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press-review "Superhumans" PENELOPE SULLA LUNA


  RUMORE

Hanno iniziato come canonico gruppo post-rock strumentale in pieno boom indietalico del genere e dimostrano di essere sopravvissuti alla sua dipartita incrociandolo con progressive, elettronica ed ambient (nell'uso delle tastiere) e pure un pizzico di post-metal (nei rari episodi vocali) : detta così sembrerebbe digeribile quanto le melenzane ripiene di mamma Concetta e invece "Superhumans" pur avendo gli stessi ingredienti và giù come una ciotola di riso in bianco. 

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bandiera_italia  INDIEPERCUI

Questa recensione arriva dopo 6 mesi dall’uscita di “Superhumans”, ma di certo non può non stupire l’ascolto di questi 8 brani che sono la prosecuzione di un percorso iniziato dai Penelope sulla luna ancora 7 anni fa; toccando picchi di cieli stellati e andirivieni cosmici che non possono lasciare indifferente chi li ascolta anche solo per la prima volta. Il terzo album in studio dopo il fortunato “Enjoy the little things” possiede intrinseca la colonna sonora del quotidiano condita in salsa post rock da uno strumentale distorto: colonna portante di un film dalle ambiziose aspirazioni. I 5 emozionano e lo sanno fare egregiamente, perché nella loro musica nulla è affidato al caso e ogni nota è associata ad un ritorno progressivo alle origini di Mars Volta, Mogwai e Don Caballero che penetrando in profondità regalano fiori recisi di uno splendore unico da riporre su di un tavolo per la propria amata. Pezzi adrenalici come “Superhuman” ricordano il Corgan di Machina che intrattiene ad un party i QOTSA, i passaggi poi tra le varie canzoni sono colpi al cuore dove la tastiera fraseggia in intro eleganti come in “Feathers cry in pillow wars”. “Rainbow club” con melodie chitarristiche ascendenti sembra essere la canzone più solare del disco mentre “Vendetta” è sussurro gridato e quasi incomprensibile ai più che si dilata fino a scoppiare come mine in defrag. “Goblin” conta i passi che la portano a “That’s not how the story endes” per un finale delicato che non vuole essere condotto/ricondotto al capolinea. Bella prova davvero, un concentrato di melodia rumorosa da veri intenditori che affiancando un suono a tratti meditativo ricostruisce con minuziosa precisione i secondi che ci separano dall’esistere.

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bandiera_italia ROCKIT

La copertina un po' Pixar del nuovo album mi fa storcere la bocca, ma un libro non lo si giudica dalla copertina e mi immergo senza pregiudizi grafici nel mondo del Penelope sulla Luna. Un percorso lastricato di Mogwai, sul quale i ferraresi scrivono otto nuovi episodi di post rock contaminato, ben suonato, malinconico ed emozionante. La title track apre questo album con una melodia parente stretta delle "Tubular Bells" di Mike Oldfield, ma l'elettronica usata risulta parzialmente fastidiosa, come solo quella dei Subsonica sa essere. Fortunatamente presto viene annegata da un'onda anomala di distorsioni quasi sludge e dalla voce post harcore. L'insieme sta in piedi, fa pensare a come potrebbero diventare romantici i Rammstein, se solo volessero. La seconda traccia, "To kill you in your sleep", mette a fuoco la ricetta che lega gli ingredienti di questo calderone sonoro in continua ebollizione: la voglia non troppo celata di omaggiare il prog degli anni 70 aderendo comunque alle leggi non scritte del post rock: tensione, tempesta, calma. "Feathers cry in pillow sleep" si avvale del vocoder per costruire una tessitura sinistra e poi dipanarla ottimamente tra arpeggi e aperture epiche. "Goblin", come si evince dal titolo, paga tributo alla band di Simonetti, mentre con "Vendetta !!" siamo dalle parti dell'emo anni 90, con tutte i nostalgici stati d'animo connessi a quel periodo. Ho dei grossi problemi col piano finto di "Shooting monkeys in to space", ma il pezzo ha un alto senso drammatico e giunge a segno. "Rainbow club" è un ponte verso "That's not how the story ends", il finale post apocalittico, perfetta sigla di chiusura di una serie tv a tema. Un lavoro sfaccettato, segnato dalla tastiera come croce e delizia dell'intero album. Avrei prediletto strumenti  reali, lasciando da parte quel modernismo da software, che fa suonare tutti come i Muse. Lasciando da parte le perplessità foniche, i brani sono coinvolgenti ed affascinanti, suonano onesti come pochi altri nell'affollato panorama di genere e lasciano l'ascoltatore stanco ed appagato, come dopo un viaggio importante. Li attendiamo fiduciosi alla prossima prova.

