insieme! Il disco in questione si apre con “Deralled dreams”,un brano altamente visionario introdotto da tenui battiti electro;man mano che il brano si evolve,però,svela la sua anima introspettiva,con chitarre ora luminose e riverberate,ora più ombrose e spigolose,che fanno da contraltare ad una sezione ritmica tesa e precisissima,tra riminiscenze progressive e segmenti “alternativi”. “Short term vision” è ancora più onirica e psichedelica,avvolta da delicati arpeggi chitarristici e solcata da un lieve synth;la seconda parte presenta un cambio di tempo,ma nonostante tutto si velocizzi,l’atmosfera rimane sempre sognante e caleidoscopica. “Rough souls” è un breve segmento dark affidato al synth,che lascia subito spazio a “Relieve the burden”,un brano potente e corposo,tra alternative e math rock,in cui gli incastri ritmici si fanno possenti ed intersecati tra di loro in maniera perfetta (e le chitarre taglienti come lame). “We used to talk about emancipation” è un brano ancora più meditativo:dopo un intro vagamente dissonante,l’atmosfera diventa ariosa e visionaria,in cui le chitarre sono sempre al centro dell’attenzione,così come la precisione millimetrica della sezione ritmica. Il finale è affidato a “Tomorrow shall we see”,un pezzo cadenzatissimo e umbratile,tra psichedelia introspettiva,umori stoner e parti più rilassate e pacate dal sapore ambient/progressive ;ed il gioco delle dinamiche,sospese sempre tra “piano “ e “forte”,è sempre ottimamente riuscito,e qui trova il suo compimento ideale. Davvero un bel lavoro,che fatico a togliere dallo stereo per la sua bellezza onirica:difatti una volta ascoltato,non si può fare a meno di ricominciare da capo,per coglierne ancora una volta l’essenza e tutte le più piccole sfumature. Perchè i King Suffy Generator non lasciano niente al caso e sono degli ottimi musicisti e compositori:come un pittore dissemina di particolari il quadro,loro fanno lo stesso con la loro tela musicale,arricchendo lo sfondo di tanti tasselli che vanno a formare il caleidoscopico sound variegato del gruppo. Da avere,assolutamente.

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bandiera_italia   ROBA DA ROCKER

I King Suffy Generator sono una band piemontese che nasce nel 2005 dalle ceneri dei Phonoramas e MSR. Dopo aver pubblicato per Crise Records un primo EP di stampo spiccatamente surf con influenze elettroniche e psichedeliche (Psychosurf EP, 2007). Il disco d'esordio "60 minutes circle" esce nel 2009 e proprio in questo periodo vengono selezionati nel circuito Italia Wave e si esibisconoa Sesto Fiorentino sul main stage con CSS, Mika e Kaiser Chiefs. Nel 2011 registrano il secondo disco "Illusion of a Perfect Path" (autoprodotto, 2013).  Dopo un cambio di formazione che ha visto subentrare Francesco Pagano al basso, registrano il loro terzo disco "The Fifth State", che ora andiamo ad ascoltare. Derailed dreams che l’EP si presenta subito con melodica potenza, la sezione ritmica è potente e precisa, traccia con evidenza il colore del brano arricchito da interessanti incursioni di synth. Short-Term Vision si esprime in maniera completamente diversa, parte con tappeti volanti di tastiera di grande fascino, poi irrompono le chitarre con un assolo di arrogante potenza. Fusi assieme proseguono in un corridoio musicale perfetto, una track decisamente interessante nella sua evoluzione. Relieve the burden è il paradigma dell’elettronica, suoni affettati e tirati, intervalli di chitarra essenziale per una canzone che corre spedita come un treno lanciato. Un treno che corre veloce con un carico di note, per fermarsi poi, nel finale, in una stazione affollata di suoni e strida di gabbiani in volo.  Rough Souls è un ruggito, un breve torrido boato che lancia We used to talk about emancipation, toni quasi più dubstep che post-rock. Ritmi sincopati e netti, tagli precisi, stilettate sonore  tirate con raffinata ed elegante accuratezza. Tomorrow shall we see è una mescolanza di percussioni e plettrate in battere e levare da strippare. Un brano spigoloso che scortica la pelle, un’alternanza di ritmi forte e piano che evita qualunque parvenza di noia.  In questo EP il gruppo si è ispirato alle opere del pittore e scultore Giorgio da Valeggia una riflessione sul passaggio dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo al Quinto Stato.. “L’uomo moderno– dichiara la band -è oramai svuotato dei suoi aspetti più umani, ma sempre impegnato a ricercare se stesso e il suo posto nel mondo, unico modo per tornare alle origini e alla semplicità, liberandosi così dalle oppressioni che lui stesso ha creato”. Musicalmente i ragazzi si muovono nel variegato panorama del post-rock, una spruzzatina di noise e di dub qua e là, ma non spostano il fulcro dalla base natia. Difficile annoiarsi ascoltando questo EP, le varietà ed i cambi di ritmo e tonalità sono continui ed improvvisi. La capacità tecnica degli strumentisti non si estrinseca mai in assoli fini a sé stessi, ma si pone al servizio della buona riuscita finale del prodotto. Un risultato che consiglia caldamente l’ascolto dell’album.

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bandiera_italia  LA MUSICA ROCK

The fifth State è il terzo lavoro dei piemontesi King Suffy Generator pubblicato per I Dischi del Minollo/audioglobe, 2013. Ispirato alle opere di Giorgio da Valeggia ed evoluzione del pensiero di Pellizza da Volpedo impresso nella tela di Quarto Stato, The fifth State porta in se un rock strumentale che affonda le radici nelle sonorità degli 70. I King Suffy Generator in questi 30 minuti scarsi mettono a ferro e fuoco i loro strumenti, tirando fuori momenti di rara intensità, a volte bui come in Relieve The Burden e We Used To Talk About Emancipation, a volte pieni di speranza come in Short-Term Vision. Tutto eseguito con impeccabile tecnica. I nostri mettono le mani su suoni già sentiti, che arrivano dal passato, ma che hanno un’aria moderna e non si perdono nei ghirigori che il genere, fatto di questi tempi, offre.  King Suffy Generator è una band che sa suonare e comporre. Una piacevole scoperta per chi ancora non si è affacciato questo mondo inteso ed impetuoso che è il rock-progressive.

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bandiera_italia   ROCK GARAGE

Sulla scia dei Mogwai, i King Suffy Generator imboccano il flusso del post-rock e creano The Fifth State: un album distopico e alienante velato da una calma apparente. Assolutamente un disco da ascoltare nella sua totalità, non tutto d’un fiato, ma prendendo e scandendo dei bei respiri profondi. Dalla calma a principi di tachicardia. I brani lunghi e completi non deludono le aspettative dei nostri padiglioni auricolari e, nonostante i 5 minuti’ di media per brano, il passaggio dal precedente al successivo appare rapido e dinamicamente statico. Ci si muove stando imperfettamente fermi. Dalla eterogeneità sonora e ritmica di Derailed Dreams si passa a Short-term Vision dal suono alienante e avvolgente. Dinamica staticità che si concretizza con il breve Rough Souls: un condensato di distopica epicità spaziale. Da qui veniamo traghettati verso Relieve The Burden. Il brano presenta un riff elettrico vecchio stile che ti disarciona e ti riprende in sella galoppando giù per una luminosa discesa. Alla fine, alle spalle il ricordo di un pianoforte. Fuochi fatui. La calma finisce presto perché si arriva a We Used To Talk About Emancipation e Tomorrow Shall We See: coppia sonora dalla distorcente uniformità. Caos e ordine, calma apparente e sudore freddo. L’ascoltatore viene scombussolato e cullato fino a fermare il suo stesso moto. Un sasso in un lago e i cerchi concentrici che danzano impazziti alla ricerca di un equilibrio che culmina con la quiete. Ma alla fine il sasso è pur sempre nel lago. I King Suffy Generator con The Fifth State lasciano un segno invisibile ad occhio nudo, ma visibile solo in profondità. Un sasso in un lago non cambia il lago, ma, seppur lievemente, ne aumenta il livello dalla riva.

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bandiera_italia   KATHODIK

Ve lo ricordate Bianciardi? Nella sua “Vita Agra” ci descrive l’uomo come macchina da lavoro, e pronto per poter fare una rivoluzione per poi finire dentro un sistema occidentale che ti risucchia. Non so se questa band conosce Bianciardi ma di certo ha preso spunto dal celebre quadro Il quarto stato” di Pellizza da Volpeda per arrivare al Quinto Stato e tirare fuori questo concetto. Questo quartetto (due chitarristi che si dedicano anche a sax e synth, un basso e una batteria) ci propone brani strumentali non facilmente incasellabili. Si va dal rock, alla psichedelia e alla new wave più che al prog di cui parlano tutti. Devo riconoscere che sono tutti molto preparati tecnicamente ma dovrebbero curare di più la parte melodica per essere più incisivi (soprattutto quando non ci sono le parole ad aiutare) ed arrivare al pubblico, altrimenti i brani tendono a rimanere statici. Rought Souls, terzo brano del disco è la via. Lì c’è tutta la decadenza che ci si aspetterebbe.

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bandiera_italia   PAPER STREET

Ispirato alle opere del pittore e scultore Giorgio da Valeggia, il titolo rappresenta la continuazione del celebre Quarto Stato, dipinto di Pellizza da Volpedo. Il gruppo racconta infatti il passaggio dal Quarto al Quinto Stato: l’uomo non è più artefice del cambiamento della società, ma, suo malgrado, ne è una vittima inerme. L’individuo moderno, nel pensiero musicale di Alberto Grossetti (batteria), Francesco Pagano (basso), Dario Bandini (chitarra e synth) e Daniele Tori (chitarra e sax), dopo essersi ormai svuotato dei suoi aspetti più umani, può tornare alle origini e alla semplicità solo impegnandosi giornalmente a ricercare se stesso e il suo posto nel mondo, liberandosi così dalle oppressioni che lui stesso ha creato. “The Fifth State” (I Dischi del Minollo/Audioglobe 2013) è il terzo disco dei King Suffy Generator, progetto strumentale nato nel 2005 dalle ceneri di Phonoramas e MSR. La band ha pubblicato un EP e un album tra il 2007 e il 2009 e poi è stata selezionata nel circuito Italia Wave, ottenendo così la possibilità di esibirsi a Sesto Fiorentino sul main stage con CSS, Mika e Kaiser Chiefs. Tra live nei principali club del nord Italia e diverse partecipazioni ai Festival, i King Suffy Generator hanno condiviso palchi con Giardini di Mirò, ZU, Bologna Violenta, Rudy Protrudi, Fuh, Fuzz Orchestra, Aucan, Ray Daytona e altri. Questo loro terzo album arriva inoltre nello stesso anno in cui hanno pubblicato il secondo dal titolo “Illusion of a Perfect Path”. Sono circa trenta i minuti in cui il gruppo piemontese si dona all’ascoltatore, riscaldando un prog strumentale, visto talvolta più come un pretesto iniziale per spingersi verso un post-rock sempre più determinato. In Derailed Dreams i primi suoni liquidi si allungano e prendono corpo, mentre in Short-Term Vision tendono a stabilizzarsi. In brani come We Used To Talk About Emancipation o Tomorrow Shall We See i King Suffy Generator si giocano poi la vasta gamma di sfaccettature che caratterizza il loro sound. Il synth e le chitarre infatti vengono inglobati all’interno di una struttura rock cristallina sin dal primo ascolto e si distaccano all’occorrenza, creando variazioni per soffermarsi sempre di più sui particolari. Se in certi momenti la band appare riflessiva, significa soltanto che attende di crescere d’intenzione e d’intensità quando è più opportuno e viceversa. King Suffy Generator in “The Fifth State”? “Conceptuali” al punto giusto