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bandiera_italia  BEAUTIFUL FREAKS

Uscito ormai alcuni mesi fa, Superhumans è l’ultimo lavoro dei ferraresi Penelope sulla Luna (Andrea Favarato basso, chitarra, Doriana De Marco chitarra, vocoder, Roy Davison piano, synth, campionamenti, voce e Thomas Pifferi batteria). Con una formazione largamente rimaneggiata rispetto agli esordi, si sono presentati con questo lavoro ad una prova di maturità e di consapevolezza compositiva sulla scena post rock nazionale e non solo. Si può dire immediatamente che il progetto sia riuscito e che rappresenti un tentativo coraggioso di dotarsi di uno stile originale e composito, in un contesto musicale ormai saturo dove il pericolo di rimanere schiacciati dall’esempio dei grandi del genere (Mogwai, 65daysofstatic, God Is An Astronaut per fare dei nomi e che probabilmente sono ispirazione anche per il quartetto ferrarese) è molto probabile. Il prog, l’hard rock, il post metal (nel potente growl di Superhuman, brano d’apertura) riecheggiano nelle atmosfere più crepuscolari e malinconiche dei brani e negli arrangiamenti molto curati, con synth, campionamenti e vocoder che si alternano alle linee ritmiche incombenti e alla chitarre avvolgenti e potenti. I pezzi, tutti strumentali ad esclusione del primo, creano un affresco malinconico, emotivo, striato da colori contrastanti, da esplosioni di energia e fuochi lontani e notturni. L’impatto emozionale e la capacità evocativa delle tracce rimandano ai God Machine, alla loro musica epica ed intimista allo stesso tempo. Certo non siamo a quei livelli compositivi e sonori, ma la forza musicale del lavoro dei Penelope è rilevante. In qualche modo Superhumans è un quasi un concept album, con strutture che si ripetono senza soluzione di continuità nell’andamento dei brani (introduzione, crescendo, esplosione, epilogo) e tra i brani (segnati da rabbia esistenziale e riflessione interiore, in coerente alternanza) con le tastiere a riannodare i fili della narrazione e con spunti melodici che riaffiorano da una traccia all’altra. Il risultato è coinvolgente, anche se a volte dà la sensazione di poca fluidità e immediatezza, anche la componente elettronica sembra un po’ trascurata e gli inserti sintetici e digitali appaiono sottotono rispetto al resto degli strumenti. D’altra parte Feathers Cry In Pillow Wars o Vendetta!! sono pezzi riusciti dove scariche di adrenalina si diluiscono in ambienti più rarefatti e segreti. Ma è soprattutto la lunga e cinematografica Goblin, quasi una suite di oltre otto minuti, a riflettere e miscelare al meglio tutta la filosofia (e anche i difetti), la quieta disperazione della musica dei Penelope, con un esito (come tutto il disco) molto interessante.

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bandiera_italia   MUSIC MAG

Penelope sulla luna, una rock band ferrarese in pista ormai da oltre sei anni, con “Superhumans”, ultimo cd contenente otto brani tiratissimi, è in grado di farci comprendere l'esatta differenza che separa il buon rock dal rumore indistinto. Tutto ciò potrebbe fare sorridere, ma per chi si ritrovasse ad ascoltare le molteplici proposte che quasi quotidianamente giungono dal pianeta rock, la riflessione avrebbe un proprio significato. “Superhuman”, il brano di apertura che dà il titolo all'intero lavoro, mette insieme atmosfere surreali dettate soprattutto dai suoni elettronici e qualche contaminazione metal, arie evocative di mondi lontanissimi, ma soprattutto un rock di ottima fattura, con suoni puliti, decisi, con destinazioni certe. Ma volendo proseguire nell'ascolto (gli scettici non si accontentano mai della prima impressione), ecco “To kill you in your sleep” che parte da presupposti molto diversi e distanti dal brano precedente, ma ci conferma l'idea che già ci stavamo facendo di questa band che riesce nei suoi toni aggressivi a trovare, quasi come si trattasse di una sorta di gioiello nascosto, anche qualche accenno alle trasparenze di toni maliconicamente melodici. Qualcosa di simile lo troviamo anche in “Shooting monkeys in to space”, ove però il ringhio della chitarra elettrica, dopo un avvio quasi dolce, ben presto rimarca che abbiamo a che fare con rock puro e che questo deve essere. Poi arriva “Rainbow Club”, quasi una pausa, un tirare il fiato, con in evidenza gli accordi di una chitarra elettrica su tutto, quasi delicati, quasi soft. Del resto, ci sta questa questa tregua prima di “Vendetta!!”, il brano successivo che torna a graffiare con un'ouverture rabbiosa per poi placarsi, ma solo per qualche istante. In “Goblin” l'arpeggio di chitarra iniziale potrebbe essere quello di una canzone degli anni Sessanta, poi il brano prende corpo, si sviluppa, concede qualcosa all'armonia e trova un percorso di oltre 8 minuti in cui si racconta con cadenza forte ed a tratti rabbiosa, ma mai esasperata. E per chiudere, il rumore un po' artefatto del vento annuncia “That's not how the story ends” e un pianoforte lento richiama la solitudine, come quella di un camminatore stanco che si avvia verso l'ignoto. Quando il rock riesce anche a fare pensare alla poesia, allora non ci sono dubbi, è ottimo rock.

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bandiera_italia   I THINK MAGAZINE