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bandiera_italia   KOMAKINO

Il Quarto stato di Pelizza da Volpedo ha per noi un altissimo valore simbolico. Vero. Il celebre dipinto del pittore piemontese è stato indiscutibilmente una folgorante allegoria dei movimenti sindacali del secolo scorso. Ha anche subito innumerevoli parodie, ma alla lunga la contraffazione più degradante l’ha subita proprio quel basilare concetto di coscienza e propensione al cambiamento delle cose che cercava di rappresentare. I King Suffy Generator, anche con il prezioso supporto delle immagini di Giorgio da Valeggia, ripartono ora dalla visione sconfortante di quello che rimane - oggi - di certe idee di riscatto e solidarietà. The Fifth state è proprio un concept su quell’indistinto e larvificato concetto di una classe sociale che ai giorni nostri non è più nemmeno in grado di distinguere o tratteggiare le proprie urgenze. In qualità di band totalmente strumentale, i KSG non hanno il dono della parola per recuperare testi da archeologia retorica. Al contrario sviluppano trame incredibilmente sublimi, complesse che guardano ad un futuro affascinante. Sarà che abbiamo visto più volte gli Ozric Tentacles al Villaggio Globale in condizioni di emergenza cerebrale, ma il quintetto piemontese sembra nutrirsi del gusto più affascinante del prog lisergico per dare alle strutture solitamente un po’ da camera chiusa del post rock, alcune aperture incredibilmente profonde e galattiche. Era dai tempi dei Verbal che in Italia non ci avvicinavamo ad un lavoro così ambizioso, raffinato e al tempo stesso devastante. In generale la libertà comporta sempre una quota di angoscia perché ci espone al carattere ogni volta contingente e privo di garanzie della nostra scelta e dei nostri atti. La cosa paradossale è che in italia nell’indie nessuno ha un’etichetta potente che è in grado di imporre una direzione artistica. Al confronto dei King Suffy Generator, pare però che tutti i gruppi sembrano cagarsi sotto di fronte a questa specie di carta bianca stilistica. Oltre a non aver nessuna preclusione a spaziare dal prog, alla psichedelia, al math e ad un certo tipo di indie acido i nostri sembrano sempre in grado di sapere cosa scegliere anche come farlo nella misura più cosciente e ardita possibile. Se i nostri amici Menrovescio con il loro recente K hanno scelto la via più urticante e piena di lava della psichedelia, i KSG ne trasmettono sicuramente la via più proteiforme e complessa. Per noi questa è droga.

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bandiera_italia   ROCKAMBULA

Dopo il Quarto Stato arriva il Quinto. I King Suffy Generator, ispirati dalle opere del pittore e scultore Giorgio Da Valeggia, ne fanno un concept-album, strumentale, sul processo che ha portato l’uomo ad essere vittima della stessa società che aveva in passato cercato di cambiare. Da forza motrice a ingranaggio muto. Il disco si apre con “Derailed Dreams”, tra chitarre e basso pulsanti, melodie imprevedibili, ritmiche ossessive, fino all’apertura del finale. Si prosegue con “Short Term Vision”, dalle parti dei God Is An Astronaut più intensi, o come una versione meno graffiante dei Kubark: arpeggi circolari, pulsazioni zoppicanti e atmosfere ariose, con in coda un finale perfetto, che s’inchioda nella mente con sorprendente facilità. “Rough Souls”, basata su appoggi di synth su sfondo noise, è nient’altro che una decompressione intermedia che ci porta a “Relieve The Burden”, acida e pungente, dove le chitarre predominano, alte e frizzanti, a scalare su e giù per la tastiera in riff inquieti, infestanti, e inserti ruvidi – la lezione della Psichedelia sixties viene assimilata e rielaborata attraverso il prisma del Post-Rock anni 90. Col piede si tiene il ritmo, con la testa si viaggia lontano. Il finale viene lasciato ad una coda di pianoforte e voci distanti: una nota malinconica prima dell’uno-due finale. “We Used to Talk About Emancipation” parte con un solido impianto ritmico, furioso e asimmetrico, e finisce riprendendo l’atmosfera, incattivendola, della chiusura di “Short Term Vision”, in un corto-circuito che provoca un interessante deja vù;mentre “Tomorrow We Shall See” mantiene alta la carica energetica degli ultimi due brani e la porta in situazioni ritmiche prima ondeggianti poi martellanti, con le distorsioni delle chitarre che premono contro basso e batteria, aprendosi qua e là in scoppi o distensioni improvvise che spezzano la continuità del brano, facendolo diventare una piacevole corsa ad ostacoli che non perde però in naturalezza. Verso la fine si rallenta e si prende un bel respiro: la sensazione è quella della camminata gonfia d’ossigeno dopo lo scatto feroce per arrivare al traguardo. The Fifth State è un ottimo album di musica strumentale: Post-Rock energico, abbastanza orecchiabile, psichedelico, atmosferico. Ai King Suffy Generator manca solo qualcosa che possa rendere più personale la loro opera. Detto questo, il disco ha senza dubbio tutte le carte in regola per poterlo consigliare, senza scrupolo alcuno, a tutti gli amanti del genere.

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bandiera_italia   INDIE PER CUI

I King Suffy Generator ritornano alla grande con una musica che ricopre pianure cementificate e uomini grigi che camminano con la 24 ore e il cellulare in mano. Un incedere frenetico lungo le strade delle città affollate, ricreando un mondo caotico e privo di respiro, dove l’anima non trova un corpo in cui abitare e dove gli uccelli fanno i nidi sulle antenne della televisione. Sei tracce di pura improvvisazione con sprazzi pinkfloydiani e chitarre post rock che schizzano in assoli ben pensati e stratificati quasi a fuzzeggiare su prati inesistenti. I  cinque regalano grandi prospettive armoniche in canzoni complesse come la notevole “Derailed dreams” e l’innocenza perduta di “We used to talk about emancipation”. Un continuo andare e tornare di controrif dipendenti da una linea ritmica solida che si fa strada nel prog pensato e ragionato. In copertina immagine appuntata di Giorgio da Valeggia che da il nome al disco “Il quinto  stato”, masse cadaveriche che guardano il vuoto, privi di esistenza reale. Un album marcatamente maturo con piglio internazionale, pronto a spiazzare qualsiasi purista di genere.

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bandiera_italia ACIDI VIOLA

Che il post-rock ti porta a spasso attraverso sentieri fatti d’elettronica, di psichedelia e di riferimenti cinematografico-letterari non è una novità. Però non tutti sono bravi a farlo. La gran parte dei gruppi post-rock pensa – sbagliando – che con una semplice chitarra col delay ha risolto tutto, e invece no. A me quel genere di post-rock non piace. Mi affascinano più lavori come The Fifth State dei King Suffy Generator che combinano meravigliosamente gli elementi di cui parlavo prima. Già l’iniziale derailed dreams, nonostante l’inizio tipicamente post-rock, non disprezza una degenerazione punk, dedicandosi alle linearità di questo, e scivolando, più avanti, in passaggi degni delle colonne sonore delle migliori spy-stories e divertimenti strumentali che strizzano l’occhio al rock progressivo. Come vi dicevo non è di quel post-rock che rimane lì, fisso e statico, per decine di minuti ma è un lavoro che – partendo dagli elementi tipici del post – sa dividersi e muoversi verso tante altre direzioni: short-term vision scivola di nuovo nelle linearità del punk, mischiando a queste diversi inserimenti elettronici. E poi ci si sposta su binari math con relieve the burden (che arriva dopo il minuto di “stacco” di rought souls): qui, gli ipnotici riff di chitarra, attorno ai quali girano le tessiture degli altri strumenti, danno quasi l’idea del ticchettìo di una bomba che, inarrestabile, corre verso la fine ma che poi, poco prima di esplodere, viene disinnescata, concedendo un finale di piano e rumori, quasi come fanno i Dresda. We used to talk about emancipation tiene in vita il nervosismo post dei primi pezzi e lo mischia ad una psichedelia funkeggiante che a volte, quando intervengono pesantemente i synth soprattutto, rallenta un po’ tutto. Si alterna il piano delle tastiere al forte delle distorsioni, che sanno accellerare il pezzo. Se siete abituati ad associare la definizione “post-rock” a gruppi lenti, qui sbagliate di grosso. Ci saranno sempre scariche di distorsioni che, pure quando rallentano, non persono mai potenza. Farà fede la finale tomorrow shall we see, vedrete.

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bandiera_italia  LA CADUTA

Il racconto dell’esperienza umana dello straniamento e dell’astrazione dalla realtà. Basato sulle opere di Giorgio da Valeggia, è un disco-viaggio dalle grandi pretese. Coraggiosi, i King Suffy Generator, a comporre un disco dai tratti “antropologici”, in cui pittura e musica s’incontrano; anima e corpo e note collimano in un unico affresco. I nostri attingono da molte influenze, da momenti “Tameimpaliani” (Short Term Vision), intro Goblinesche (Rough Souls) e ritmi spezzati in stile Biffy Clyro (We Used To Talk About Emancipation). Sono tutte strumentali molto pregiate, con un unico difetto comune: l’assenza di una vera e propria melodia portante, ed è forse una voce, che avrebbe potuto fare la differenza. Relieve The Burden e Tomorrow Shall We See risplendono, dando un’aspetto davvero nuovo e interessante alla parola “psichedelia”. La ricerca musicale, soprattutto nell’ ultimo pezzo, è notevole, andando a pescare in territori progressive e filo-jazzistici, senza risultare stucchevole o banale, o ricadendo in cliché. Punto dolente, è la scaletta, che non è fluida come ci si potrebbe immaginare. Le idee si affollano nei pezzi, riconducendo ogni canzone ad una o più melodie “circolari”. E’ un’idea, comunque, quella delle “melodie che si rincorrono”, interessante: Un flusso di note che rimane a fare da base agli snodi di ogni sezione del disco. E’ un’idea “nel magma” luziano, di cui un maggiore approfondimento potrebbe dare esiti inaspettati e affascinanti.

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bandiera_italia  DIVE IN SOUND

The Fifth State è il nuovo disco dei King Suffy Generator. L’album è uscito a giugno di quest’anno per l’etichetta indipendente I Dischi del Minolo, rappresenta il terzo album della discografia dei King Suffy Generator, l’opera è liberamente ispirata ai lavori del pittore e scultore Giorgio da Valeggia. I King Suffy Generator sono una band strumentale che nasce nel 2005 dalle ceneri dei Phonoramas e MSR. Le sei tracce contenute del disco sono tutte strumentali e si aggirano su un post-rock misto a progressive ben inquadrato e bilanciato. L’opera in se potrebbe essere benissimo una moderna colonna sonora destinata ad un film che non vederemo mai. I King Suffy Generator con i loro strumenti (chitarre, basso, batteria, sax e synth) mettono in musica un opera rock ispirata sul passaggio dal Quarto Stato di Pelizza di Volpedo al Quinto Stato, un processo che ha portato l’uomo da essere una forza motrice per il cambiamento della società a diventarne invece una vittima inerte. Possiamo considerare The Fifth State come un concept album a tutti gli effetti, sicuramente un disco non per tutti, bisogna essere amanti del genere per poterlo apprezzare o anche solo per capirne il contenuto. Quelli meno avezzi al rock strumentale potrebbero rimanere spiazziati di fronte a certe scelte stilistiche, il suono ha continui cambiamenti di stile, a volte pomposo e tirato a volte crepuscolare e inquieto. Se amate questo genere ve lo consiglio caldamente, il loro tipo di approccio strumentale rende al massimo durante i live, quindi vi consiglio di tenere d’occhio la loro pagina web per aver maggiori informazioni sui loro futuri concerti: kingsuffygenerator.com