I Penelope Sulla Luna, band rock ferrarese attiva dal 2006, tornano con un nuovo album  Superhumans, prodotto da Enrico Baraldi per i già ben noti Dischi del Minollo, che esce ad un anno di distanza dal precedente ep Enjoy The Little Things ed a ben quattro dal primo album autoprodotto, My Little Empire Il progetto, un post-rock quasi esclusivamente strumentale, dipana via via lungo gli otto brani che compongono l'album: un po' di progressive, elettronica e ambient ed anche un pizzico di post-metal (nei rari episodi vocali). Definire il genere di questo lavoro risulta difficile, viste le molteplici contaminazioni che contraddistinguono questo disco; forse il denominatore comune sta nelle scelte dei suoni, nelle atmosfere grigie al limite del pessimismo, nelle strutture dei brani, che lo rendono un prodotto potente ed energico da ascoltare tutto d'un fiato. Un album della durata di poco più di quaranta minuti dove, in alcuni brani che arrivano a sfiorare anche gli otto minuti, l'anima progressive del gruppo prende il sopravvento sfoderando pesantezza metallica e alternando elettroniche synth a passaggi di piano, il tutto perfettamente convivente nello snodo consecutivo dei brani. La title-track, ad esempio, parte con un piano quasi soffiato per poi sfociare in elettroniche distorte, noise, dove si trova anche una concessione alla voce cantata-urlata. Si passa ad una ballad, Feathers Cry In Pillow Wars, che finisce per trasformarsi in un prog convinto e convincente. Psichedelia e post-rock fanno invece capolino in Shoting Monkeys In To Space. Alcuni accenni agli Smashing Pumpkins si notano, a voler essere pignoli, in Vendetta!!, mentre primeggiano sinuosi arpeggi che si intersecano alla perfezione in Rainbow Club. Il pianoforte a cui accennavamo prima, trova ampio spazio, quasi in maniera ossessiva per tutto il pezzo, in To Kill You In Your Sleep. Sonorità ambient, anche se di matrice molto dark, si ritrovano in That's Not How The Story Ends. In definitiva, ottimo il risultato di ricerche e sperimentazioni sonore che ha portato i Penelope ad un perfetto stile compositivo, quanto l'interpretazione del concetto di post-rock, alt-rock e prog e della moltitudine di direzioni sonore verso le quali si sono rivolti.

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bandiera_italia   KD COBAIN

Tornano, a un anno di distanza dall'ep “Enjoy The Little Things”, e a ben quattro dal precedente album “My Little Empire”, i ferraresi Penelope Sulla Luna. Il quartetto formato da Andrea favarato (basso, chitarra), Doriana De Marco (chitarra, vocoder), Roy Davison (piano, synth,campionamenti, voce) e Thomas Pifferi (batteria), prosegue lungo la strada di un post rock quasi esclusivamente strumentale, e questo “Superhumans”, rivela sicuramente un salto di qualità dal punto di vista compositivo rispetto al passato, e a dimostrarcelo è subito la granitica title-track, brano che è una sintesi tra l'industrial di Rammstein e Nine Inch Nails e il post-metal di band come Isis e Tool.  Decisamente più melodiche le atmosfere di “Feathers Cry In Pillow Wars”, emotivo crescendo con il piano in evidenza, in stile Mogwai. Splendide anche le montagne russe di “Vendetta!!”, che comincia come un geometrico assalto all'arma bianca, per poi aprirsi in evocative aperture melodiche, per poi riprendere nuovamente a ruggire. Chiusura affidata agli inquietanti paesaggi ambient post-industriali di “That's Not How The Story End”.  “Superhumans” è un disco emozionante, intenso, che richiede attenzione, ma che ripaga abbondantemente, non possiamo far altro che consigliarlo.

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bandiera_italia   SALTINARIA

I Dischi del Minollo li conosciamo, sappiamo che producono con grande attenzione. Anche in questa occasione siamo di fronte ad una bella opera, frutto dell'impegno di Enrico Baraldi ed ovviamente dei “Penelope sulla luna” band priva di cantante ma non per questo meno gustosa di tante altre da assaporare. Le lettere degli uffici stampa sono spesso un collage di complimenti gratuiti e frasi auto referenziali ma stavolta è tutto vero e il punto di riferimento è quello suggerito: Superhumans sembra scritto dagli fratelli (italiani) dei “65dayofstatic” comunque da musicisti di talento e di valore, da persone che hanno ascoltato tanta musica inglese, tanto IDM, tanto rock,e tante colonne sonore. I brani hanno tutti una bella struttura, ci accompagnano in un racconto teso e tirato, con inizi decisi, sviluppi intriganti e finali saturi di saggezza e sorpresa, come la nota di pianoforte sola e disarmante che chiude il potentissimo brano “Goblin”.  In Superhumans i pensieri dei Nostri sono sempre drammatici e il pathos si raggiunge mischiando con sapienza l'arroganza e la dolcezza, il fragore e la tristezza, fino a sentire spuntare, nel groviglio di suoni: ansia, frustrazione, rabbia, rivoluzione, accettazione e quiete. Molto bravi. Il giudizio finale è largamente positivo. I Penelope sulla luna non hanno niente da imparare dal punto di vista compositivo. Hanno da curare appena appena i suoni, possono – volendo esagerare - migliorare la tecnica personale (per diventare mostri indiscussi) e poi devono solo essere ascoltati in radio. Se lo meritano

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bandiera_italia   ROCK GARAGE

Ci siamo. I Penelope Sulla Luna hanno dato un seguito al loro EP dal titolo Enjoy The Little Things  che aveva rappresentato un nuovo inizio per la band grazie ad una certa stabilità in line-up e che aveva fatto affiorire anche un folto mazzetto di idee interessanti. Con questo Superhumans si compie il passo tanto atteso e la band assume una forma di senso compiuto, si esprime su un lavoro che raggiunge i 44 minuti e soprattutto intuisce la giusta direzione da dare al proprio progetto, in coerenza con quanto già espresso tramite il precedente EP. In altre parole nei Penelope Sulla Luna la passione per la musica strumentale è posta al servizio di melodie intricate e per certi versi ostili ma che rendono affascinante il sound e lo inquadrano ad un livello alto, non solo in termini compositivi ma più in generale artistici. Difficile immaginare la loro proposta musicale osservando la copertina: a differenza dei colori e della creatività che richiamerebbe più lidi alternative/indie, i Penelope Sulla Luna si collocano benissimo nello scenario post-rock moderno, andando a disturbare con questo ultimo lavoro anche il post-metal. Va comunque segnalata la rappresentazione (secondo noi geniale) all’interno del booklet di un monopoli adeguato alla realtà che ci circonda, con tappe e proprietà che ci ricordano dove l’umanità sta andando e gli innumerevoli ostacoli (e crimini) che si incontrano giorno dopo giorno (dai quali probabilmente viene preso spunto per il titolo dell’album). Così la visione strumentale dei nostri assume forme diverse: da una più pacata (come ritmo) e claustrofobica (come sound) Feathers Cry In Pillow Wars (ripresa poi in parte in Goblin), ad assaggi noise nella title track, passando per il pianoforte onnipresente di To Kill You In Your Sleep e allo spirito ambient che vive qua e là. Ancora più diverso l’attacco di Vendetta!! che sfocia nel metal per poi cambiare rotta nel corso del suo viaggio grazie ad un synth dal sapore horror, ulteriore elementi differenzianti nell’offerta dei Penelope. Non è dato sapere come si evolverà questo progetto, se verso lidi più congeniali con quanto il mercato richiede o verso panorami musicali ancora più stentorei come l’avantgarde, ma di certo a questo punto la curiosità cresce enormemente.

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bandiera_italia   STORDISCO


Ritornano “on air” con la loro spiritualità aliena e respirata come al confine di un bel collasso post-rock i Penelope Sulla Luna, la band dell’underground italiano che più di altre ha saputo imprimere nell’immaginario collettivo quel senso di colpa verginale per non avere riconosciuto – tra i ventricoli urlati e strapazzati del loro incedere programmatico – che la bellezza ed il talento del rumore, bianco o nero che sia, non è altro che furore poetico se preso dalla parte della tensione e della fusione smarrita; “Superhumans” è il nuovo capitolo della band, elegia e pathos strumentale che fulmina elettronica, epica, Mogway disturbanti e quei febbricitanti tremuli che i My Vitriol trasmettono ad intermittenza dietro l’anima trasparente ed armonica Vangelisiana. Otto strade sonore che come da tradizione e marchio PSL, si tengono alla larga dalle vicissitudini grossolane dell’emergenza prettamente in avanscoperta, otto direttrici che hanno una linea e retta di viaggio personalissima; noise, saette progressive, ombre, scuri e nero come panacea d’ascolto e inaspettate isole di calma subdola sono le credenziali sincere e originali di una essenza musicale che intona il mega spazio delle espressioni ambient, quel finisterre tra il niente ed il tutto che fa bolla gravitazionale e cinematica al cubo; giunti al terzo lavoro in studio, i Penelope Sulla Luna li ritroviamo ancor più saldati a sonorità aggressive e serrate, il loro è un equilibrio affascinante e perfettamente calibrato per far volare qualsiasi cosa, abbiamo ancora a che fare con un mix di poetica inquieta e romantica nel contempo, un disco che da la possibilità a fare sogni impossibili e verticali inaccessibili come non mai. Pensieri e riflessioni sulla società nefasta e sulle sopravvivenze umane al di sotto dell’umanità, questi i proclami silenziosi che nuotano nelle arie della tracklist, nelle mille sfumature che si smarriscono e recuperano nella perdizione come nella rinascita del rimbombo celestiale della titletrack, nel liquido di tastiere “Feathers cry in pillow war”, nelle effettistiche di una dolcezza al cubo post-atomica “Rainbow club”, attraverso i lampi epici di cavalcate elettriche “Vendetta!!” o nell’armonia depravata che soffia e ulula divinamente nel mondo perduto e diabolicamente Majakovskyano di “That’s not how the story ends”. Chiaramente avrete subito capito che questo disco ci ha immediatamente convinto e di più, quanto a voi saliteci a bordo e fate un bel giro, non si paga nulla, talento e bellezza – come sopra - sono offerti e obliterati dalla casa madre.

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bandiera_italia  EXTRA ! MUSIC MAGAZINE

I superumani si muovono su lande dense di nebbie e venature dark, dal loro passo incerto è percettibile tutta la tensione che emerge dalle pozzanghere che riflettono un cielo cupo, sorretto da ambientazioni post-rock. L'ultimo disco della band Penelope Sulla Luna è un monolite dai suoni talvolta dilatati, altre volte aspri e netti, che si coniugano alla perfezione con uno scenario distopico, di un futuro non troppo lontano o forse un presente che porta con sé incubi piuttosto vicini.  Quando le parole non bastano ad esprimere qualcosa, a descriverla, allora è la musica ad essere allo stesso tempo superficie e simbolo, tutte e due le facce della medaglia.  E così le note si convertono in immagini che a loro volta si confondono con la musica, è il caso di To Kill You In Your Sleep e citare il sogno non è un'ovvietà perché lo stato onirico può convertirsi in speranza così come in rassegnazione. Ma c'è anche rabbia nel costatare il presente privo di eroi, nel senso più positivo del termine, la traccia omonima e d'apertura del disco, Superhumans, sfocia nella violenza sonora, una delle matrici del sound della band. Un disco maturo, quello dei Penelope Sulla Luna, un progetto ben delineato e ricco di sali/scendi emotivi che arrivano dritti al punto senza girare attorno e perdere magari la loro potenza.