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bandiera_italia   DEMON CLEANER 'ZINE

I King Suffy Generator hanno da poco pubblicato per I Dischi del MinolloThe Fifth State”,EP concettuale che prende spunto dall’opera di Pellizza Da Volpeda, il Quarto Stato, per farne una sorta di espediente narrativo per descrivere una modernità, il Quinto Stato del titolo, nel quale l’uomo da forza motrice per il cambiamento della società diventa una vittima inerme. La formazione è un quartetto in cui i 2 chitarristi si dedicano anche a sax e synth, la sezione ritmica è invece la classica composta da basso e batteria. La band si dedica a tessere trame strumentali con un sound abbastanza personale; a me più che ricordare il prog (genere al quale mi è parso di capire che i KSG vengono spesso accostati) vengono alla mente sonorità vicine ai primi Swervedriver (“Term Vision”) o persino i nostri Sensation Fix (che io fatico a definire prog) di “The Finest Finger”, ma virati in chiave più rock/shoegaze ( “Tomorrow shall we see”). Un po’ come ascoltare una versione rockettara di Hex dei Bark Psychosis, ma privato della voce. Personalmente se dovessi scegliere una composizione per descrivere al meglio il sound della band non avrei dubbi: “We used to talk about emancipation”, secondo me la migliore dell’intero EP nella quale convivono al meglio tutte le coordinate stilistiche del quartetto, ma con una punta di aggressività in più che non guasta.

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bandiera_italia  IMPATTO SONORO

La mia prima volta coi King Suffy Generator fu sconvolgente (e detto così…). Il loro intreccio musicale dal vivo era sorprendente, una band così “grossa” dal vivo, solo strumentale, era difficile da trovare. E così dopo il concerto comprai “60 Minutes Circle”, loro primo album. Ora mi ritrovo davanti il loro terzo disco e il mio giudizio non è cambiato, se non in positivo. Dove allora scorgevo solo il lato altamente progressivo di forte spinta late sixties, di memoria zappiana volendo, ora affronto anche il sintomo post-rock e non è quel senso di noia di cui troppo spesso sono vittima quando ascolto una qualsivoglia band “nuova” ascritta a questo genere ormai abusatello anzichèno. Dunque, tante paroline per dire cosa? Che tutta la roba che ho tirato in ballo in questa prefazioncina è racchiusa nel nuovo “The Fifth State”. Concept su come l’uomo da creatore, forza motrice e spinta sia diventato solo un inerme pedina delle sue creazioni, del suo modo di intendere una società in svuotamento e in degrado ed ispirato dalle opere dell’artista Giorgio da Valeggia. Così gli stati d’animo che compongono il disco si fissano gli uni sugli altri fino a creare un unico insieme monolitico di pensieri musicali ad incastro emotivo spaziale (e non uso questo termine a caso). Il liquido amniotico/elettrogeno di “Derailed Dreams” introduce ad una chiodata di chitarre post-rock fulminanti che si intrecciano in più punti in textures ora ascendenti, ora urticanti come pennellate di colore sgargiante. Di magnetismi elettronici è pregno tutto il lavoro, come la bellissima e “notturna” “Short-Term Vision”, dove arpeggi mat(h)ematici vivono una simbiosi catartica con un synth che riprende quel sintomo di acido sessantiano di cui sopra, e il sentore math torna preponderante anche nella tirata “Relieve The Burden”. La bellezza di questo lavoro è racchiusa non solo nelle dilatazioni chitarristiche ma anche dall’irruenza in precisione chirurgica di una sezione ritmica micidiale, dove basso e batteria non solo creano la struttura portante, ma sono parte di un rifferama serrato e caustico, proprio come in un incubo zappiano in progressione. Nel vuoto creato da noi uomini, “The Fifth State” riempie le mancanze con il suono di un passato futuribile nel sole di un post-rock astrale.

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bandiera_italia   ONDA ALTERNATIVA