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bandiera_italia   NERDS ATTACK

Sarà una fisima mia, ma durante l’ascolto dei primi due minuti di ‘Superhumans’ qualcosa dentro di me desiderava fortemente di riascoltare quel cantato cavernoso e gridato un po’ Isis un po’ Neurosis in qualche altro pezzo di questo disco, composto al 95% da brani strumentali. Purtroppo così non è, ma ciò non toglie che si tratti di musica valida, di una band cui non mancano idee e quel giusto mix di vena melodica e sfuriate rabbiose e improvvise. C’è tanto di post-rock, qui: le vistose pennellate di ‘Shooting Monkeys In To Space’ fanno pensare a qualcosa dei Giardini di Mirò, tanto per rimanere nella penisola, così come la cullante ‘Feathers Cry In Pillow Wars’. ‘Rainbow Club’ è uno dei pezzi più suggestivi e ispirati, dolce senza essere smielata. Certo, l’album non è brevissimo e qualche minuto in meno non sarebbe guastato, o magari qualche altra linea vocale, tanto per inquadrare qualcuno dei pezzi in una più definita forma canzone, se vogliamo. Ma come ritorno (quattro anni dal disco d’esordio), non c’è niente male.

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bandiera_italia  MUSIC ADDICTION

Uscito per i Dischi del Minollo con distribuzione Audioglobe, “Superhumans” dei Penelope Sulla Luna è il secondo album lungo della band ferrarese. Un disco prevalentemente strumentale di post-rock alla Mogwai e Giardini di Mirò abbastanza melodico, ricco di innesti elettronici e deviazioni psichedeliche, accenti ambient e complicazioni progressive. La band parte da presupposti meditativi e indie, ingentiliti o estremizzati attraverso un massiccio lavoro di levigatura formale. La band composta da Andrea Favarato, Doriana De Marco, Roy Frederick Davison e Thomas Pifferi sa quindi giocare con aggressività e gentilezza, rabbia e riflessione. Si parte con la potenza mentale e fisica di un gruppo pseudo-Isis interessanto alla poetica e agli effetti rococò dei Muse più elettronici. Detta così potrebbe sembrare una mostruosità, ma succede più o meno questo con il primo brano “Superhuman”… e non è male. La cosa ha senso e coinvolge… Ma non fatevi ingannare, il disco ha altre priorità e il primo brano è quello che si chiama uno specchietto per le allodole. Il sound dei Penelope Sulla Luna viaggia verso un altro continente fatto di chitarre rarefatte, arpeggi, crescendo elettrici, pianoforti malinconici, elettronica rumorosa e synth addormentati. Una collezione di brani ben costruiti ma probabilmente poveri di sostanza che hanno il merito di puntare sugli arrangiamenti e su una varietà sonora che vivacizza almeno formalmente il post-rock di ultima generazione, mischiandosi al dream-pop, al suono siderale dei Explosions In The Sky e a derive electro-industrial fine anni ’90. La cifra progressive finisce insomma per caratterizzare la band nonostante i musicisti facciano del loro meglio per suonare poco pomposi o “difficili”, in linea cioè con il senso di “misura” dell’underground italiano. Il pianoforte costruisce e gestisce i momenti più ispirati della serie, come succede in “To Kill You In Your Sleep” e “Rainbow Club”, e contrappone epicità e romanticismo all’urgenza incarnata da chitarra e batteria. Nella lunga Goblin” il gruppo mette insieme il meglio e il peggio del proprio repertorio in un climax di drammaticità e stile post-rockeggiante carico di echi ’70. In “Vendetta!!” il suono si fa più aggressivo e cattivo…I Penelope Sulla Luna presentano molte sfaccettature e diversi profili interessanti. Presi di faccia, invece, non convincono completamente. Colpa della prospettiva? O dei gesti di maniera che congelano l’espressività in colpi ad effetto stereotipati e pose inutili, tipo quelle sagomate dei supereroi sulla copertina del disco? Comunque vi consigliamo un ascolto. La qualità di base c’è tutta…

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bandiera_italia   ACIDI VIOLA

Se c’è qualcosa che mi fa impazzire all’interno di un certo post-rock, è la presenza del piano, devo ammetterlo. Non sarà un caso che – sempre di quel certo post-rock lì – adoro i Maybeshewill. I movimenti di piano, le elettroniche, le distorsioni, le atmosfere, gli arpeggi, le pennate veloci. Tutte ‘ste cose qui, insomma. E se cerchiamo un progetto italiano che si avvicina il più possibile al quartetto inglese, senza dubbio il primo nome a venirci in mente è Penelope Sulla Luna. Esatto, il quartetto ferrarese, al loro terzo lavoro (dopo un album e un EP, “enjoy the little things“) intitolato Superhumans. Niente di banale o di scontato, già dalle prime note di superhuman. Abbiamo parlato di pianoforti, di distorsioni? E il primo pezzo attacca con un’elettronica pesante e veloce, che vi lascerà intravedere le distorsioni solo dopo i due minuti. Da qui, poi, è già tutto chiaro: un ibrido di post-rock ed elettronica, tra tastiere e distorsioni che però – quando ci vuole – sa lasciare spazio ad urla e pesantismi da non sottovalutare. Sono passati sette minuti, ed è andato via solo il primo pezzo. To kill you in your sleep l’avevamo già incontrata ai tempi dell’EP ed in questa traccia il piano fa cose spettacolari: intreccia delle tele perfette su cui si adagiano i colori delle chitarre, quasi a ricordare qualcosa dei Beast, please be still. E cosa, se non un inizio quasi ambient che poi si sviluppa e distorce tra pennate veloci e grandi distorsioni, può ricondurre al post? Sono elementi tipici del genere, ma i Penelope, in feathers cry in pillow wars e nella successiva shooting monkeys in to space, riescono a risultare originali anche usando elementi già tanto sentiti. Rainbow club è un “intermezzo” dreamcore. In realtà, non so se esiste “dreamcore” come genere, ma mischiate le atmosfere del dream pop (le tastiere) e alcuni dettagli del post-rock (le batterie elettroniche e gli arpeggi della chitarra) ed il gioco è fatto, capirete (forse, lo spero) di cosa sto parlando. Che poi, se il passo dal sogno all’incubo è breve, il passo dal “rilassarsi” allo “scuotersi” lo è ancora di più: vendetta!! abbandona l’impostazione post, anche se poi alla fine le sonorità sono quelle. Però si è più immediati, si parte già distorti e ci si divincola tra synth e distorsioni, tranne poche eccezioni “basse”. Goblin è, in otto minuti, il percorso all’indietro attraverso tutti i dettagli dell’album: piano, distorsioni, pennate veloci e le vecchie, care, atmosfere post. Giusto per ribadire una fede che non si esaurirà mai, nemmeno quando la storia sta per finire, nonostante il titolo dell’ultima traccia (that’s not how the story ends).

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bandiera_italia   SON OF MARKETING

Quell'aria notturna, di dinamicità e di mistero che si nota osservando la copertina è un'espressione della musica dei Penelope Sulla Luna. Con il nuovo disco Superhuman intraprendono la strada della ricerca sonora e lavorano soprattutto sulla sfumature e sull'aggregazione spontanea degli stili di riferimento. Il gruppo è quartetto proveniente da Ferrara e formato da Dori (chitarra), Andrea (basso), Roy (piano & synth) e Tom (batteria). Nati nel 2006, hanno debuttato nel 2008 con un album autoprodotto intitolato "My Little Empire" a cui è seguito l'ep "Enjoy the little things" del 2011. Il 2012 vede il loro ritorno con Superhuman. Un disco difficile da localizzare e che si basa soprattutto sulla contaminazione: siamo davanti ad un album nel quale è la musica strumentale a fare da padroni con evidenti basi post-rock che vengono sfaldate da strutture metal, puro rock con richiami prog, rintocchi elettronici e anche da momenti che sfiorano la melodia. Un disco che se fosse un oggetto sarebbe uno sfollagente con il forte senso dell'autocontrollo, in quanto tra le qualità di questo disco c'è una cura dettagliata degli arrangiamenti che amalgama (ed evita l'effetto-accozzaglia) i vari stili esplorati. Si comincia con la title-track "Superhuman" che parte da una tetra e rugosa elettronica per poi evolversi in un devastante tumulto sonoro mai esagerato e tirato al punto giusto. Il pianoforte è protagonista  in "To Kill You in Your Sleep" che si ripete in maniera ossessiva per quasi tutto il pezzo che mette in evidenza soprattutto le influenze post-rock (che verranno fuori in maniera totale nella distesa tessitura di  "Shooting Monkey in to Space") e la magnificenza di un certo prog a cui facevamo accenno prima. I ritmi si dilatano nella prima parte di "Feathers Cry in Pillow", tesa e viscida, prima che riprenda la marcia evolutiva che determina un suono più graffiante ma contemporanemaente addolcito dalle note di pianoforte. A sorpresa viene fuori anche un pezzo come "Rainbow Club" in cui è l'elettronica a sovrastare e miscelarsi con le sonorità acustiche con risultato un buon pezzo dalle architetture ambient. Queste si ripropongono nella finale "That's Not How the Story Ends" ma con una piega più dark e nebbiosa. Il grido iniziale di "Vendetta!!" ci riporta, almeno inzialmente e alla fine,  a sonorità più violente che  al centro del pezzo  sono gradualmente scemate per dar spazio ad una quiete mai rassicurante. La discontinuità ritmica è perfettamente calibrata e più evidente anche nella successiva "Goblin".  Superhumans si è dimostrato un laboratorio che ha prodotto ricerche e scoperte sonore che ha portato il gruppo ferrarese a ben interpretare il concetto di alt-rock e a declinarlo in più direzioni con una diligenza compositiva ed esecutiva  notevole. Ottimo il percorso, tanto quanto i risultati.

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bandiera_italia   CRAMPI 2

Attivi dal 2006, i Penelope Sulla Luna dopo un primo full length e un successivo Ep giungono al traguardo del secondo lavoro sulla lunga distanza. Il quartetto ha scelto una strada impervia, per certi versi coraggiosa, decidendo di fare a meno dell’elemento vocale, per affidarsi interamente all’elemento strumentale. Otto composizioni, che si susseguono con poche soluzioni di continuità: quasi un concept nella struttura, anche se solo alcuni dei titoli possono essere ricondotti esplicitamente a una dimensione superumana / supereroistica. Lungo i 44 minuti circa di durata, la band sfodera varie suggestioni: da una pesantezza metallica in odore di prog ad atmosfere più gotiche, fino sfiorare i paesaggi siderali di band come Explosions In The Sky. Tra brani più concisi ed episodi in cui la vérve progressiva del gruppo prende maggior piede, con pezzi più articolati che arrivano a sforare gli otto minuti di durata. Apprezzabile il risultato, pur con qualche passaggio meno convincente, più che bilanciato da composizioni maggiormente riuscite. Per i Penelope Sulla Luna una nuova, convincente prova.