King Suffy Generator è un progetto strumentale che nasce nel 2005 e, dopo un Ep e un disco d'esordio, vengono selezionati dall'Italia Wave per esibirsi a Sesto Fiorentino con artisti del calibro di Mika.  "The Fifth State", in uscita per "I Dischi del Minollo", ispirato alle opere del pittore e scultore Giorgio da Valeggia, sottolinea il passaggio dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo al Quinto Stato: questo è il processo che ha portato l'uomo da forza motrice per il cambiamento della società a vittima inerme della stessa; sotto il peso delle stesse oppressioni che egli ha alimentato, l'uomo moderno è oramai svuotato dei suoi aspetti più umani e l'unico modo per tornare alla semplicità delle origini è impegnarsi nella ricerca di se stesso e del posto da occupare nel mondo.  E' questo il tema portante dei sei brani che compongono l'album: l'equilibrio tra le diverse anime dell'uomo del XXII secolo è precario e quanto meno costante. "Derailed Dreams" si apre con un gioco di suoni simili a delle gocce d'acqua che cadono dal rubinetto, mescolate ad alcuni urletti e rumori tipici della natura, suoni che si sentono tutti i giorni.  Il sound della seconda track mi ricorda un po' quello dei 30 Seconds To Mars, un alternarsi di tensione e calma che si intercalano fino all'esplosione finale di ritmo (dal minuto 4.00, per capirci).  "Rought Souls" ha un'atmosfera quasi spettrale che ci accompagna per tutta la durata (limitata, solo 1.17 min).  "Relieve The Burden" e "We Used To Talk About Emancipation" sono le due track più particolari dell'album: l'una quasi la continuazione dell'altra, il ritmo è confusionario fino all'arrivo delle chitarre che rompono la monotonia e prevalgono sul resto degli strumenti creando un nuovo sound. "Tomorrow Shall We See" chiude in bellezza l'album con un ritmo dettata dalle chitarre e dalla batteria, a sottolineare l'appartenenza della band al rock quasi psichedelico, mescolato tra rabbia e speranza. Prive di parole, le track trasmettono quel senso di calma misto all'irrequietezza che è tipico del post, del progressive e dell'hard rock.  Consiglio l'ascolto veramente a tutti, rifatevi le orecchie!!

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bandiera_italia   OSSERVATORI ESTERNI

È prog nudo e crudo quello che i King Suffy Generator propongono nei trenta minuti scarsi di "The Fifth State". Terzo lavoro sulla lunga distanza, il Quinto Stato – ispirato alle opere di Giorgio da Valeggia ed evoluzione del pensiero di Pellizza da Volpedo impresso nella tela di Quarto Stato – continua il discorso iniziato nell’autoprodotto "Illusion of a Perfect Path", mostrando miglioramenti dal punto di vista tecnico e compositivo. Le numerose esibizioni live degli ultimi anni in compagnia di band come Fuzz Orchestra, Zu e Aucan hanno sicuramente giovato ai cinque ragazzi, ora maturi e sicuramente consci dei proprio limiti. Sei tracce che filano via spedite, che strizzano l’occhio tanto ai Tortoise "Derailed Dreams" sembra pescata dalle sessions di "Beacon of Ancestorship" - quanto ai norvegesi Jaga Jazzist, e che risultano fresche e leggere nonostante la natura strumentale della loro proposta.  Non si facciano scoraggiare gli ascoltatori dalla dicotomia prog-strumentale quindi: la bravura dei musicisti e la concisione di "The Fifth State" sono infatti due punti di forza della band di Verbania che non perde mai di vista l’obiettivo e non si perde negli orpelli verbosi in cui molte band prog si smarriscono compiaciute. "The Fifth State" è in definitiva un buon lavoro: ben suonato, ben arrangiato, appetibile per il pubblico estero; con una produzione leggermente più “live” avrebbe guadagnato in spinta ed efficacia, ma questi sono semplicemente dettagli. Aspettiamo con ansia il prossimo lavoro.

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bandiera_italia   SHIVER

Quello che i piemontesi King Suffy Generator racchiudono nel nuovo lavoro discografico The Fifth State è un omaggio nobile, ai sinthetismi e ai gioco forza di un certo rock-shoegazer innamorato delle sonorità elettroniche in vena psichedelica, un disco tecnicamente ineccepibile rispetto ai succitati modelli espressivi e che si ispira liberamente ai cromatismi del pittore/scultore Giorgioda Valeggia; si presenta robusto e aleatico, nel pieno rispetto delle geometrie e delle tecniche suggestive di tutto quello che schizza fuori o dentro le progressive creeply dell’amniotico e delle seminalità di liriche mute. C’è un pizzico di dissolutezza, giochi provocatori di contrasti di melodie innocenti e suadenti electro-wave che aspirano, ruotano e risputano quella folle summa di infinito, quelle forme di energia color torba che depongono astrattismi reali quanto mutevoli cambi rotta improvvisi; i KSG espongono simmetrie molto accurate che – come in un viaggio Wakemaniano – colpiscono dritte al cervello, stuzzicando le memorie più remote all’interno di un trip di umori e tracciati in continuo movimento. La band definisce la sua opera come una riflessione, un passaggio da Quarto Stato di Pellizza da Volpedo al Quinto, a quell’evoluzione umana e sociale che invece di andare in avanti porta tutto tra gli ingranaggi delle retrovie, in quelle pessime astanterie di ripiego in cui l’uomo rotola e si ri(rotola) all’ossessione, ed è vero, questa musica è una visione che descrive bene quanto declamato, ed è una potenza frontale di guerra e d’amore. Tutto è legato a strutture anni Settanta, math, King Crimson e certi svolazzi acidi alla Hawkwind che danno il respiro ampio della trance notturna, di istanti di false quiete e immagini senza dimensioni, un disco coordinato dalle sentenze di una follia vigile, altolocata e contemporanea che strugge e sanguina, che ama e introduce intrecci d’anima tra distorsori, pedaliere e ritmi ondifraghi; una folgorazione senza tempo che fora tutta la tracklist, la passa con sviluppo cinematico e si attorciglia  nei fragori complessi di Short term vision, li coagula nella melodrammaticità cosmique che occhieggia in Rough souls e nelle apparenze Oldfieldiane (Relieve the burden) fino a scioglierle di nuovo nelle pastorali elettriche che Tomorrow shall we see apre e chiude come branchie intermittenti di vita, morte, vita e morte, nel continuo divenire degli accadimenti. Decisamente buone cose “dallo spazio oscuro” underground!

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bandiera_italia  SHAKE

I King Suffy Generator tornano con The Fifth State, a proporre la loro ideale colonna sonora per un uomo moderno ormai vittima di se stesso che torna indietro a ricercare la sua forza/natura originaria, con un sound più diretto rispetto al passato sempre di base hard rock che non disdegna il math, il progressive, lo shoegaze, il post rock, la psichedelia, con la coppia ritmica Alberto Grossetti e Francesco Pagano sempre precisa e puntuale a reggere e a ben supportare le chitarre, i synth e il sax di Dario Bandini e Daniele Tori. I nostri propongono un vero e proprio rito di passaggio, una lotta intestina che è espressa confacentemente nei rimandi tra gli strumenti, nei chiaro scuri dell'opera che sembra sempre poter aprirsi alla melodia o a lasciarsi andare a un'espressione di forza ma rimane la, come impigliata sul suo concept a riflettere sulla sua stessa essenza... sembra quasi un limite ma è il messaggio vero e proprio... reso ancor più nitido anche dalle note stampa del gruppo che si è ispirato alle opere di Giorgio Da Valeggia, pittore e scultore:" una riflessione sul passaggio dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo al Quinto Stato, un processo che ha portato l'uomo da essere una forza motrice per il cambiamento della società a diventarne invece una vittima inerme. “L'uomo moderno, è oramai svuotato dei suoi aspetti più umani, ma sempre impegnato a ricercare se stesso e il suo posto nel mondo, unico modo per tornare alle origini e alla semplicità, liberandosi così dalle oppressioni che lui stesso ha creato.” Un album sul passaggio, su una fase di transizione ma assolutamente non di passaggio ne di transizione. Non per tutti ovviamente ma sicuramente un album di livello.

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bandiera_italia   SALAD DAYS MAGAZINE

Non conosco i lavori precedenti dei King Suffy Generator (il debutto ‘60 Minutes Circles’ quello più significativo, a detta delle informazioni raccolte sul web), ma questo ultimo (terzo) ‘The Fifth State’ (dalla durata concisa: ventisei minuti in sei tracce) permette di essere moderatamente ottimisti. Si tratta di rock strumentale un po’ prog, un po’ post, un po’ psych, un po’ hard, riconoscente agli anni settanta in maniera abbastanza esplicita, anche se i suoni sono limpidi e moderni. Liberamente ispirato alle opere dell’artista Giorgio da Valeggia, il lavoro ha i suoi punti di forza nei suoni ricercati (l’incipit lisergico di ‘Derailed Dreams’) e nell’impatto (le durezze math di ‘We Used To Talk About Emancipation’), mentre in alcuni casi si cavalcano canovacci già conosciuti e ampiamente sviscerati (il prog-metal di ‘Relieve The Burden’, i volteggi nordici di ‘Short-Term Vision’). Ma anche questi brani non cedono quasi mai alla banalità. Tutto viene eseguito impeccabilmente, non c’è nulla di troppo sbagliato in questa musica, se non (forse) qualche passaggio arrangiato in maniera troppo “automatica”, per un lavoro sicuramente riuscito che offre buone chance per il futuro.

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bandiera_italia   MUSIC ADDICTION

I piemontesi King Suffy Generator sono in giro dal 2007 e hanno già pubblicato un ep e un disco ufficiale. Ciò non toglie loro impeto e freschezza… Il nuovo album si dimostra, infatti, abbastanza gradevole, ben prodotto e stilisticamente coeso. L’idea di base è quella di miscelare, senza estreme forzature, psichedelia anni ’60, progressive, un po’ di stoner storico e post-rock. Certo, la proposta sembra già a prima vista stantia e noiosa, ma rende bene su disco, meglio di quanto ci si potrebbe immaginare. Gli strumentisti chiamati in causa sanno il fatto loro, sono tutti perfezionisti e hanno il buon gusto di non strafare, specie il batterista che, forte di una personalità immediatamente riconoscibile e di uno stile maturo, caratterizza il ritmo dei brani con tocchi giusti e pieni, mai superflui. Il suo drumming, insieme ai suoni liquidi della chitarra solista, è il vero elemento distintivo del sound, ora dilatato e psichedelico, ora più teso e vibrante di rock. C’è da dire che le sferzate più stoner e dure, o più hard-rock, cadono spesso nel vuoto essendo putroppo mitigate da un mixaggio votato eslusivamente a soluzioni post-rock. L’impatto riemerge col riff anfetaminico di “Relieve the Burden” prima che il solo di chitarra trasformi il tutto in una divagazione tipo Santana riproposto dai Tortoise. Dilungandosi in effetti d’ambiente abusati o vagamente spaziali (“Rough Souls”, 3/4 di “Derailed Dreams”) i KSG indugiano nel solito e interrompono, purtroppo, il filo estetico dell’opera, disperdendo l’interesse e i risultati dell’ottima interpretazione. I brani, tutti strumentali, dimostrano comunque sapienza tecnica, chiarezza d’intenti, nobiltà poetica… Eppure qualcosa manca. Il gesto non è mai brillante o completamente soddisfacente. Perché? I KSG risultano alla fin fine più farraginosi di quanto dovrebbero o potrebbero essere. Colpa degli schemi post-rock che il gruppo cerca invano di rinverdire con elementi forse impropri o comunque mai pienamene a fuoco. Tutto ha più senso e bellezza nell’elegiaca “Short-Term Vision”, un bell’incarstro di arpeggi e synth da ballata spaziale. Quando cioè la direzione è più chiara e coraggiosa e la contaminazione più istintiva. Tra tanti incompetenti musicali che vogliono cimentare la loro abilità strumentale in un prog-rock aggiornato, i KSG possono comunque vantare forma e sostanza creativa, capacità tecnica, idea armonica contemporanea, coesione e finezza. Pur senza presentare passaggi di grande originalità o profondo spessore estetico, “The Fifth State” è un buon lavoro di squadra, che al di là del genere in sè merita la piena sufficienza.