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bandiera_italia   SALAD DAYS MAGAZINE

Mi era piaciuto molto ‘Enjoy The Little Things’, l’e.p. dei Penelope Sulla Luna che era seguito al debutto ‘My Little Empire’ (che invece mi ero perso). Il nuovo ‘Superhumans’ conferma il genere, un post-rock dinamico, sanguigno e appassionante, e l’assoluto valore del combo di Ferrara, che mostra anche grande coraggio, andandosi a confrontare con mostri sacri del calibro di Mogwai o 65daysofstatic, ma anche con icone del nostro prog (l’iniziale ‘Superhuman’ conduce dalle parti dei Goblin). Il terremoto emotivo scatenato da ‘To Kill You In Your Sleep’ lo conoscevamo dall’e.p. precedente, ‘Feathers Cry In Pillow Wars’ si attorciglia come rigogliosa edera rampicante attorno ai ruderi del rock strumentale, ‘Rainbow Club’ esalta i particolari e gioca con l’evanescente, ‘Vendetta!!’ esplode di chitarre per poi placarsi un istante, gli otto minuti di ‘Goblin’ viaggiano su di un piano astrale che pare lo stesso degli Explosions In The Sky. Basi synth, pianoforte e tastiere, giri di chitarra e basso si dileguano in crescendo di fuoco, ruffiani nel voler comunicare sensazioni immediate. Il quartetto di Ferrara costruisce piccole “opere rock” che difficilmente lasciano indifferenti. Bravi.

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bandiera_italia   DAGHEISHA

Quando la bravura sembra non bastare più e l'originalità diventa un fattore opinabile, spesso è la natura atipica di una band a fare la differenza. I ferraresi Penelope Sulla Luna suonano post rock strumentale con un moderato flavour elettronico, e ciò potrebbe essere sufficiente per farli rientrare nella schiera degli epigoni di Mogwai ed Explosions In The Sky, se solo le influenze consapevoli ed inconsce del gruppo non raccontassero tante storie diverse. La loro atipicità consiste nella rielaborazione di stilemi consolidati e sperimentazioni moderne che appartengono anche a formazioni dotate di un cantante di ruolo, e proprio il fatto che le composizioni di 'Superhumans' potrebbero funzionare benissimo con delle ipotetiche linee vocali è, paradossalmente, il fattore determinante per una rinuncia pressoché totale al loro impiego. Ecco allora che una struttura portante capace di fondere con gusto le sognanti atmosfere dei Godspeed You! Black Emperor e la tensione ritmica degli eccezionali 65daysofstatic viene contaminata da un approccio quasi artigianale alla componente elettronica del sound, citando con la dovuta deferenza pionieri del rock biotecnologico come Nine Inch Nails e Atari Teenage Riot. Ripeto, la personalità con cui le fonti d'ispirazione vengono assimilate e restituite in chiave quasi irriconoscibile è assai marcata, quindi ci prendiamo qualche rischio scrivendo che nei frequentissimi inserti ed accompagnamenti pianistici di Roy, oltre ad un'evidente fascinazione per Vangelis e Yann Tiersen, a volte riecheggia la scuola new prog inglese dei Porcupine Tree e dell'etichetta Kscope. I continui scambi di frequenze e tonalità con cui la chitarra di Doriana ed il basso di Andrea si rincorrono ed intrecciano, invece, ricordano le istanze più accessibili di monumenti post metal quali Isis e Pelican ed aprono varchi invitanti per il drumming nervoso, sincopato e mai banale di Thomas. L'alternanza tra umori eterei di chiara matrice shoegaze e deflagrazioni strumentali ai confini del noise pare sempre pronta a rimettere tutto in discussione ed è patrimonio tanto dei singoli brani quanto dell'intera tracklist, che comunque stempera le tentazioni innovative verso la conclusione del disco e sembra riportare il vascello dei Penelope Sulla Luna nel porto tranquillo del loro debutto 'My Little Empire'. In un genere qualitativamente molto selettivo e spesso sovrappopolato di artisti dalle minime differenze stilistiche, gli autori di 'Superhumans' rappresentano un'eccezione che vorremmo diventasse la regola, un gruppo che ha preferito un'intrigante diversità alla sterile competizione.

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bandiera_italia   IN YOUR EYES'zine

E' dalla stessa Ferrara di Vasco Brondi che arrivano i Penelope Sulla Luna, formazione a quattro (Andrea Favarato, Doriana De Marco, Roy Frederick Davison, Thomas Pifferi) dedita a un post rock quasi esclusivamente strumentale che, nel corso del tempo, ha acquisito un suono sempre più corposo, teso e incisivo. “Superhumans”, secondo album della band, arriva a un anno di distanza dal precedente ep “Enjoy The Little Things” e a ben quattro dal primo lavoro lungo (“My Little Empire”). La partenza è delle più intense grazie all'ottima commistione di elettronica, chitarre e violenza di “Superhumans” (la parte vocale rivela radici post metal), e all'ansiogeno svilupparsi di “To Kill You In Your Sleep” (tastiere ossessive che trainano l'intero impianto strumentale). “Feathers Cry In Pillow Wars” scorre su atmosfere più avvolgenti e delicate, prima di precipitare in un finale dal sound granitico e lasciare spazio al siderale crescendo della successiva “Shooting Monkeys In To Space” (atmosfere decisamente malinconiche ed emotive). La seconda metà del lavoro è introdotta dal morbido scorrere di “Rainbow Club” (chitarre e synth in primo piano) e dal rabbioso percuotere di “Vendetta!!” (che si trasforma presto in sconfinata distesa sonora), mentre il finale è lasciato in mano allo scontro fra melodia e impulsività di “Goblin” e al pacato e coinvolgente chiudere di “That's Not How The Story Ends”. Otto canzoni per un disco piacevole ed interessante. I Penelope Sulla Luna ritornano con un disco corposo e ben costruito, dove si incrociano nel migliore dei modi Mogwai, 65daysofstatic e influenze post metal in stile Isis (come avremmo voluto che il gridato del primo pezzo ricomparisse ogni tanto anche più avanti). Un lavoro ben costruito e in grado di mostrare, nonostante le assonanze con altre band, un proprio suono personale. Complimenti.