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bandiera_italia   IL BLOG DELL'ALLIGATORE

King Suffy Generator questa sera in palude per la prima volta, a portarci la loro visione del mondo. Sì, perché la musica progressive-rock, sempre troppo poco apprezzata alle nostre latitudini, spesso riesce a volare alta, in suoni, pensieri e azioni. È il caso di questo loro nuovo cd, il terzo della progressione dell’originale band toscana: The Fifth State, profonda riflessione strumentale sulle amebe che siamo diventati. Se il Quarto Stato aveva l’uomo protagonista, che avanzava compatto come in quel meraviglioso celebre dipinto di  Pellizza da Volpedo, il Quinto Stato ha l’uomo schiacciato e indifeso, non più motore del cambiamento, ma vittima. Questa la tesi alla base dell’album dei King Suffy Generator , di recente dato alle stampe per I dischi del Minollo, tesi molto vicina a quel che si scrive e dice qui in palude da sempre. Liberamente ispirato alle opere del pittore e scultore Giorgio da Valeggia, è solo musica, ma una musica che parla forte. Psichedelia e hard-rock, momenti di rara intensità, a volte arrabbiati e bui, a volte densi e pieni di lucente speranza, che sembra vedersi in certi attacchi di chitarra. Sì, ascoltando The Fifth State io ho visto la luce. Provate ad ascoltarli anche voi, forse ci riuscirete.
 
 
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Quattro anni dopo il debutto lungo ’60 Minutes Circles’ ritrovo i piemontesi King Suffy Generator, che all’epoca mi avevano sorprendentemente entusiasmato con quella faccia un po’ così, tra space e dilatazioni psych, con un coinvolgente “tiro”, con una capacità di (ri)creare atmosfere di stampo ’70 assolutamente immerse nell’attualità. Dopo la recente release ‘Illusion of a Perfect Path’ il quartetto prova a confermare quello status precedentemente raggiunto, attraverso sei brani per un totale di circa ventisette minuti. Ma quel furore ha lasciato spazio (purtroppo) ad uno standardizzato post-rock strumentale con un’invadente eco progressive senza verve e senza colpo di coda alcuno. Tutto già sentito e battuto a non rendere giustizia alla bontà di una formazione che evidentemente sta ancora cercando la propria strada artistica. E alla fine dell’ascolto quel 2009 appare lontano, lontanissimo
 
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King Suffy Generator nasce nel 2005 dalle ceneri dei Phonoramas e MSR. Dopo aver pubblicato un primo EP di stampo surf con influenze elettroniche e psichedeliche , si orientano verso sonorità più articolate, progressive e post-rock. L’attività del gruppo è intensa con diversi album registrati fino ad arrivare al loro terzo disco “The Fifth State”, in uscita per “I Dischi del Minollo”, ispirato alle opere del pittore e scultore Giorgio da Valeggia. Quattro Anni dopo  ”60 Minutes Circles” la band piemontese si ripropone con atmosfere  anni ’70 diluite, mixate, rafforzate da  post-rock strumentale  e una progressiva personalizzata; “The Fifth State” è la sperimentazione che prende una curvatura personalissima, incisiva, mossa dal desiderio di unicità che i King Suffly sfiorano alla grande.

L’introduzione acquatica, aliena di Derailed Dreams ci prepara ad un’immersione in un mondo niente affatto sconosciuto ma dal quale mancavamo da un bel pezzo.

Poco tempo fa, parlando de Gli Altri, band post-hardcore e quindi lontanissima dai King Suffy Generator, mi meravigliavo positivamente di come una band nostrana fosse stata in grado di portare una forte componente post-rock all’interno della loro musica in questi nostri giorni così lontani dal bel post-rock perchè – intendiamoci – di gruppi che reiterano le dinamiche delle scuole di Louisville e Chicago ve ne son fin troppe, lì arrabbiate e pronte a triturarceli con le loro geometriche intemperanze ‘emo’ e violenza math fine a sè stessa.

Quindi il post-rock non riesce ad invecchiare (e sedimentare nelle coscienze musicali) perchè ancora non vuole essere mollato dagli orfani dell’hardcore (quello vero che non hanno mai conosciuto) e allora si accaniscono sul suo corpo morto squassandone la carcassa come avvoltoi e rimestando e beccando lo svuotano di senso e significato.

E poi arrivano delle persone per bene a ricordarci che esisteva un altro modello di post-rock oltre ai soliti due comunemente  proposti, quello ben più difficile, fantasioso e ricco di sfumature dei Tortoise. Ecco dove guardano i King Suffy Generator ed ecco perchè nelle loro composizioni si affacciano elementi progressive, space e persino latin rock.

La stessa Derailed Dreams nel suo algido rigore ritmico si infiamma di aperture che ricordano il primo Santana, quello vero, non il pupazzo con cui l’hanno sostituito poi.
Ritornano le sospensioni dei Tortoise in Short Term Vision esono proprio quelli di TNT, quelli più vicini ai deliqui dei cugini analog-pop The Sea and Cake.

E non bisogna meravigliarsi a parlare di prog ed affini perchè gli stessi Tortoise erano affascinati dal motorik krauto e da certe sperimentazioni settantine. Ecco perchè il minuto e poco più di Rough Souls sembra una traccia perduta dei Popol Vuh o degli Amon Düül.

Relieve The Burden dimostra come la band sappia anche incalzarci ma persino nella foga neo-prog riesce a non perdere mai il controllo ricordandoci – come anche la successiva We Used To Talk About Emancipation un’altra delle più grandi band post-rock – meno imitate – di sempre, gli Shipping News.

Un disco così ed una band di connazionali così, di questi tempi bisogna tenerla  d’occhio. Non mi stupirebbe ritrovarli nelle charts indipendenti tra i migliori dischi italiani dell’anno.

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