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bandiera_italia   THE BREAKFAST JUMPERS

A quattro anni dal loro ultimo full-lenght tornano i Penelope sulla Luna con le otto cupe e potenti tracce strumentali di Superhumans, un disco cinematico che racconta epicamente le storie di eroi quotidiani, benchè sommersi da ogni difficoltà alla fine trionfano. O almeno galleggiano. Superhumans è un disco in corsa, fatto di un veloce susseguirsi di istantanee musicali come in quel rapido overlapping di vignette negli opening credits dei film della Marvel, usati da dieci anni a questa parte. E sotto la musica di Danny Elfman. (Sì è la seconda volta in tre giorni che cito Spiderman, fatevene una ragione). La prima traccia parte nella pausa tra due parole, è una discussione viva, una tensione pulsante. Quindi esplode. E per voi non c'è ritorno, sarete assorbiti dall'intero disco, dall'intera storia come un fumetto letto d'un fiato.

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bandiera_italia   ONDAROCK

I 65 Days of Static de noantri. Un po' elettronici, un po' (tanto) soft/loud, un po' emo e un po' prog. Un po' metalli, anche. La registrazione poteva essere migliore, ma sanno il fatto loro. Notevoli.

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bandiera_italia   RADIO BOMBAY

I Penelope sulla Luna sono un quartetto ferrarese che si dedica alla composizione di brani strumentali ed ha all’attivo due album (oltre al disco in questione, My little Empire del 2008), un EP (Enjoy the little things del 2011) e uno split con i Devocka. Se è facile dire chi sono i Penelope non è altrettanto semplice provare a definire ciò che suonano.Gli otto brani che compongono questo Superhumans pur avendo una matrice in comune (le atmosfere grigrie e pessimiste, la struttura delle canzoni, i suoni) sono aperte ad una serie di contaminazioni senz’altro interessanti. La title-track, ad esempio, parte con soffici tocchi di piano per poi trasformarsi in un ibrido tra elettronica iperdistorta, prog e noise (unica concessione al cantato – pardon – urlato). Feathers cry in pillow wars nasce come una cullante e dolce ballata ma si trasforma in un brano prog debitore nei confronti dei Goblin. Psichedelia e post-rock sono invece gli ingredienti di Shoting monkeys in to space, mentre in Vendetta !! sembra di ascoltare gli Smashing Pumpkins. Spiccano all’attenzione gli intrecci di arpeggi di Rainbow Club ed il non-epilogo di That’s not how the story ends. Fin qui tutto bene, se non fosse che mi preme far notare quelli che, secondo il mio parere ed in base ai miei gusti, sono i punti critici del disco. Anzitutto le atmosfere che avvolgono i brani sono eccessivamente grigie, tristi, direi anche “pessimiste”; spesso alcuni brani si somigliano tremendamente a causa della loro simile struttura: introduzioni lente (spesso al piano) che lasciano spazio all’alternarsi tra parti pulite e parti distorte. Una maggiore varietà non guasterebbe; una maggiore sperimentazione li renderebbe più riconoscibili e originali. Il nostro consiglio è quello di seguire la strada tracciata dall’opener Superhumans e continuare a sperimentare ibridi tra elettronica, prog e metal (ma senza avvicinarsi ai Fear Factory!). Non a tutti riesce, a loro riesce abbastanza bene.

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bandiera_italia  CALABRIA SOUNDS ROCK

Dopo un ottimo esordio discografico nel 2008, dal titolo My Little Empire, e la successiva pubblicazione di un EP, Enjoy the Little Things (2011), i Penelope sulla luna tornano in scena con un nuovo album, Superhumans, il quale mi è sembrato fin dal primo ascolto molto disorganico, nel senso che c’è poca continuità di stile fra i brani che lo compongono. D'altronde, non era facile riconfermarsi dopo il loro primo lavoro, a mio avviso decisamente migliore, nel quale ripercorrono le sonorità del post rock britannico (God Is an Astronaut, 65days of Static), ma senza mai scendere nel banale e nell’ormai consolidato e stereotipato sound che la stragrande maggior parte delle band del filone in questione oggi propone. Infatti, anche se ritroviamo in qualche loro traccia i riff di rito, (dilatati alla Mogwai, per intenderci), nell'esordio essi risultano sempre ben inseriti in un contesto acustico ordinato e coerente. In Superhumans, il sound sembra aver cambiato impronta: si denotano maggiormente le loro influenze derivanti dal rock melodico e dal metal (Shooting Monkeys in to Space, Feathers Cry in Pillow Wars). La componente elettronica sembra armonizzarsi con il resto delle composizioni, ma senza creare nulla che non sia scontato, ripetitivo, noioso. Mi riferisco soprattutto all’open-track del disco, Superhuman, che al meglio rappresenta la complessiva disomogeneità sonora che caratterizza questo lavoro, nei termini di un miscuglio mal riuscito di metal, rock melodico ed elettronica anni '80.